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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Ansa Rassegna Stampa
17.06.2004 Tortura e armi nucleari in Iran
ma all'Europa interessa solo il dialogo

Testata:Il Foglio - Ansa
Autore: le redazioni
Titolo: «Notizie dall'Iran»
Sul FOGLIO di oggi, in prima pagina, due interessanti articoli fanno il punto sulla situazione in Iran, un paese che da 25 anni vive sotto una feroce dittatura islamica:
1) "L'arsenale Iran"

Roma. Moqtada al Sadr ha ordinato ai suoi miliziani di abbandonare Najaf: siamo
dunque all’ultimo atto della tentata insurrezione sciita iniziata il 6 aprile scorso e che ieri ha preso definitivamente atto del fallimento. Paul Bremer e l’esercito americano, nonostante gli errori compiuti, registrano così una vittoria sostanziale sul terreno, che si affianca a quella, ugualmente contrastata, conseguita contro il parallelo tentativo sunnita di rivolta baathista a Fallujah. Due forti movimenti insurrezionali sono stati tentati e hanno fallito nelle zone più calde dell’Iraq; ha tenuto invece l’efficacia dell’azione militare e soprattutto il progetto politico di formazione di un governo iracheno in grado di assumere la piena sovranità il 30 giugno. Non è stata innescata una guerra civile sunnita e sciita (questa è stata una delle tante valutazioni sbagliate che hanno portato l’Ulivo italiano alla sua richiesta intempestiva di ritiro del contingente italiano) e si è imposta una logica tutta politica, di costruzione di istituzioni rappresentative. Questo non vuol dire naturalmente che sia stata bloccata l’attività terroristica che continua a Baghdad e altrove e che oggi vede incrementarsi anche gli assassinii
mirati di personalità politiche rappresentative. Si è però consolidata una prassi che obbliga tutte le tensioni politiche, etniche e sociali a esprimersi
dentro una cornice di confronto politico e questo inizia ad avvenire anche sul territorio. Ieri, ad esempio, si è tenuta una grande manifestazione di alcune
migliaia di persone a Bassora in cui i rappresentanti di varie forze politiche – l’Iraqi National Accord (il cui leader è il premier Iyyad Allawi), gli Hezbollah e il Dawa – hanno contestato l’amministrazione politica locale controllate da Salim Matshar al Taqi e Hasn al Rashid, espressione delle Brigate Badr, braccio armato del più grande partito sciita, lo Sciri. Manifestazione tanto combattiva politicamente, quanto pacifica e controllata non
solo dal contingente britannico ma anche da 500 poliziotti iracheni. Tre paesi islamici pronti ad aiutare Baghdad In realtà, però, le tensioni, che sicuramente
aumenteranno nel prossimo periodo, non sono soltanto legate al piano interno, ma soprattutto a quello internazionale, a partire dalle sempre più evidenti ingerenze dell’Iran (che ha già sponsorizzato Moqtada al Sadr), anche se le conseguenze benefiche dell’approvazione dell’ultima risoluzione dell’Onu iniziano a concretizzarsi. L’Organizzazione della conferenza islamica ha infatti riconosciuto di fatto il prossimo governo iracheno e, dato ancora più
importante, non ha assolutamente condannato la presenza militare delle forze della Coalizione in Iraq. In questo contesto, indiscrezioni attendibili indicano che ben tre paesi islamici (Pakistan, Marocco e Tunisia) sarebbero già disposti a inviare loro contingenti militari a Baghdad, segnando quindi una svolta fondamentale, che legittima, di fatto, l’intera forza militare multinazionale. Non per la prima volta, dall’Iran vengono inviati a Baghdad segnali tutt’altro che confortanti. Il giornale saudita al Sharq al Awsaat ha rivelato ieri infatti che Teheran sta ammassando sue truppe al confine meridionale tra Iraq e Iran, e che continua l’infiltrazione di agenti segreti iraniani nel sud sciita iracheno, già autorevolmente denunciata un mese fa dallo stesso ayatollah Ali al Sistani, che ha protestato violentemente. E’ questa una palese provocazione, motivata, secondo fonti ufficiose iraniane, dalla preoccupazione che gli Stati Uniti stiano pianificando un attacco militare
contro l’Iran a partire proprio dallo Shatt el Arab (esattamente come fece Saddam Hussein nel 1980). Naturalmente questo incremento della tensione è collegato all’imminente scadenza irachena del passaggio dei poteri del 30 giugno, ma anche, e in maniera palese, con il crescere dell’isolamento
internazionale del regime degli ayatollah, conseguente ai controlli che l’Agenzia atomica internazionale, presieduta da Moahmmed ElBaradei, ha effettuato nei siti nucleari iraniani. Le ispezioni hanno dimostrato come siano leciti i sospetti che gli impianti vengano usati anche per scopi militari, per dotare il paese di una bomba atomica. L’Aiea ha così predisposto una mozione che giudica del tutto inadeguata la collaborazione delle autorità iraniane nel monitoraggio degli effettivi programmi nucleari in cantiere e chiede di rivedere
alcuni progetti che possono essere finalizzati anche a scopi militari. La reazione delle autorità iraniane è stata rabbiosa. La mozione dell’Aiea è stata seccamente rigettata dal presidente iraniano Mohammed Khatami, che ha accusato Washington di indebite pressioni, e che si è spinto sino a criticare l’Europa, e in particolare proprio Francia, Germania e Gran Bretagna (da sempre favorevoli al dialogo con gli ayatollah, il che è stato occasione di polemiche con Washington) di "violare i diritti dell’Iran".
