Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Sharon a colloquio con Bush Come l'incontro viene riferito da alcuni quotidiani
Testata:Informazione Corretta Autore: la redazione Titolo: «Sharon a colloquio da Bush»
(a cura della redazione di Informazione Corretta)
Molti tra i principali quotidiani italiani scrivono oggi a proposito dell'incontro tra Bush e Sharon. Le principali novità sono state le dichiarazioni del presidente americano il quale, in sostanza, si è dichiarato in favore del ritiro israeliano da Gaza, e alla linea politica secondo cui attualmente ha più senso dare peso alla situazione demografica che a linee armistiziali vecchie di 50 anni. Bush e Sharon, entrambi ben consci del problema del terrorismo, si sono trovati d'accordo e questo per chi è loro ideologicamente contro è stato un invito a nozze.
Apriamo la rassegna con l'articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato sulla Stampa a pagina 8: "Ritiro unilaterale: Sharon ottiene il sì della Casa Bianca". Come sempre accurato e preciso: Ciò che è accaduto ieri fra George Bush e Ariel Sharon, può dare una seria svolta alla situazione mediorentale. Per Sharon è stato un trionfo strategico: ha ottenuto dal presidente americano il consenso, che gli apre anche la strada in Israele presso la durissima opposizione di destra, all’idea dello sgombero unilaterale da Gaza e da parte dell’West Bank; ha sentito lodare la sua scelta come prova di grande coraggio politico e volontà di fare ciò che nessuno ha mai avuto la forza di fare, andarsene dagli insediamenti ebraici; ha finalmento avuto la promessa che i profughi non possono ambire a insediarsi in uno «stato ebraico, Israele» ma «nello stato palestinese» di prossima fondazione; ha ricevuto l’ammissione che "la situazione è molto cambiata in questi anni", ovvero che ci sono insediamenti che non possono essere smantellati; ha avuto rassicurazioni decise della dedizione americana alla sicurezza di Israele, compreso il recinto di difesa che però, ricorda Bush, non deve rappresentare un confine politico definitivo, da stabilirsi con una trattativa. Bush ha anche promesso di chiamare a raccolta intorno al progetto il mondo arabo (Mubarak sarà il grande mediatore); l’Europa, la Russia, l’Onu. I palestinesi parlano, molto irati, di «una seconda dichiarazione Balfour», quando per la prima volta il mondo stabili la necessità di un «focolare» per la nazione ebraica: ovvero intravedono un passo diplomatico che può segnare insieme sì, la nascita dello Stato Palestinese, ma anche la sconfitta della leadership attuale con la sua Intifada.Sharon aveva bisogno della benedizione degli Stati Uniti, di un’autorizzazione che rassicuri il pubblico spaventato e arrabbiato dal terrorismo per intrapredere la sua rivoluzione. Anche Bush aveva bisogno di Sharon: i due premier hanno cercato il consenso dell’opinione pubblica americana in crisi sullo sgombero rivoluzionario di Sharon, e dall’altra parte il voto positivo del Likud il 2 di maggio. La prospettiva del ritiro di Israele riguarda vaste porzioni di territorio, e esclude i blocchi superpopolati o connessi intrinsecamente a Gerusalemme o con un significato militare tale da rendere molto difficile uno sgombero. Così, si conclude il sogno della Grande Israele, il governo è pronto a sacrifici notevoli, sulla linea, ironia del destino, del riconoscimento del presidente Bill Clinton del blocco dell’Etzion, di Ariel e di Gerusalemme che eliminava la definizione classica: «Gli insediamenti sono un ostacolo alla pace». Un governo di sinistra, quello di Barak, ottenne questa linea americana: ed è sulla scia della sinistra, innegabilmente, che Sharon opta per lo sgombero sostenuto dalla sua decisa riscoperta della strategia della deterrenza contro il terrore e questo appare indispensabile dopo tre anni di terrorismo intensivo: la svolta è grossa, perchè pur invocando le risoluzioni dell’Onu, ne supera la sacralità. Col ritiro unilaterale, si