Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Sharon da Bush: le reazioni del giorno dopo come le riportano alcuni quotidiani italiani
Testata:Informazione Corretta Autore: la redazione Titolo: «Sharon da Bush: le reazioni del giorno dopo»
Alcuni quotidiani italiani di oggi dedicano spazio alle reazioni europee e palestinesi alle dichiarazioni di Bush. La commissione europea ha condannato l'unilateralismo insito nelle dichiarazioni per cui Israele non avrebbe il diritto di definire i propri confini se non tramite il negoziato con i palestinesi. Arafat dal canto suo ha lanciato uno dei suoi proclami bellicosi incitando i palestinesi alla "resistenza" contro "l'occupazione", tradotto per chi vuole capire: continuiamo con gli attentati. Chi tra i leader europei si è distinto dalla tradizionale linea filopalestinese di condanna di qualunque iniziativa israeliana è stato invece Tony Blair, che si è detto sostanzialmente d'accordo con le idee di Bush e Sharon anche se alcuni giornali vogliono far credere il contrario.
(a cura della redazione di Informazione Corretta)
Su LA REPUBBLICA, a pagina 18, Alberto Stabile firma un articolo dal titolo "Arafat, così la pace è più lontana" che è già indicativo della faziosità con cui verrà successivamente affrontato l'argomento. Stabile infatti spiega in maniera più che esaustiva la posizione di Arafat e della sua intatta capacità di dettar legge all'interno dell'Anp, attribuendogli una legittimità che in quanto dittatore consumato non merita. Il povero Arafat si trova però in una trappola che non gli permette di muoversi, preparata da Bush e Sharon. Seguendo questa logica ai palestinesi non resterebbe che la lotta armata, come se tre anni e mezzo di intifada fossero stati una passeggiata. Distorto quindi il ragionamento di Stabile. "Dulcis"in fundo troviamo accanto all'articolo la fotografia del bambino palestinese contro il carro armato che oltre ad essere scorretta non ha nessuna attinenza con il contesto.
IL CORRIERE DELLA SERA, al contrario di quanto fa il quotidiano dell'Ing. de Benedetti, si sofferma poco sulle reazioni di Arafat (pag. 14, quattordici righe striminzite), dando il giusto peso alle dichiarazioni di un dittatore ormai privo di ogni sorta di credibilità, se non quella che nostalgici sessantottini ancora gli attribuiscono.
Su LA STAMPA Aldo Baquis riporta le dichiarazioni di Abu Ala che vorrebbe dare le dimissioni. Strano il fatto che non venga spiegato che in realtà è lo stesso Arafat a rivolere indietro i pochi poteri demandati ad Abu Ala. Le reazioni del mondo diplomatico vengono ben spiegate con la tradizionale accondiscendenza verso chi politicamente critica Sharon. Anche sulla Stampa la foto che accompagna l'articolo non c'entra nulla con quanto riferisce Baquis. C'è un soldato israeliano che blocca dei pacifisti che manifestano contro il muro, come recita la didascalia. Insomma la solita foto che il solito Mario Varca, capo servizio esteri, pubblica con attenta scelta per danneggiare l'immagine di Israele.
Graziano Motta su AVVENIRE si sofferma invece sulle questioni di politca interna all'indomani dell'approvazione di Bush al piano Sharon, poco spazio viene dedicato alle isteriche reazioni di Arafat. Un articolo equilibrato.
Filippo Cicognani su EUROPA continua a seguire le orme del suo padre spirituale, faziosamente parlando, Igor Man. Al di là della cronaca che Cicognani offre, ci sono alcune considerazioni del tutto politiche e smaccamente antiisraeliane che inducono il lettore verso un'opinione distorta con frasi del tipo "l dirigenti palestinesi sono ben consapevoli che il ritiro da Gaza, così come concepito da Sharon, rischia di trasformare la striscia in una gigantesca prigione" volte ad avvalorare la tesi che Israele voglia creare dei bantustan a modello sudafricano, politicamente inaccettabili. Secondo Cicognani il piano di Sharon decreta la fine della Road Map, un'opinione assai discutibile e priva di fondamento dal momento che la road map non è mai partita a causa del terrorismo che quotidianamente attacca i cittadini israeliani. E che secondo la Road Map l'Anp avrebbe dovuto fermare.
