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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Manifesto - Europa - La Stampa - Il Messaggero Rassegna Stampa
22.07.2004 Il voto dell' Assemblea generale contro la barriera di difesa
nelle cronache scorrette di quattro quotidiani

Testata:Il Manifesto - Europa - La Stampa - Il Messaggero
Autore: Stefano Chiarini - Filippo Cicognani - Carla Reschia - Eric Salerno - Stefano Trincia
Titolo: «L' Assemblea generale dell'Onu condanna la barriera difensiva»
Tra gli articoli pubblicati oggi a proposito del voto dell'Assemblea Generale dell'Onu sulla barriera difensiva, quelli di Europa e Manifesto spiccano per faziosità e vera e propria mistificazione dei fatti. In particolare sul Manifesto Stefano Chiarini, dopo aver definito la barriera difensiva "muro dell' apartheid" , spiega, falsamente, che quest'ultima sarà costituita da mura alte 7 metri lungo i 750 kilometri di confine tra Israele e West Bank, e rinchiuderà i palestinesi in tre grandi ghetti. Successivamente Chiarini gioca alla guerra delle cifre, da lui peraltro inventate, sulle percentuali che il possibile stato palestinese avrebbe rispetto alla Palestina prima del '48, sostenendo che con le riduzioni attuate dalla barriera questa percentuale sarebbe del 12%. Se invece si rispettasse la linea verde, la percentuale di stato palestinese su Palestina storica ammonterebbe al 22%.La polemica di Chiarini presuppone che tutto il territtorio della Palestina mandataria dovrebbe, secondo giustizia, essere sotto sovranità araba e quindi la negazione del diritto all'esistenza dello Stato di Israele anche all'interno della Linea Verde. Per Chiarini ( e, del resto, neppure per Arafat) evidentemente il vecchio slogan dell'Olp e della Lega Araba "buttiamo gli ebrei a mare" non ha ancora fatto il suo tempo.
Su Europa Filippo Cicognani, seppur faziosamente, si attiene alla cronaca e al commento della votazione di ieri. Cicognani prima parla del caos regnante e conseguentemente si sofferma sulla crisi di leadership di Arafat, che viene da lui imputata anche al confino di Ramallah che in realtà è servito al leader terrorista per apparire come un perseguitato politico agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, senza che egli perdesse realmente le leve del suo potere. La ricetta magica per raddrizzare la situazione, secondo il giornalista, è quella dell'Unione Europea, che, a suo dire, "ha avuto sempre un ruolo equidistante tra Israele e Palestina" e dovrebbe ora fare pressione su Arafat per le necessarie riforme. In realtà l'Unione Europea, tacendo da una parte sulla dilagante corruzione all'interno dell'Anp e condannando dall'altra Israele ad ogni piè sospinto , non ha fatto altro che dimostrarsi sbilanciata e incapace di essere mediatore imparziale.
Il Desk esteri de la Stampa pone accanto alla corretta analisi di Fiamma Nirenstein uno dei più scorretti grafici tra quelli che spiegano la barriera difensiva. Nell'immagine si vedono muri, torrette,fossati, fili spinati e inesistenti tratti eletrificati (sono in realtà sensori elettronici), e non viene ricordato da nessuna parte che il muro è di cemento soltanto per il 3% del suo tracciato. Sullo sfondo la classica donna palestinese che trasporta pesanti pacchi guardando sconsolata verso l'orizzonte preclusole dal muro. Nell'intervista sottostante di Carla Reschia a Saeb Erekat quest'ultimo risponde alla domanda sul ruolo di Hamas, definendolo un partito palestinese, quando esso non è nient'altro che un'organizzazione terroristica (riconosciuta come tale persino dall'Unione Europea !) responsabile delle più efferate stragi di civili israeliani. Stupisce, ma fino a un certo punto, che la giornalista non dica una parola di rettifica a riguardo. Sul Messaggero Eric Salerno sposa in modo acritico le tesi palestinesi, descrivendo la barriera come un confine politico. Stefano Trincia attribuisce le divergenze tra Europa e Stati Uniti sul voto dell'Onu all'irragionevolezza americana, senza nemmeno ipotizzare che possa invece essere l'Europa ad aver adottato la posizione moralmente e politicamente sbagliata.

