sabato 17 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Informazione Corretta Rassegna Stampa
18.07.2004 Intervista a Magdi Allam: il terrorismo e le responsabilità dell'Europa
nella cronaca di Giorgia Greco

Testata:Informazione Corretta
Autore: Giorgia Greco
Titolo: «Intervista a Magdi Allam»
Incontro-intervista con Magdi Allam alla Palazzina Liberty dei Giardini Margherita di Bologna, che discute con Giancarlo Mazzuca, Direttore del QN e del Resto del Carlino, su un tema di grande attualità, la sfida del terzo millennio : la lotta al terrorismo.
Un pericolo, quello del terrorismo, dice Magdi Allam che finora è stato sottovalutato, per cui dovremmo renderci conto che "c’è una guerra che si può e si deve vincere", "per salvare sé stessi e la propria civiltà".
L’uscita del suo ultimo libro "Kamikaze made in Europe" offre lo spunto per affrontare temi molto scottanti.
Ecco la cronaca dell'incontro di Giorgia Greco.

Sono dunque gli imam europei che nelle moschee allevano i terroristi?

"Agli inizi degli anni novanta quando esplose il fenomeno del terrorismo islamico in Algeria ed in Egitto, l’Europa si sentiva dire da questi paesi che doveva impedire ai militanti estremisti islamici che trovavano rifugio sul suo suolo di organizzarsi, di raccogliere fondi, acquistare armi da inviare nei loro paesi per fomentare la guerra del terrore che imperversava in questi paesi.

I governanti di Algeria ed Egitto, vittime di questa piaga, ammonivano che qualora gli europei avessero assecondato, taciuto, tollerato l’integralismo presente in Europa sarebbe stata l’Europa stessa a pagarne le conseguenze. Ciò è proprio quanto si è verificato dieci anni dopo.

La tragedia dell’11 settembre 2001 ha avuto la sua matrice, sul piano della gestione, in un gruppo di immigrati mussulmani residenti ad Amburgo, il cui leader M. Atta, uno studente modello, senza problemi economici, senza problemi di integrazione socio-culturali ma, per quella che io definisco una crisi di identità, una sua dissociazione dal sistema dei valori vigente in occidente, si è convertito alla causa del radicalismo islamico.

Nella figura di Atta è simboleggiata la trasformazione dell’Europa che emerge non più soltanto come terra di predicazione del radicalismo islamico ma anche come territorio di aspiranti kamikaze e di combattenti islamici. Fino al 1990 l’Europa era vittima e aggredita dal terrorismo islamico ora invece è divenuta l’epicentro di un terrorismo islamico che minaccia sia l’Europa sia gli stessi paesi arabi e mussulmani.
Dove sbagliamo noi europei nel rapporto con i mussulmani?




"C’è un errore di percezione dei mussulmani.

Nel tentativo di inquadrare, di comprendere la realtà dell’Islam e dei mussulmani che è indubbiamente una realtà complessa che sfugge alla nostra capacità di conoscenza e di analisi, finiamo per attribuire ai mussulmani delle categorie religiose e concettuali che sono dell’occidente e che invece non esistono in seno alla realtà dell’Islam maggioritario, sunnita, cui appartiene il 90% del miliardo e duecentocinquantamilioni di mussulmani del mondo.

Il primo di questi errori è quello di attribuire ai mussulmani il parametro della comunitarizzazione, cioè di immaginare che siano un’unica comunità con le stesse caratteristiche, una sorta di blocco monolitico con una connotazione prevalentemente integralista, vale a dire una realtà che non evolve.

Il secondo errore è quello di immaginare i mussulmani come se avessero un clero, che esiste nel cristianesimo ma non esiste nell’Islam. Questo errore finisce per attribuire ai sedicenti imam che altro non sono se non guide religiose (non corrispondono al sacerdote o al vescovo cattolico) un potere politico, mediatico che in realtà non hanno.

Il terzo errore è quello di attribuire ai mussulmani il parametro della moscheizzazione:

come la chiesa è sempre stata al centro della vita spirituale religiosa e per certi versi economica dell’occidente immaginiamo che anche le moschee svolgano lo stesso ruolo, dato smentito in modo clamoroso sul campo da giornalisti e sociologi.

Infatti la percentuale dei fedeli che frequenta le moschee oscilla attorno al 5%, si tratta quindi una minoranza.