IL MATTINO, come sempre eccelle nella informazione a senso unico: Riportiamo il pezzo uscito oggi di Lorenzo Giuliania pag.9: Gerusalemme. I palestinesi criticano duramente la presa di posizione del presidente americano George Bush in favore del piano di disimpegno da Gaza e in parte dalla Cisgiordania del premier israeliano Ariel Sharon. «Bush è entrato nella storia quale primo presidente americano ad avere legittimato la colonizzazione nei territori palestinesi e a chiedere ai palestinesi di rinunciare al diritto al ritorno» ha tuonato il quotidiano dell'Autorità Palestinese. Anche l'altro grande quotidiano palestinese, Al-Quds, attacca il presidente americano che, afferma, «ha dato a Sharon praticamente tutto quello che voleva». Secondo Al-Quds la presa di posizione americana rischia ora di «aggravare una situazione già esplosiva, non solo sulla scena israelo-palestinese ma in tutta la regione medioorientale». Per il quotidiano la dichiarazione di Bush è stata dettata anche da considerazioni elettorali, per allargare i consensi in seno all'elettorato ebraico. Da Ginevra il rappresentante palestinese all’Onu è stato categorico: «Malauguratamente, il presidente Bush sembra aver messo fine alla road map», il piano di pace messo a punto dal «quartetto» composto da Usa, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite. A farsi espressione per tutti dell'orgoglio offeso e dell'indomabile volontà di perseguire tutti gli obiettivi nazionali palestinesi è stato l'anziano rais Yasser Arafat. In un discorso radiotelevisivo ha ribadito a chiare lettere «il diritto dei profughi palestinesi a ritornare nella loro patria», intendendo evidentemente con ciò le case e i villaggi abbandonati nel 1948-49 in Israele, e affermando che «non ci sarà pace senza la fine totale dell'occupazione e della colonizzazione israeliana» e la costituzione di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme. Giovedì Bush aveva affermato che il diritto al ritorno potrà essere realizzato in un costituendo Stato di Palestina, sposando così la tesi di Israele per il quale il rientro dei profughi nel suo territorio significherebbe in effetti la sua fine in quanto Stato ebraico. Inoltre, deviando dalla tradizionale posizione americana, Bush aveva per la prima volta aperto la porta all'annessione israeliana di aree della Cisgiordania dove si trova la maggior parte degli insediamenti ebraici, affermando che nel fissare i futuri confini permanenti di Israele si dovrà tenere conto della «realtà demografica» sul terreno. Intanto chi rischia di fare le spese dell'apparente nuovo corso della politica americana è il premier Abu Ala del quale nei circoli di governo palestinese si ipotizzavano le dimissioni, anche se questa possibilità è stata smentita dal capo di gabinetto del premier Hassan Abu Libdah. Abu Ala ha avuto un colloquio, apparentemente animato, col segretario di stato americano Colin Powell che gli aveva telefonato per spiegargli il senso delle posizioni americane. In un successivo comunicato diffuso dal suo ufficio il premier ha denunciato «la totale parzialità americana a spese delle posizioni palestinesi» e ha espresso «la sua enorme delusione davanti a questa grave evoluzione della politica americana». Di fronte alle nuove posizioni assunte Sharon e condivise da Bush, l'Unione europea ha sottolineato che «non riconoscerà nessun cambiamento dei confini senza un accordo tra le parti». Ancora più esplicito il dissenso di Chirac. Per il presidente ogni cambiamento unilaterale delle frontiere fra israeliani e palestinesi costituirebbe un «precedente spiacevole e pericoloso». Parigi chiede il ritorno negoziato e non decisioni unilaterali. A differenza dei molti Paesi europei il governo tedesco ha detto di appoggiare il piano del premier israeliano per il Medio Oriente. Secondo Berlino, l'appoggio manifestato al piano dal presidente americano George W. Bush rappresenta una chance per il processo di pace. Anche la Russia giudica «costruttivo» il piano di ritiro di alcune colonie israeliane dalla striscia di Gaza, ma a patto che sia soltanto un primo passo. Morale: l'acqua del mulino anti israeliano è tirata sempre più copiosa secondo la linea politica dei media che ben conosciamo.
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