Dal MANIFESTO, a pagina 5: "L'Onu: Il muro è illegale"

Israele deve attuare quanto stabilito dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, smantellare il «muro dell'apartheid» che scorre all'interno della West Bank annettendone la gran parte allo stato ebraico, e risarcire i palestinesi che hanno avuto le terre confiscate e le case distrutte per far posto all'orrenda creatura di ferro e cemento. Questa la richiesta che l'Assemblea generale dell'Onu ha rivolto martedì sera al governo israeliano con una votazione praticamente unanime: 150 voti a favore e 6 contrari. Tra questi ultimi il rappresentante israeliano e quello americano, oltre all'Australia e agli staterelli del Pacifico, Isole Marshall, Micronesia e Palau. Gli astenuti sono stati dieci: Canada, Cameroon, El Salvador, Nauru, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone, Tonga, Uganda, Uruguay e Vanuatu. I venticinque paesi dell'Unione europea, nonostante le pressioni di Gran Bretagna, Italia, Olanda e di qualche paese dell'est, ha votato in blocco a favore della risoluzione dopo che la delegazione palestinese aveva accettato di diluirne il contenuto e soprattutto di togliere ogni riferimento alla necessità di un'azione internazionale tendente a far si che Israele si conformi, come tutti gli altri paesi del mondo, al diritto internazionale. Annacquamento che non è bastato ad Israele tanto che il ministero degli esteri di Tel Aviv ha convocato ieri gli ambasciatori della Ue, della Gran Bretagna e dell'Olanda per esprimere loro una dura protesta. L'ambasciatore palestinese, Nasser Al Kidwa, ha invece celebrato il voto all'assemblea dell'Onu come «un evento storico». Il commento israeliano al voto di martedì sera è stato sprezzante: «La costruzione della barriera - ha sostenuto Raanan Gissin, consigliere di Sharon - continuerà e Israele non rinuncerà al suo diritto di autodifesa». In realtà il muro, un vero mostro di cemento, alto sette metri, non scorre lungo il confine tra Israele e la West Bank (come dovrebbe essere se si trattasse di una barriera difensiva) ma invece si snoda in gran parte all'interno dei territori occupati per oltre 750 chilometri annettendo ad Israele gran parte degli insediamenti con vasti tratti di terre palestinesi e chiudendo i villaggi arabi all'interno di tre grandi ghetti (quattro con Gaza) separati l'uno dall'altro e tutti dalla parte orientale di Gerusalemme, senza alcun sbocco esterno verso la Giordania o (nel caso di Gaza) verso l'Egitto. Un mostro di cemento, reticolati e fossati che impedirà la costruzione di una entità palestinese accanto ad Israele e che, annettendo direttamente o indirettamente allo stato ebraico un altro 40% della West Bank, ridurrà la Palestina ad appena il 12% di quella anteriore al 1948. I palestinesi, con l'accordo di Oslo, hanno accettato di rinunciare al 78% della loro terra e di costruire un loro stato nei territori occupati nel `67 (West Bank e Gaza) corrispondenti ad appena il 22% della Palestina. Israele non ha voluto e non vuole concedere loro neppure questo e da qui la seconda intifada con tutto il suo carico di violenze e di sangue. Sharon, con il suo piano per un parziale ritiro da Gaza e una espansione degli insediamenti in Cisgiordania vuole infatti completare la colonizzazione di quest'ultima concentrando i palestinesi all'intero di vere e proprie riserve indiane circondate dal muro. Una tragica riedizione dei ghetti ebraici del periodo più oscuro della storia europea. Molte comunità e villaggi palestinesi si troveranno, ed in parte già si trovano, tra il muro e il confine del `67 o completamente circondati dalla «barriera» e i loro 189.000 abitanti non potranno più muoversi in nessuna direzione. Altri 400.000 palestinesi residenti nelle centinaia di villaggi e città subito all'interno (a oriente) del muro non potranno del resto più raggiungere i loro campi, le terre migliori e più fertili della West Bank (circa il 13,5% della superficie totale), e soprattutto le fonti d'acqua rimaste ovviamente nella parte annessa ad Israele. La Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja, ai primi di luglio, aveva definito il muro «illegale» e una grave violazione della Convenzione di Ginevra del 1949 che vieta qualsiasi forma di colonizzazione. L'importanza del pronunciamento della Corte dell'Aja sta nel fatto che il tribunale internazionale ha stabilito non solo l'illegalità del muro ma soprattutto che la Convenzione di Ginevra si applica ai territori occupati da Israele nel 1967 compresa Gerusalemme est. In altri termini che, contrariamente a quanto sostengono Israele, gli Usa e molti loro alleati, i territori occupati sono «occupati» con il conseguente obbligo per Israele di ritirarsi nei confini del 1967.