2) "La prigione Iran"
Roma. Mentre la comunità internazionale s’interroga e l’Agenzia atomica un po’ alza i toni un po’ temporeggia, mentre la minaccia della bomba fa a un tratto apparire l’Iran un po’ meno democrazia un po’ meno emergente, le organizzazioni in difesa dei diritti umani hanno già trovato la loro pistola fumante e denunciano la dannazione degli iraniani. Ultimo in ordine di tempo un rapporto
diffuso da Human Rights Watch (Hrw), un resoconto dettagliato, 73 pagine,intitolato "Come morti nelle loro bare", che documenta intimidazioni, percosse, arresti arbitrari, torture. Mentre la chiusura dei giornali è stata
accolta da un’eco internazionale – sottolinea Hrw – la brutalità contro i giornalisti, gli accademici, gli studenti e i manifestanti fa poco rumore. Per dare voce alle grida che non guadagnano la ribalta, il documento riporta, con centinaia di testimonianze, le storie di chi varca il cancello di Evin e delle altre prigioni. E’ una minuziosa descrizione sul fato che attende coloro che il
regime ribattezza "spie", "ladri", "trafficanti di droga" e "controrivoluzionari". Può trattarsi di dissidenti, più spesso di semplici cittadini che hanno osato sfidare gli uomini-manganello innalzando cartelli con scritto "democrazia e libertà". Le descrizioni sono crude, racconta Hossein T.,
universitario: "Mi hanno condotto nel cortile di Evin dove hanno luogo le esecuzioni. Mi hanno legato i piedi, tolto la benda dagli occhi. ‘Dimmi perché hai mentito. Dimmi cosa hai fatto’, mi hanno detto. Mi hanno appeso per i piedi coperto la testa con un sacchetto. Poi hanno iniziato a colpirmi con calci e pugni, anche al volto, il sacchetto si è riempito di sangue, ha iniziato a grondare per terra…". La volta successiva l’hanno appeso per le mani. Hossein non ha parlato, "non per il coraggio; non avevo la forza di parlare". Anche Massoud B., giornalista e scrittore ha conosciuto l’odore della violenza, ma dice che per uccidere può bastare il silenzio. Racconta una cella d’isolamento: "Non sei mai stato così vicino a un muro in vita tua. Stai in piedi. Ti siedi. Ti rialzi. Dondoli. Ti gira la testa, ti appoggi al muro. Dopo tre, chissà, forse quattro ore sei crollato per terra, apri gli occhi, urli, ma nessuno ti sente. Sei solo, ma loro ti tengono la testa. Le unghie ti crescono veloci, come ai morti, per questo si dice che Evin è come essere già morti pronti nella bara". Più che una sparsa contabilità di orrori, i racconti dei tanti Hossein e Massoud fotografano la reazione al dissenso di un regime ferocemente attento, con una giustizia puntuale, che lancia anatemi contro il libero pensiero e non manca di applicarli con solerzia. Le pistole fumanti Sull’onda di sporadiche pressioni internazionali, qualche sentenza cade. La macchina burocratica s’ingarbuglia e Hashem Aghajari, professore di storia condannato a morte per apostasia vive. Una goccia nel mare. L’Iran, sottolinea Reporter senza frontiere, ricordando la morte della fotografa Zahra Kazemi, è il più pericoloso predatore della libertà di stampa e di pensiero. Gli abusi, gli assassinii, le sparizioni non hanno subito un rallentamento negli anni del riformismo, ma si sono invece fatti scudo del credito internazionale. "Era solo fumo negli occhi – spiega Sarah Leah Whitson, di Hrw – dire che le riforme in Iran abbiano messo fine alle torture è semplicemente falso. La debole risposta dell’Unione europea dinnanzi alle continue, gravissime violazioni dei diritti umani in Iran è sconvolgente". In Iran protestare può voler dire morire, ma a Bruxelles ci si preoccupa di più delle esportazioni di pistacchi. Non di iraniani come Siamak Pourzand, Ensafali Hedayat, Taqi Rahmani e Akbar Ganji, non
