Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Che ne pensa il campo ebraico dlla sentenza dell'Aja e della barriera difensiva ? Riportiamo l'intervista a A.B. Yehoshua di Fabio Galvano sulla Stampa di oggi e due servizi di Giulio Meotti sul Foglio di giovedì 8 e venrdì 9 luglio.
Cominciamo con l'intervista a Yehoshua: PER Avraham Yehoshua quella del tribunale dell'Aja è una decisione non «storica», come l'ha definita ieri a Ramallah il premier palestinese Abu Ala, bensì «sbagliata e ingiusta». Allineato una volta tanto con il premier Ariel Sharon, sia pure per motivi piuttosto diversi, lo scrittore pacifista israeliano non nasconde il suo disappunto per la sentenza che condanna il muro d'Israele. Ma fa subito un distinguo: «Se la Corte internazionale di giustizia parla di quella parte del muro che ripercorre le linee del 1967 e che sta nascendo sul territorio israeliano, non ha assolutamente alcun diritto d'intervenire. Hanno invece ragione, i giudici, se si riferiscono a quella parte del muro che Israele sta costruendo nei Territori, che disturba e angustia la vita della popolazione palestinese: quel muro non è giusto, l'Aia ha ragione». In verità la Corte condanna l'intero muro, anche se poi precisa che è da smantellare immediatamente quella parte che invade i Territori. «E' una palese e inaccettabile contraddizione. Come si può condannare tutto e poi indicare che si vuole l'abbattimento soltanto di una parte del muro? Mette ancor più in evidenza la debolezza della sentenza». I giudici dicono che l'intero muro viola le leggi umanitarie internazionali, quindi lede i diritti umani del popolo palestinese. «E' come dire che ha tutti i diritti quel terrorista palestinese che arriva dal suo villaggio imbottito di esplosivo, pronto a uccidere quaranta israeliani. La verità, l'ho sempre detto e lo ripeto, è che il muro serve. Serve per dividere due popoli che per il momento non riescono a coesistere. Serve per proteggere Israele dal terrorismo palestinese. Serve per creare un progressivo allentamento della tensione, un modus vivendi che possa portare a una pace duratura. Serve ed è importante. Ma non deve ledere diritti obiettivi: quelli dei palestinesi, appunto, quando il tracciato penetra nei Territori per proteggere taluni insediamenti israeliani che dovrebbero invece essere abbandonati e rasi al suolo». La Corte dice addirittura che i palestinesi dovrebbero essere indennizzati per la costruzione del muro. «Benissimo, ma di questo passo non si finirebbe mai, perché poi i palestinesi dovrebbero indennizzare le famiglie israeliane che sono state colpite dai loro terroristi. Avremmo una girandola di indennizzi, senza arrivare a passi concreti. La mia impressione è che la Corte dell'Aia abbia perso una grandissima occasione per chiarire una volta per tutte la posizione del mondo civile di fronte a quello che del muro è lecito e a quello che non lo è. Se lo avesse fatto avrebbe dato un forte sostegno a tutti coloro che in Israele, come nel mondo palestinese, credono nella pace e non nel confronto che sta insanguinando il Paese. Avrebbe potuto contribuire a creare un clima migliore, dal quale inevitabilmente avrebbero potuto scaturire maggiori speranze per il futuro». Arafat ha detto ieri che quella sentenza è «una vittoria del popolo palestinese e di tutti i popoli liberi del mondo». «Arafat è uno dei maggiori colpevoli della situazione in cui viviamo e farebbe meglio a prendere precise distanze dal terrorismo. Quella sì che sarebbe una vittoria dei popoli liberi. E' lui il vero ostacolo, quello che impedisce il dialogo. Perché i palestinesi non rinunciano alla loro anacronistica insistenza di tornare dai Territori? Perché non schiacciano la logica del terrore? Perché non siedono al tavolo con il governo israeliano per discutere e attuare gli accordi di Ginevra?» In vista dell'incontro di domenica con Sharon, nel corso del quale si discuterà l'opzione di un governo di unità