Da EUROPA,a pagina 2, "Per il voto all'Onu Israele attacca l'Europa"
Arafat respinge per due volte le dimmissioni di Abu Ala e il Consiglio nazionale palestinese, a stragrande maggioranza, invita il raìs ad accettarle, e a formare un nuovo governo che garantisca la sicurezza di fronte al caos che incalza. Dopo la condanna dell’Onu, che si è espressa contro la prosecuzione della costruzione del muro in Cisgiordania, la situazione non è certo più tranquilla. Sul terreno, del resto, regna ancora l’anarchia: l’altra notte è stato gravemente ferito, in un attentato tutto palestinese, Nabil Amr, ministro per l’informazione nel governo di Abu Mazen e fortemente critico nei confronti di Arafat, mentre la crisi politica non smette di aggravarsi. Due facce di una stessa moneta che, giorno dopo giorno, si avvia ad andare fuori corso.
Il problema è che manca un vero progetto politico: l’Anp procede navigando a vista; Arafat, anacronistico come la sua keffiah, ormai è prigioniero – fisicamente – degli israeliani, che da tre anni lo hanno confinato nel suo rabberciato bunker di Ramallah.
Ma soprattutto è prigioniero della sua ambiguità, dei suoi usurati giochi di potere, che hanno consentito il proliferare di una corruzione indecente.
Prigioniero dei suoi retorici sogni di combattente, ormai non più capace di quei colpi d’ala che lo hanno fatto risorgere dalle ceneri dei suoi numerosi errori politici e strategici.
Lo scontro generazionale in corso nella classe dirigente palestinese, tra il "gruppo di Tunisi" che dall’esilio ha seguito il vecchio Abu Ammar, e gli uomini cresciuti nei territori, ha avvilito ogni razionalità politica schiacciando qualsiasi iniziativa nel vicolo ceco del terrorismo. Arafat, icona della lotta palestinese, rischia ora di firmarne la condanna. Non si farà mai da parte e non cederà mai un briciolo di potere a qualsiasi primo ministro – una figura politica che ha dovuto inghiottire malvolentieri su pressioni americane – anche se si tratta di vecchi e fi- dati amici, come Abu Mazen e Abu Ala. Per ora l’Anp non ha la forza, né il coraggio di staccare l’icona dal muro. Anche gli egiziani, che hanno tentato un ruolo propositivo per avviare riforme in vista del disimpegno israeliano dalla striscia di Gaza, stanno alzando le mani in segno di resa. L’Europa, che ha sempre avuto un ruolo equidistante tra Israele e la Palestina che non c’è, potrebbe e dovrebbe esercitare discrete ma concrete pressioni sull’Anp perché si affranchi dall’immobilismo e dall’indecisione di Arafat e si impegni per esprimere un leader moderato che dialoghi fermamente con Israele.
Quella stessa Europa dei venticinque che, in armonia con la posizione palestinese, martedì notte all’Assemblea generale delle Nazioni unite ha votato compatta – con alcune precisazioni volute dall’Italia – la risoluzione che ha fatto proprio il parere della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja: muro illegale e richiesta di smantellarlo. La scontata condanna – peraltro non vincolante – non ha scosso più di tanto Israele, che ha subito messo in chiaro le sue intenzioni di continuare tranquillamente la costruzione della barriera di protezione dai terroristi kamikaze, archiviandola come l’ultimo episodio di una lunga storia di rapporti difficili tra il Palazzo di vetro e Tel Aviv.