Questi nostri errori di percezione finiscono per avvantaggiare quegli integralisti che, indubbiamente, ci guadagnano dall’attribuzione di una qualifica che non hanno e di un potere, quello della moschea, che invece non possiede in seno a comunità che sono prevalentemente laiche."
Com’è la situazione in Iraq?




E’ un dato di fatto che l’Iraq è stato individuato come il fronte di prima linea della guerra del terrorismo islamico da condurre contro l’America e l’Occidente.

Bin Laden ha investito la maggior parte delle sue risorse in Iraq ritenendo che qualora riuscisse nell’obiettivo di costringere gli americani a ritirarsi ne conseguirebbe la presa del potere in Iraq e in Arabia Saudita, l’ altro fronte su cui da sempre investe Bin Laden.

Un fronte che considera prioritario perché è il paese che ha le maggiori risorse di greggio ed ospita i due maggiori luoghi di culto sacri dell’Islam e che se si somma il petrolio presente in Arabia Saudita in Iraq e nel Kuwait ci troviamo di fronte ad un’area che dispone della metà delle riserve di greggio nel mondo.

E’ chiaro che chi controlla queste risorse è in grado di condizionare pesantemente le sorti della politica e dell’economia mondiali.

Bin Laden è un miliardario saudita che ha deciso di investire le sue risorse nel terrorismo e che opera come imprenditore del terrore, la sua strategia però è razionale e ha obiettivi chiari da perseguire; l’Iraq si situa all’interno di questa strategia ecco perché è importante opporsi in tutti i modi alla prospettiva del successo del terrorismo islamico. Gli stessi iracheni ne sono consapevoli.

La maggioranza degli iracheni è stanca della violenza e ha capito come il terrorismo opera contro i loro stessi interessi. Il terrorismo non consente la stabilità, la pacificazione e lo sviluppo degli iracheni. Occorrerà del tempo ma io sono fiducioso che alla fine questo terrorismo verrà sconfitto e gli iracheni avranno la loro pace, la loro stabilità ed il loro sviluppo."
Dove ha sbagliato l’America?




"Bush ha sbagliato a enfatizzare la questione delle armi di distruzione di massa non perché Saddam non le avesse: Saddam Hussein ha sterminato il suo popolo con le armi di distruzione di massa nel 1988, migliaia di iraniani sono stati massacrati con l’uso di armi chimiche durante gli otto anni di guerra dall’80 all’88 costati la vita a un milione di iraniani. Non è una persona innocente, le armi di distruzione di massa sono state accertate in Iraq . L’errore è stato di ritenere che la questione delle armi chimiche potesse essere usata per ottenere la legittimità formale all’attacco contro l’Iraq ed è un fatto che si spiega per ragioni interne americane: se Bush avesse chiesto l’autorizzazione del congresso e il sostegno dell’opinione pubblica americana all’attacco in Iraq sulla base della necessità di liberare gli iracheni da un sanguinoso dittatore, questo benestare non gli sarebbe stato concesso; invece puntando sulla questione delle armi di distruzione di massa, dicendo Saddam le ha e le potrebbe dare a Bin Laden il quale potrebbe a sua volta promuovere un nuovo 11 settembre con armi ancora più micidiali, a quel punto gli americani gli hanno dato l’autorizzazione a sferrare la guerra.

Si è trattato di un errore, un errore che sta costando molto in termini di credibilità ad una amministrazione americana che dopo la caduta del regime di Saddam è stata incapace di gestire il dopo Saddam, è stata incapace di assicurare la stabilità interna all’Iraq, di promuovere la pacificazione fra le forze etniche, confessionali e politiche irachene e, soprattutto, è stata incapace di promuovere un processo di ricostruzione economica.

Il paradosso è che l’Iraq è un paese ricco ma il 60% degli iracheni vive al di sotto della soglia di povertà ed è questo paradosso che bisogna sanare, permettere agli iracheni di usufruire delle proprie risorse, con un tenore di vita dignitoso.
Esisterà mai un vero dialogo fra Occidente e Islam?




"La maggioranza dei mussulmani sono persone che vogliono vivere, vogliono avere condizioni di vita soddisfacenti e sono propense alla pacifica convivenza con gli altri.

