Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Democrazie a confronto Israele e l'intransigente difesa dei diritti, l'ANP e la loro sistematica violazione
Testata:Informazione Corretta Autore: Federico Steinhaus Titolo: «Democrazie a confronto»
A commento della decisione della Corte Suprema d' Israele che ha dichiarato lesivo dei legittimi diritti ed interessi dei palestinesi un tratto della barriera difensiva, e dell' immediata decisione del governo Sharon di ottemperare a quanto prescritto in quella sentenza, si è già detto e s critto molto. In particolare, si è messa correttamente in rilievo la constatazione - che non per tutti è ovvia ed evidente - che Israele è uno stato di diritto, una democrazia rispettosa dei diritti del singolo cittadino, e nel senso più pieno del termine una nazione libera e giusta. Mettiamo a confronto una notizia che, un pò per giorno, emerge dalle nebbie con le quali l' Autorità Palestinese circonda quanto avviene nei territori che essa domina. Nella fascia di Gaza si vota per eleggere il nuovo comitato centrale di Fatah, il movimento-partito di Arafat egemone sia da un punto di vista politico che amministrativo-finanziario. Le complesse procedure elettorali sono cominciate il 26 maggio, ed è già chiaro a questo punto che la fazione che sostiene Arafat ne uscirà indebolita se non perdente. Il malcontento della popolazione per il regime autocratico e corrotto di Arafat pare trovare uno sbocco concreto, finalmente, nel solo momento in cui l' individuo può esprimere la propria opinione - ma con quale speranza di essere ascoltato? Già, perché Arafat, essendo stato informato del possibile successo di Mohammed Dahlan e delle sue spinte riformatrici, ha ordinato al capo delle Forze Generali di Sicurezza a Gaza, Abed Razik al Majada, ed al segretario del Fatah di Gaza, Shmed Hilis, di sospendere le elezioni e di epurare le liste dei candidati "scomodi". Queste elezioni, se mai si concluderanno a Gaza e poi in Cisgiordania, sono le prime da 16 anni; l' attuale comitato centrale di Fatah, che è anche il perno dell' Autorità Palestinese, è tuttora costituito (con una sola eccezione) da quanti sono arrivati da Tnisi a seguito degli accordi di Oslo. Una decisione ufficiale dell' Autorità Palestinese in tema di diritti elettorali fa degnamente il paio con quanto abbiamo appena illustrato, arricchendo il già voluminoso dossier delle violazioni dei più elementari regole democratiche che sotto Arafat sono una consolidata consuetudine. Con questa decisione, sono stati privati del diritto al voto nelle elezioni locali tutti i residenti dei campi profughi. I campi profughi sono stati creati dagli arabi dal 1948 in poi per mantenere una pressione politica su Israele, ed i loro miseri occupanti sono stati quel che una volta si chiamava carne da cannone, una merce da utilizzare quanto più violentemente possibile contro Israele senza tenere nel benché minimo conto le loro esigenze di condurre una vita dignitosa. I profughi palestinesi nel Libano, ad esempio, non hanno il diritto di costituirsi una attività economica o di possedere un alloggio al di fuori dei campi profughi stessi, perpetuando in tal modo il loro sradicamento anche psicologico e sociale. Il Consiglio Nazionale Supremo per la Protezione del Diritto al Ritorno - un nome altisonante che cela una squallida miseria morale - che è responsabile di questa decisione di privare del diritto di voto i residenti dei campi profughi ha infatti affermato che è suo dovere "proteggere lo status dei campi profughi, che sono i testimoni del crimine che lo stato occupante ha commesso 56 anni fa, e cnsidera un pericolo integrare i campi profughi nell' ambito di unità abitative".