Così, seppure in crisi, i dirigenti palestinesi, esultano per il successo politico sul fronte internazionale, quelli israeliani, anche se non modificano i loro piani, definiscono l’evento «scandaloso». Se la prendono soprattutto con gli europei, che l’8 dicembre scorso si erano invece astenuti quando l’Assemblea dell’Onu aveva votato per chiedere alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla legittimità del muro. Nel mirino degli strali israeliani, ovviamente la Francia, che avrebbe avuto un «ruolo devastante » nel convogliare il sostegno degli europei alla risoluzione, ormai definita «compromesso euro- arabo». Francia e Israele sono ai ferri corti dopo l’invito di Sharon agli ebrei francesi ad emigrare in Israele per sfuggire al montante antisemitismo.
Se l’intenzione era quella di inserire un cuneo nello sfrangiato fronte europeo in chiave filo-americana, c’ è riuscito solo in parte. Il voto al Palazzo di vetro dà infatti il segno di un’insolita compattezza, restano solo rammendi affrettati. E Sharon, a cui lunedì Chirac aveva fatto sapere di non essere il «benvenuto », Gerhard Schröder ha risposto ieri che sarà suo «gradito ospite» in autunno . Ha fatto bene, anche se il maresciallo Pétain, ubbidiva agli ordini di Hitler.
Da LA STAMPA, a pagina 6, "Arafat ce la farà anche questa volta"
ARAFAT sembra sempre più isolato. Agli ormai decennali attacchi israeliani si aggiungono ora quelli da parte di personaggi appartenenti al suo entourage. E’ la sua fine politica o sarà in grado di sopravvivere a questa ennesima crisi? Saeb Oraikat, il ministro che segue per l’Autorità palestinese i negoziati con Israele, afferma che non si tratta di un problema personale del leader ma di una crisi che coinvolge tutto il popolo palestinese: «Quello che sta accadendo non è una battaglia di potere, o di autorità, è una discesa verso il caos. Non esiste più la legge palestinese. Occorre, urgentemente, una riforma a livello di sicurezza per poter riacquistare il controllo. Non è in discussione Arafat, è tutto il popolo a essere in pericolo.
Ma allora cosa occorre fare, a suo giudizio?
«Bisogna avere fiducia nella leadership. Quando una decisione non è condivisa ci sono tanti modi di risolvere il problema, attraverso il dialogo e la critica costruttiva. Ma Arafat è il presidente e il suo ruolo non è in discussione».
Arafat deve cedere il potere, dice Powell. Se così fosse, uscito di scena Arafat, chi potrebbe prendere il suo posto?
«Noi non accettiamo quello che dice Powell o chiunque altro, perché Arafat è il capo del popolo palestinese e l’America non deve interferire. Dalla comunità internazionale noi ci aspettiamo aiuto per risolvere i nostri problemi, non interferenze indebite».
Le dimissioni di Abu Ala però sono segno di una crisi in atto all’interno dell’Autorità
«Se questo governo si è dimesso vuol dire solo che ne verrà designato un altro. Potrebbe essere anche Abu Ala stesso a formare quello nuovo, cambiando alcuni ministri, oppure Arafat designerà qualcun altro. Quindi non è un problema se Abu Ala si è dimesso o no».
Qual è il ruolo di Hamas?
«Hamas è un partito palestinese che partecipa alla resistenza contro l’occupazione israeliana e che adesso sta all’opposizione. Non c’è altro e non bisogna enfatizzare ogni episodio. Se Hamas vorrà, in futuro, partecipare alle elezioni, ha il diritto di farlo. Il popolo palestinese è l’unico che può decidere chi sono i suoi leader».
Ma il caos, la violenza si stanno espandendo anche alla Cisgiordania...
«Ciò che voi chiamate violenza è una reazione a una decisione che non è piaciuta. Però bisogna capire che il popolo ha il diritto di esprimere il proprio dissenso. Senza violenza, certo. Ciò che è successo a Gaza è successo perché il presidente Arafat aveva nominato Mussa Arafat a capo dei servizi segreti e ad alcuni questo non è piaciuto. Avrebbero dovuto usare mezzi non violenti, ma è tutto, non credo che ci saranno ripercussioni in Cisgiordania».
Abbas Zaki, uno dei capi di al Fatah, ha detto che l’Autorità palestinese sta perdendo il controllo dei Territori.
«Non è vero. Poche manifestazioni non significano perdere il controllo. Ci sono proteste ovunque, ogni giorno, in tutto il mondo, ma questo non significa necessariamente una rivoluzione, non crede?».
L’attentato all’ex ministro palestinese Nabil Amr avrà conseguenze?
«Ci dispiace molto ciò che è successo al nostro collega Amr e siamo tutti, governo e popolo, contro questo fatto e speriamo che rimanga un incidente isolato».
Chi comanda oggi in Palestina?
«Abbiamo una leadership, un’autorità sola e unica, l’Autorità Palestinese con il suo presidente Yasser Arafat, eletto dal suo popolo e questa è l’unica autorità che riconosciamo».
Israele appare intenzionato a proseguire nella costruzione della barriera di protezione, qualsiasi siano le reazioni internazionali e i palestinesi in questo momento sono divisi e indeboliti. Che fare?
«Queste sono due discorsi separati. Se Israele violenta la legge internazionale questo non c’entra niente con il processo di pace o con i disordini nei Territori. Occorre applicare la legge internazionale, senza cercare scuse in quello che sta accadendo a Gaza».
Sul MESSAGGERO l'articolo di Eric Salerno " Tel Aviv: Delusi dall'Europa" e quello di Stefano Trincia: "L'Onu condanna il muro: Israele insorge".
Tel Aviv: «Delusi dall'Europa»

GERUSALEMME - I palestinesi gioiscono, il governo israeliano con toni sempre
più rabbiosi attacca soprattutto gli europei che hanno votato per la
risoluzione con cui l'Assemblea generale dell'Onu chiede la demolizione di
quella parte del "muro di sicurezza" che Israele ha costruito sul territorio
della Cisgiordania. E, come sempre in casi come questo, Israele annuncia che
non terrà conto della risoluzione. Continuerà a costruire il muro
rispettando, ha affermato un portavoce citato dal quotidiano Haaretz, la
legge internazionale «come interpretata dall'Alta corte» israeliana. Ossia
seguendo un tracciato più vicino alla "linea verde" ma sempre all'interno
del territorio palestinese.
Per il ministero degli esteri e i portavoce governativi, il voto non ha
sorpreso perché nell'Assemblea generale i «palestinesi godono di una
maggioranza automatica» da parte dei paesi del Terzo mondo. Ha sorpreso e
deluso, invece, il comportamento dell'Unione europea e il rappresentante
dell'Ue insieme con gli ambasciatori di Gran Bretagna e Olanda (presidenza
di turno) sono stati convocati per sentirsi dire che il voto «fa planare un
dubbio sulla possibilità che l'Ue possa avere un ruolo per far progredire il
processo di pace in Medio Oriente». La diplomazia israeliana si attendeva
l'astensione dei Venticinque e incolpa, secondo Haaretz, la Francia che
avrebbe fatto spostare la posizione dell'Ue verso il "sì" alla risoluzione.
Avi Panzer, portavoce di Sharon, ha usato un linguaggio ancora più duro nei
confronti dell'Europa parlando di giornata di vergogna per l'Unione che
approvando la risoluzione si sarebbe schierata con i terroristi dai quali il
muro dovrebbe proteggere. La posizione del premier, contraria persino a
quanto chiesto in passato dallo Shinui, partito della coalizione, finisce
per confermare la scelta "politica" del muro (che in sostanza annette
numerosi insediamenti a Israele) e non come strumento di difesa.
La conferma dell'importanza della "linea verde" per il futuro della
Palestina è stata rilevata dal ministro palestinese per i negoziati Saeb
Erekat. «Non è soltanto una decisione storica, è la decisione più importante
per la causa palestinese dal 1947». Faceva riferimento a quando l'Onu aveva
votato la divisione dell'allora Palestina tra uno stato ebraico e uno stato
arabo palestinese. La soddisfazione di Erekat e di altri esponenti non ha
messo nell'ombra la crisi nell'Autorità palestinese. Il parlamento riunito a
Ramallah ha approvato a larga maggioranza un documento con cui chiede ad
Arafat di accettare le dimissioni presentate dal premier Ahmed Qurei, noto
anche come Abu Ala. Riferendosi soprattutto a quanto è accaduto in questi
giorni a Gaza, i parlamentari hanno criticato i risultati scarsi ottenuti da
Qurei e chiedono la formazione di un nuovo governo. Arafat, secondo uno dei
suoi collaboratori, il colonnello Jibril Rajoub, avrebbe firmato ieri sera
un decreto per unificare dodici servizi di sicurezza sotto tre sole agenzie,
rispondo finalmente alle esortazioni dell'Egitto e dell'Ue.