Ci troviamo però in una fase storica critica, caratterizzata da una guerra promossa dal terrorismo di matrice islamica. Esiste un punto di partenza di quanto si sta verificando oggi e quel punto è il giugno del 1988 con la nascita del Fronte internazionale per la guerra santa contro i crociati e gli ebrei promossa da Bin Laden con il chiaro intento di aggredire i paesi arabi e mussulmani moderati e di attaccare l’occidente. In quella dichiarazione Bin Laden introdusse il concetto di apostasia che legittima l’uccisione e il massacro di tutti coloro che siano considerati apostati in seno ai mussulmani o che siano infedeli fra le altre religioni o che non condividono la sua strategia.

Questa data ha generato tutta una serie di attentati terroristici culminati nell’11 settembre 2001 il momento più eclatante dal punto di vista mediatico e politico: se non si tiene presente questo poi non si riesce a capire quella che è stata la reazione americana che, non dobbiamo dimenticare, non nasce dal nulla.

Questa guerra del terrore aggredisce principalmente i mussulmani che sono le prime vittime del terrorismo di matrice islamica; in Algeria ci sono state circa 200.000 morti mussulmani massacrati da terroristi islamici, in Egitto migliaia, oggi l’Arabia Saudita e il Marocco sono vittime di questo terrorismo quindi è importante chiarire come questo terrorismo non possa essere identificato con i mussulmani nè con l’Islam che sono loro stessi vittime.

E’ necessario che si promuova al contrario un processo che riesca a dar vita ad un fronte il più ampio possibile fra l’Occidente e questa maggioranza di mussulmani che sono vittime del terrorismo. Il dialogo è possibile sulla base della chiarezza eliminando gli equivoci che, ad esempio, in Iraq avevano fatto ritenere che gli americani vi fossero andati per colonizzare il paese e per rubare il greggio agli iracheni, una situazione che si è chiarita con l’intervento della comunità internazionale con due risoluzione delle Nazioni Unite, con la messa a punto di un programma che prevede il ritiro definitivo delle forze americane nel gennaio del 2006 e con un processo che è già iniziato e che ha visto il passaggio della piena sovranità agli iracheni.

Solo con la chiarezza si può sconfiggere il nemico comune che è il terrorismo.
La cultura della morte è presente nel mondo islamico?


La cultura della morte va denunciata sia se ad inneggiarla sono degli estremisti islamici che militano nei gruppi di Bin Laden o gruppi affini sia se questa cultura della morte viene impartita nelle scuole, così come succede in alcuni paesi arabi dove ad esempio se ad essere uccisi sono degli occidentali questo atto è considerato legittimo, per contro i terroristi che si fanno esplodere vengono considerati martiri.

Questa cultura esiste ed è diffusa in alcuni paesi e in determinati ambienti mediatici tra cui anche televisioni rinomate. Tuttavia sono ottimista perché quando questo terrorismo comincia a mietere vittime tra gli stessi mussulmani allora la gente comincia a riflettere, e - soprattutto a livello di intellettuali – si capisce che o il valore della sacralità della vita vale per tutti o finisce per ritorcersi contro tutti.

Queste voci però vanno sostenute dall’Occidente, occorre impostare delle relazioni internazionali con dei parametri che facciano leva su queste situazioni, che premino quei paesi che rispettano i diritti fondamentali dell’uomo e che promuovano una cultura della vita e non della morte all’interno dei loro paesi.
Esistono vari fronti terroristici, quali sono le principali differenze?




Ci sono due differenze sostanziali: sono tutti integralisti che mirano alla realizzazione di stati islamici e che si pongono come traguardo finale la riesumazione della Umma della nazione islamica mitica e mitizzata che in realtà non è mai esistita così come loro la immaginano.

Esiste però una differenza sul piano operativo fra un integralismo pragmatico, quello dei Fratelli Mussulmani, che ritiene di dover operare nel rispetto delle leggi vigenti nei paesi dove si trovano e che l’obiettivo della islamizzazione della società e dello stato possa essere conseguito tramite la conquista dal basso di quelle strutture moschee, scuole islamiche, enti assistenziali in grado di creare in nuce uno "stato" islamico all’interno dello stato di diritto.

Viceversa gli integralisti Jihadisti quelli che sono assertori della guerra santa sono un po’ più spicci, ritengono che l’obiettivo dello stato islamico debba essere conseguito subito decapitando la testa del potere tramite l’uso della forza, della violenza, cercando di uccidere tutti i simboli del potere.

Tuttavia questi due modi di intendere l’ islamizzazione della società e dello stato sono in contrasto fra di loro perché promuovono due strategie che non hanno dei punti in comune pur condividendo lo stesso traguardo finale.
Cosa debbono fare gli occidentali per evitare che l’Iraq piombi nel cos?