degli altri senza volto e senza nome per cui madri composte vegliano davanti alla prigione di Evin. Nel frattempo la lunga estate densa di presagi e commemorazioni del luglio ’99 e del giugno-luglio 2003 entra nel vivo. "Migliaia di attivisti per la democrazia sono già stati arrestati", denuncia il sito Daneshjoo (comitato degli studenti per la democrazia in Iran). Il corrispondente del Guardian Dan de Luce è stato espulso, Said Mortazavi sanguinario capo-censore additato come responsabile della morte di Zahra Kazemi è proclamato "miglior servitore dello Stato dell’anno". Per le strade i pasdaran
non bastano più, negli uffici e nei dormitori delle università invocano confidenze gli uomini dei servizi di sicurezza, nelle piazze, come un anno fa, sono pronti a entrare in azione "gli stranieri", sudanesi, palestinesi, hezbollah dal Libano: moto fiammanti, picchiano duro, non parlano farsi. Torna a casa per ricevere sepoltura il corpo dello studente Hassan Hassanpour. Il teologo riformista Mohsen Kadivar ammette: "Il dispotismo religioso e più pericoloso di quello laico". La comunità internazionale guarda altrove, soppesa l’uranio. L’Iran, invece, come ha detto ieri Mohammad Javad Larijani, uno dei possibili futuri capi dello Stato, presta proprio poca attenzione alle idee degli europei sui diritti umani. Gli emissari dell’Ue ritornano a Bruxelles, gli iraniani non sono pistole fumanti.
ANSA ci informa sulle trattative sul nucleare tra la comunità internazionale e il regime degli ayatollah le cui vere intenzioni appaiono sempre più chiare: la via del dialogo diplomatico si rivela infatti un'abile strategia di quest'ultimo per proseguire indisturbato, tra una risoluzione respinta e l'altra, nel proprio pericoloso progetto nucleare.
Ecco il testo dell'articolo: "Nucleare: AIEA; Iran respinge anche la quinta bozza di risoluzione. Delegato Teheran annuncia per oggi ultima stesura"

(ANSA) - TEHERAN, 17 GIU - L'Iran continua a giudicare
''inaccettabile'' una bozza di risoluzione, giunta ormai alla
quinta stesura, presentata da Francia, Germania e Gran Bretagna
in merito al programma nucleare iraniano al Consiglio dei
governatori dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica
(Aiea) a Vienna. Lo ha detto il portavoce della delegazione
iraniana, Hossein Mousavian, in un'intervista alla televisione
di Teheran.
Mousavian ha sottolineato che ''i due principali problemi''
ad un'accettazione da parte di Teheran sono gli inviti rivolti
alla Repubblica islamica a sospendere l'attivita' di un impianto
per la conversione dell'uranio (ucf) a Isfahan e i lavori di
costruzione di un reattore ad acqua pesante ad Arak. ''Per noi -
ha detto - non e' accettabile includere questi due casi nel
concetto di arricchimento dell'uranio''. Un'attivita' che l'Iran
ha sospeso da alcuni mesi, in base ad un accordo con i tre Paesi
europei.
Oggi, ha detto Mousavian, sara' presentata la sesta e ultima
bozza di risoluzione, nella quale l'Iran spera di ottenere
sostanziali modifiche, grazie al ''proseguimento dei contatti
con i Paesi del blocco dei non allineati'' presenti nel
Consiglio dei Governatori dell'Aiea.
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