nazionale, il leader laburista Shimon Peres ha detto che occorre accelerare il disimpegno da Gaza, già previsto per l'anno prossimo, e riaprire il dialogo con l'Anp, l'Autorità nazionale palestinese. «Perché no? Entrambi sarebbero passi nella giusta direzione. Da una parte "liberare" Gaza, dall'altra dialogare: da una parte un gesto concreto, sulla strada auspicata dai palestinesi, dall'altra un importante tentativo di sostituire la logica del sangue con quella della trattativa. Ma entrambe le parti devono essere pronte a comportarsi in modo adeguato». Lei ritiene che un governo di unità nazionale possa essere la risposta alle esigenze del momento? «Sono convinto che Sharon sia in grado di attuare da solo quel tipo di politica, come ha dimostrato quando, sulla vicenda di Gaza, si è schierato contro il suo stesso partito, il Likud. Ma se ritiene di avere bisogno di maggiori consensi, e quindi di coinvolgere anche Peres e i laburisti, non vedo che male ci sia. L'importante è che Peres non si lasci invischiare dalle incertezze e dagli errori del passato». Seguono i due articoli di Giulio Meotti: il primo:
"Il muro di Sharon offende o difende? Rispondono scettici ed ex scettici" (8 luglio)
Nonostante le cifre diffuse da Haaretz parlino di una flessione del 75 per cento di attentati dall'inizio dell'anno rispetto al 2003, in pochi sono disposti a ricredersi sull'efficacia del "muro". "Siamo in presenza di una nuova tendenza, il livello del terrore sta lentamente diminuendo", ha spiegato il ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz. Tawfiq Karaman, city manager di Umm el-Fahm, cittadina arabo-musulmana di 42 mila abitanti, ha detto al Jerusalem Post: "Grazie a Dio la barriera ha posto fine alla sfilata di terroristi che attraversavano la nostra città, garantendoci maggiore sicurezza e un boom economico". Sergio Romano continua a pensare che sia stato un errore: "Il muro è nato come una proposta di pacificazione della sinistra israeliana - dice al Foglio - Sharon l'ha realizzato adattandolo a un progetto politico diverso". Non ha dubbi che la barriera abbia funzionato, "ma se sarà decisivo lo sapremo solo più avanti. Uno dei dati che il governo israeliano porta a suo favore è quello sugli attentati sventati. Ma anche questa è un'arma a doppio taglio. Mi preoccuperei se tra maggio e giugno ci sono stati quaranta attentati sventati. Significa che il pozzo è ancora pieno". Non lo convince l'idea che la convivenza di due popoli simili possa fondarsi sulla separazione fisica: "L'economia palestinese vive grazie a quella israeliana, e il muro aggiunge infelicità a infelicità". Secondo Romano la barriera ha danneggiato politicamente Israele: "Non conviene a Sharon contare, nel medio-lungo periodo, sul solo avallo degli Stati Uniti. Bush padre, nel 1992, interruppe gli aiuti finanziari a Israele per la politica sugli insediamenti". Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, è uno dei più disponibili a riconoscere che nel breve termine la barriera ha avuto un effetto positivo. "Devo potermi difendere se uno vuole scipparmi per strada. Cosa devo fare però perché non ci siano più scippi? E' nel lungo termine, quindi, che il muro non mi convince". Luzzatto non accetta che possa atrofizzarsi la speranza di un rilancio della trattativa fra Israele e mondo arabo. "Bisogna trovare il modo di fare ponti, non muri divisori. Nel breve periodo non c'era alternativa, ma non risolve il dilemma. Alcuni miei amici mi dicono che è così e sarà così per sempre. Sono spaventato da queste parole, dico questo per l'amore viscerale che nutro per Israele". Gad Lerner concorda con Luzzatto sulla mancanza di un progetto realistico da parte di Sharon: "Inoltre se la statistica la pieghiamo al contrario, estendendola al periodo precedente, sotto Sharon c'è stato un incremento di attentati". Anche per questo pensa che non si possa cantar vittoria: "La dinamica degli attentati è programmata