Debbono sicuramente sostenere al massimo il nuovo governo iracheno che gode di una legittimità internazionale, debbono sostenere il processo che darà agli iracheni la possibilità di esprimersi liberamente all’inizio del 2005 per dar vita ad un proprio parlamento e, successivamente, per elaborare una costituzione definitiva del paese e quindi avere un governo a tutti gli effetti legittimo e nell’esercizio delle sue funzioni.

Bisogna aiutare gli iracheni a uscire da uno stato assurdo di povertà che alimenta tutta una serie di fenomeni eversivi. Ci vuole un piano Marshall; gli americani hanno immaginato che una volta liberato l’Iraq dal regime di Saddam gli iracheni avrebbe promosso autonomamente la ricostruzione del paese, si sono sbagliati fortemente perché Saddam aveva tutto l’interesse a mantenere un popolo represso, a dare degli stipendi a gente che non lavorava, a tenere in piedi un’amministrazione statale totalmente parassitaria ma che faceva comodo al regime perché era gente che faceva quanto gli veniva chiesto.

Non c’è mai stata una cultura imprenditoriale fra gli iracheni.

Questa cultura deve essere insegnata, agevolata perchè l’aspetto economico è molto importante. Occorre un intervento che consenta la ristrutturazione, l’ammodernamento delle infrastrutture irachene che porti l’acqua, l’energia elettrica, le scuole un po’ ovunque nel paese, consentire quindi di rimettere in moto una economia che dia agli iracheni una certezza nel presente ed una speranza per il futuro perché non c’è nessuno che potrà scommettere sulla democrazia se non si riesce a risolvere le questioni economiche di base"
Un altro tema di grande attualità che Magdi Allam affronta nel suo libro è come combattere il terrorismo.


Bisogna impedire che il processo che porta delle persone umane a trasformarsi in robot della morte abbia inizio.

Bisogna bloccare quei luoghi dove si predica la cultura della morte perché è lì che nasce il lavaggio di cervello, l’indottrinamento, l’arruolamento e poi lo smistamento degli aspiranti kamikaze islamici.

Ciò che differenzia questo terrorismo è che la sua arma vincente, il kamikaze, è un fenomeno che si scontra profondamente con la nostra cultura. Noi abbiamo a tal punto radicata la cultura della vita che non riusciamo a concepire che una persona che ci sta davanti ad un tratto si faccia esplodere, queste persone hanno sradicato dal proprio animo l’istinto primordiale alla sopravvivenza e finiscono per far propria una cultura la cui unica aspirazione è quella di uccidersi per uccidere il maggior numero possibile di nemici.

Ebbene tutto questo avviene attraverso un processo di indottrinamento mentale, religioso, spirituale che va combattuto . Bisogna salvare questi ragazzi sradicando questi terreni di coltura del radicalismo islamico e dove è necessario intervenire anche sul piano economico ad esempio nelle enclave palestinesi, dove la maggior parte della gente vive al di sotto del livello di povertà ma è anche necessario intervenire con strumenti culturali per impedire ad esempio che nelle scuole si insegni su dei testi che incitano all’odio.

A tutti questi livelli bisogna intervenire per salvare la vita di questi giovani e per togliere ai burattinai del terrore questa carne da cannone che loro usano in modo indiscriminato e cinico contro i mussulmani e contro gli occidentali."
Un cenno ai giornali e le televisioni arabe.


"Chi conosce l’arabo ascolta anche per un paio d’ore Al Jazira la più famosa emittente araba e si rende conto come il linguaggio e la filosofia editoriale siano profondamente ispirate all’integralismo islamico e all’estremismo laico.

Il fatto che tutti i video che riguardano le azioni efferate dei terroristi passino ad Al Jazira non è un caso.

E’ importante capirlo e denunciarlo apertamente perché questo terrorismo non avrebbe la stessa incidenza se non avesse questi megafoni mediatici, se non riuscisse tramite le televisioni ad inculcare il terrore nella gente.

Bisognerà arrivare ad un accordo, che può essere soltanto a livello internazionale, di imporre il black-out a tutto ciò che aiuta a diffondere il terrorismo.

E’ importante non fare più il gioco del terrorismo amplificando il loro messaggio di morte e prestandosi a manovre che indubbiamente finiscono per creare delle frange di solidarietà all’interno dei paesi arabi mussulmani.



Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT