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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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L'Arena Rassegna Stampa
19.07.2004 Le ragioni e i torti di un terrorista non si equivalgono a quelli di chi lo combatte
difficile da capire per il quotidiano veronese

Testata: L'Arena
Data: 19 luglio 2004
Pagina: 1
Autore: Paolo Mozzo
Titolo: «Le ragioni e i torti»
Da L'Arena, quotidiano di Verona, dl 18.07-04 un articolo che propone un impossibile equiparazione fra Sharon e Arafat, entrambi portatori, secondo l'autore Paolo Mozzo di ragioni e torti in proporzione di 100 a 1.
Ma Sharon non ha mai "sparato nel mucchio" e continua a "occupare" i territori perchè lì si annidano i gruppi terroristici che colpiscono, questi si, Israele sparando nel mucchio.
La sua pretesa di "scegliersi interlocutore, tempi e modi di qualsiasi trattativa" non è altro che il rifiuto di trattare con chi protegge e controlla quei gruppi, vale a dire Yasser Arafat. Pretesa evidentemente legittima, ma certamente incomprensibile se quei legami comprovati tra dirigenza palestinese e terrorismo vengono sottaciuti e minimizzati come nell'articolo di Mozzo.

Ecco il pezzo.

Ariel Sharon ha una ragione e 100 torti. Difende Israele, ma lo fa occupando
i Territori manu militari , abbattendo case e sparando, spesso, nel mucchio.
Soprattutto, sostenuto a spada tratta da Washington, pretende di scegliersi
interlocutore, tempi e modi di qualsiasi trattativa. Yasser Arafat, oggi,
gli assomiglia. Anch'egli ormai si attesta sulla proporzione «uno a 100». È
un uomo-simbolo di libertà per il suo popolo. Ma la Storia lo sta
sorpassando: prigioniero di fatto a Ramallah eppure ben «collegato» con
l'esterno, si rinchiude nel bozzolo del potere, padrone di un'Autorità
Nazionale (nata da elezioni) ma troppo distante dalla «base». Errori che
Hamas e altri gruppi «militanti» e terroristici volgono a proprio vantaggio.
Un raìs in declino e un generale incattivito: poco per la pace. Il «clan»
del presidente dell'Anp domina: Abu Ala è (ancora) premier ma non può
muovere foglia se Arafat non voglia. I posti chiave sono saldamente sotto
controllo. Le accuse di corruzione (l'inviato Onu, Terje Roed-Larsen:
«Territori nel caos mentre la legalità cede al potere di armi, soldi e
intimidazione») cominciano a fioccare anche dalle Nazioni Unite e da
un'Europa un tempo amica e ora perplessa, comunque troppo latitante nelle
azioni. Ma Arafat tiene salde le leve. Il suo recente «rimpasto» è una
cortina fumogena. Mentre a due passi rombano i carrarmati di Sharon e a
migliaia perdono casa e vite di stenti.
Il castello-prigione di Ramallah è l'ultima ridotta di un'epoca. Abitato da
un «signore» ben diverso da quello «dell'ulivo e del mitra» al Palazzo di
Vetro (1974), delle strette di mano a Oslo (1993), delle passeggiate con
Clinton e Barak (2000): il mito vive ora del proprio potere. La mossa di
Sharon, forse e purtroppo, è riuscita: la vecchia volpe ha la zampa nella
tagliola e non più la forza di staccarsela a morsi per riguadagnare la
libertà.
Il gioco al massacro tra i due nemici fa bene agli oltranzisti armati del
Fatah (né il raìs può e vuole colpire i suoi) ma soprattutto ad Hamas , al
Jahad islamico e all'integralismo che nel plastico e nel kalashnikov cercano
il riscatto. Riscatto assassino, di stragi tra i civili israeliani più che
di resistenza all'esercito di Israele. Eppure raccolgono consensi; pagano
con denaro raccolto per canali sconosciuti (né troppo indagati) l'assistenza
a un popolo alla fame, disoccupato e disperato. Dalle loro file,
pronosticano molti, verranno i futuri leader politici palestinesi.
La partita è all' impasse , tra il generale e il raìs ostaggi di sé stessi.
George W. Bush insegue una Road Map sgualcita, «la difesa di un amico
(Israele, ndr ) e le urne di novembre. Le Nazioni Unite latitano. L'Europa,
impegnata a nascere, teme di guardare la realtà mutata ed agire di
conseguenza, anche verso Arafat. Gli israeliani sceglieranno il futuro con
un voto. I palestinesi già lo stanno decidendo: per disperazione e mancanza
di alternativa onesta. Tra i due litiganti, nell'indifferenza, la palma può
andare ad Hamas e ai fanatici dell'altro fronte. Per altri anni di sangue.
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