con una logica politica. Più che la barriera difensiva, ahimé, sono state efficaci le esecuzioni mirate, hanno destabilizzato la struttura militare e terroristica di Hamas e Jihad". E' per quest'infelice paradosso, continua Lerner, "che oggi non si può dire, dal punto di vista di un cittadino israeliano, 'grazie Sharon'. E' cresciuto il senso d'insicurezza". Moni Ovadia è il più duro, lo è stato fin dall'inizio. "Israele ha tutto il diritto di costruire un muro all'interno del suo territorio, lo ha scritto anche Noam Chomsky. Il punto è che ciò che è bene per me non deve essere male per un altro. E Israele ha costruito la barriera all'interno della Linea verde, riconosciuta da tutti come un confine tra i due popoli. Facendo questo, Sharon ha disconosciuto la legalità internazionale, mettendosi sullo stesso piano di Hamas". Non lo convince nemmeno l'ingiunzione di modifica del tracciato della Corte suprema, "è solo parziale, Sharon vuole un diktat basato sulla legge del più forte". David Bidussa, storico che lavora alla Fondazione Feltrinelli, ritiene positivi gli effetti della barriera, ma "un governo si giudica dal suo progetto politico, e per ora non lo vedo. Solo a quel punto un effetto tecnico si potrà dire quanto avrà pesato. La barriera non è riuscita a rendere esplicita la lotta intestina all'interno del mondo palestinese, che si è andato ricompattando". Luciano Tas, storico direttore del mensile Shalom, non ha dubbi: "Gli avversari del muro sono gli avversari della pace". Giudica la barriera una garanzia di stabilità per la regione, per una trattativa seria. "Certo, dev'essere accompagnata da altri gesti, come il ritiro da Gaza, che solo uno come Sharon, con i voti della sinistra, può fare, non certo il contrario. Se anche il muro avesse evitato una sola strage, avrebbe raggiunto l'obiettivo. E' interesse anche della maggioranza dei palestinesi, non ancora avvelenata dalla propaganda, che vuole godersi i benefici di questo nostro odiato occidente". Chi il muro pensa che funzioni ricorda che sono stati 79 gli attentati sventati da inizio anno; tra maggio e giugno sono stati 40 i tentativi di attacchi, due portati a termine. Israele ripete che solo la morte è irreversibile, non dei pannelli di cemento, e nel solo mese di maggio ha smantellato 40 posti di blocco, sostituendo i militari con personale di età non inferiore ai 45 anni, per non aumentare la tensione con i palestinesi. Ecco il secondo: "L'Aja processa >un'entità metaficia<, la barriera è utile nella realtà" le ragioni di chi difende il muro di Sharon (9 luglio 04) Il muro è diventato una sorta d’entità metafisica", spiega al Foglio Giorgio Israel, saggista e docente alla Sapienza. Quella che oggi si consuma all’Aia, dove la Corte internazionale si esprime sulla legalità della barriera difensiva israeliana, Israel la giudica "un’operazione retorica e morale. Speriamo che non facciano la faccia di bronzo, a Seuta c’è un muro spagnolo finanziato dall’Unione europea". Sul confine tracciato dalla Linea verde, Israel ricorda che "la risoluzione 242 è scritta in inglese, parla di un ritiro ‘da Territori occupati’, un’ambiguità voluta. La linea verde è convenzionale, non è riconosciuta da nessuno, tanto meno dai paesi arabi. L’unico organismo che cura i diritti dei palestinesi è la Corte suprema israeliana". Sono state tante, aggiunge Israel, le risistemazioni territoriali nel passato, come quella tra Grecia Turchia, con quattro milioni di persone trasferite da una zona all’altra. Non è d’accordo con chi sostiene che non c’è alcun progetto politico al di là della barriera, che funziona: "E’ il contrario, prima c’erano solo tanti dialoghi e slogan, ma solo adesso si ha l’impressione che qualcosa si stia muovendo. Di paci stile Ginevra se ne possono fare una al giorno, ma la politica vera è fatta di carne e sangue". Per non parlare del paradosso di una sinistra che per anni ha chiesto a gran voce la fine dell’occupazione, e