A Gaza, intanto, è tornata una relativa calma ma Nabil Amr, ex parlamentare
ed avversario d'Arafat è stato gambizzato davanti alla sua abitazione di
Ramallah. Qurei caustico, ha detto che il ferimento di Amir illustra «la
grave crisi della sicurezza in seno alla società palestinese e alla sua
direzione». E ha aggiunto che proprio per evitare un ulteriore
deterioramento della situazione ha accettato, su insistenza di Arafat, di
restare provvisoriamente a capo del governo.


L'Onu condanna il Muro, Israele insorge

NEW YORK - E' quanto mai "muro contro muro" tra Stati Uniti ed Israele da
una parte e Unione Europea e comunità internazionale dall'altra sul muro
difensivo costruito in Cisgiordania. All'indomani del voto dell'Assemblea
Generale dell'Onu che a stragrande maggioranza ha avallato il parere della
Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja sullo smantellamento del muro
eretto dal governo Sharon, la Casa Bianca è tornata a criticare la
risoluzione varata dal Palazzo di Vetro. Il portavoce della Casa Bianca
Scott McClellan ha affermato che si tratta di un documento «sbilanciato» e
che non costituisce «il modo più opportuno» per arrivare alla pace in Medio
Oriente. Commentando l'esito del voto, il segretario Generale dell'Onu Kofi
Annan ha invece invitato Tel Aviv ad «ascoltare la decisione della Corte
dell'Aja», procedendo allo smantellamento della barriera illegale. Annan ha
dichiato che «si tratta di una decisione di alto valore morale» e che
Israele non può quindi ignorarla.
Come di consueto Washington si è schierata con Israele al Palazzo di Vetro.
Insieme ad altri quattro Paesi, i due alleati hanno votato contro la
risoluzione dell'Assemblea presentata dalla Giordania e modificata nel corso
di frenetiche trattative secondo le indicazioni venute dall'Unione Europea.
Dieci le astensioni, mentre a favore del documento si sono espresse 150
nazioni: uno schieramento massiccio, la cui volontà non è però vincolante
per Israele in quanto le risoluzioni assembleari hanno un valore simbolico,
contrariamente a quanto avviene per le deliberazioni del Consiglio di
Sicurezza.
Dopo il parziale riavvicinamento tra Vecchio Continente e Stati Uniti sulla
"vicenda Iraq" al Palazzo di Vetro, ieri i principali media americani
commentavano come la questione del muro provochi una nuova frattura tra i
due partner transatlantici. Il sostegno americano a Sharon non è una novità.
Ma la costruzione del muro tra Israele e Cisgiordania ha ricompattato il
fronte europeo, condannando Washington ad un preoccupante isolamento in un
momento in cui ha quanto mai bisogno di contare sulla solidarietà della
comunità internazionale in Iraq.
Nell'amministrazione Bush non mancano sentimenti di ostilità nei confronti
della Francia di Chirac, che alle Nazioni Unite ha guidato la trattativa con
il fronte arabo per arrivare ad un voto comune sulla risoluzione. Grazie
anche al lavoro di limatura effettuato dalla Rappresentanza italiana
all'Onu, sottolineavano ieri fonti diplomatiche, si è riusciti a trovare un
equilibrio che da un lato invoca l'immediata applicazione del percorso di
pace previsto dalla Road Map , dall'altro chiede all'Autorità Palestinese di
arginare in ogni modo il terrorismo.
Un compromesso che ha consentito ai 25 Paesi dell'Unione Europea di votare
compatti a favore della risoluzione, ma che non è apparso sufficiente alla
Casa Bianca: «Il mezzo più appropriato per arrivare ad una soluzione
politica della crisi e all'obiettivo di due stati è la Road Map », ha
dichiarato il portavoce di Bush. «Abbiamo sempre sostenuto che Israele ha il
diritto di difendersi, anche se così facendo deve tenere presenti anche le
cattive condizioni di vita dei palestinesi, evitando quindi di infliggere
loro sofferenze eccessive». Quanto ad Arafat, la Casa Bianca ha confermato
che «non rientra nell'ambito delle soluzioni positive della crisi».
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