adesso che Israele sta organizzando il ritiro da Gaza chiede che sia concordato". Anche Fiamma Nirenstein, che ha appena scritto un libro, "Gli antisemiti progressisti" (Rizzoli), in cui analizza vecchi e nuovi pregiudizi contro lo Stato ebraico, pensa che quella all’Aia sia "una farsa inscenata dall’Onu con un intento politico preciso, la delegittimazione dell’esistenza d’Israele. L’Onu vuole Israele al bando, non lo ammette in nessuna commissione, dedica un terzo delle risoluzioni per condannarlo sui diritti umani, quando quelli veri, violati e dimenticati, avvengono in Cina. E’ un doppio standard insopportabile". Ricorda anche che non si tratta di un "muro", ma di un fence, "gader" in ebraico, recinto, perché "il muro c’è soltanto dove si possono colpire i civili, come lungo l’autostrada numero 6 che collega nord e sud in Israele, dove i cecchini sparavano alle famiglie nelle loro auto". Certo, spiega Nirenstein, "fa male a vederlo, una grande impressione. Ma mentre il fence si può spostare, come è stato fatto con gli alberi e gli olivi da una parte all’altra, come gli speciali passaggi d’Israele per consentire ai palestinesi di recarsi al lavoro con maggiore facilità, questo non lo si può fare con le vite vite distrutte dal terrorismo". A chi accusa Sharon di non avere progetti politici, Nirenstein ricorda che "ha già affrontato una lotta interna e una crisi di governo, pur di portare avanti la sua idea di sgombero. E’ un pregiudizio che si basa sull’idea che Israele sia migliore quando non si difende". Elena Loewenthal, scrittrice e collaboratrice della Stampa, era convinta fin dall’inizio della necessità del fence: "L’idea lanciata da un progressista come Yehoshua sta dando frutti. E’ inutile fare previsioni a lungo termine e non bisogna giudicare con retorica". Riccardo Pacifici, portavoce della comunità ebraica di Roma, invita i detrattori del fence ad andare in Israele prima di parlare, in zone di confine come Netanya, Gerusalemme, Afula. "Le responsabilità sono tutte di Arafat, che invece di disarmare il terrorismo ha costretto Israele a una misura, provvisoria, come questa". Pacifici racconta un aneddoto che la dice lunga sulla differenza fra sinistra israeliana ed europea. A una cena romana tra la Cisl e il sindacato israeliano, Histadrut, tre dirigenti di quest’ultimo, vicino alla sinistra pacifista, "hanno sostenuto che erano favorevoli all’intervento in Iraq; che apprezzavano, pur non votandolo, le qualità negoziali di Sharon; che concordavano con le eliminazioni di Yassin e Rantisi e che provavano provavano simpatia per un politico italiano vicino a Israele, Berlusconi". Yasha Reibman, portavoce della comunità ebraica di Milano, ricorda che fu proprio Sharon, prima della Corte, a dire che il percorso della barriera era rivedibile: "E’ un muro per salvare vite umane, prima di tutto dei palestinesi, che non si faranno saltare in aria". Pensa che il vero problema è cosa avverrà dopo il ritiro, questa è la vera posta in gioco. Cosa succederà a Gaza quando con Israele se ne andranno migliaia di telecamere e di giornalisti? Un ritiro è possibile perché c’è una barriera. L’alternativa è non fare il muro e la fine d’Israele. Ma può scriverlo solo Philip Roth in un romanzo". Il sito ufficiale del governo israeliano prende come esempio dell’efficacia del fence il primo segmento costruito tra Salem ed Elkana: su tre attentati, compiuti dall’agosto 2003 al giugno 2004, in due casi i terroristi, provenienti dalla West Bank settentrionale, sono passati attraverso punti della barriera non completata, e nel terzo una donna ha utilizzato un passaporto giordano. Nei 34 mesi precedenti erano stati 73 gli attacchi dalla stessa zona: 293 morti 1.950 feriti. Con il gader gli attentati sono diminuiti del 90 per cento. Un fatto che nessuna Corte potrà negare. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa e del Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.