deve tornare però a trattare con apertura totale, dice Bush, e Sharon ci sta. Ma la scelta dell’unilateralismo attuale ristabilisce, da parte israeliana, la «visione del giugno 2002» per cui chi non ha rinunciato all’uso del terrorismo e non ha riformato le sue strutture in senso democratico, non può essere ritenuto un interlocutore.Il secondo punto rivoluzionario dell’accordo di ieri riguarda il problema che è sempre stato il vero ostacolo sulla via della pace: i discendenti dei profughi del ‘48 e del ‘67 potranno, sì, tornare, ma al loro stato palestinese, e non a uno stato ebraico, non nei confini di Israele. Questo punto è difficilissimo da accettare per i palestinesi perchè ipotizza quello che finora non è mai stato accettato: la conclusione del conflitto. Per i palestinesi, o almeno per gran parte della sua leadership, che hanno fatto di tutto per fermare le dichiarazioni congiunte di Bush e di Sharon, la decisione risulta tragica: sia la rinuncia del diritto al ritorno, sia la caduta del simulacro dell’Onu, contiene lo spunto del cambiamento di leadership, perchè la linea dello scontro per ottenere la sconfitta dello Stato Ebraico sembra essere fallita. L’ira dei palestinesi mette in serie difficoltà anche gli acerrimi nemici di Sharon, la destra estrema, che si ripromette di contattare 200mila famiglie, casa per casa, per bloccare il programma col voto del Likud: il programma che secondo loro è fatto apposta per premiare il terrorismo, di fatto scompiglia il campo nemico, e questo non era previsto. Su LA REPUBBLICA a pagina 15 Alberto Stabile ("Bush approva il piano di Sharon") coglie l'occasione per denunciare l'unilateralità di queste dichiarazioni e si preoccupa di evidenziarne esclusivamente gli aspetti negativi. Non contento, Stabile dimostra anche la sua ignoranza a proposito delle risoluzioni Onu su Territori, in particolare la 242 e la 338, poichè sostiene che in esse vi sia un esplicito riferimento alla Linea Verde, quando invece questo riferimento fu all'epoca volutamenente omesso. Bush con le sue dichiarazioni, secondo quanto scrive Repubblica, avvalla implicitamente l'annessione di gran parte dei territori e chiude le porte in faccia a quei "palestinesi che marciscono nei campi profughi" con l'idea che questi profughi debbano rientrare soltanto nel futuro Stato palestinese. Ricordiamo a Repubblica che il rientro dei profughi in quello che è lo Stato d'Israele comporterebbe la fine di quest'ultimo come Stato ebraico. La solita partigineria, il quotidiano dell'ing. de Benedetti non ci stupisce più ormai.
CORRIERE DELLA SERA a pagina 13 dedica tre articoli all'argomento. Il primo ("Bush a Sharon, via libera al ritiro da Gaza") è una cronaca vera e propria delle dichiarazioni da Washington firmata dal corrispondente Ennio Caretto che per la sua essenzialità non esprime nessuna considerazione politica; accanto viene pubblicata un'analisi di Davide Frattini, con il titolo: "La rabbia di Arafat: «Distrutto il processo di pace»" rivolta più che altro alle reazioni nel mondo palestinese, il terzo articolo è un'intervista all'analista di Haaretz, Danny Rubinstein, sulle conseguenze politiche di tali dichiarazioni.
AVVENIRE, a pagina 7, dà spazio alla vicenda con un resoconto delle dichiarazioni preciso e circostanziato a cura di Elena Molinari da New York che si sofferma sulla volontà politica di Bush di portare avanti alcune iniziative volte se non altro a migliorare la situazione sul campo in vista delle presidenziali di novembre.
EUROPA pubblica la foto in prima pagina di Bush e Sharon che si stringono la mano con il titolo: "Bush promuove Sharon"; strana, ma non insolita, prassi quella del quotidiano della Margherita che, all'interno del giornale, non pubblica alcun articolo a riguardo, mentre scorretta e tendenziosa è invece la didascalia dove si dice che Bush ha riconosciuto il diritto a Israele a mantenere a Gaza gli insediamenti più popolosi, cosa che non è vera, e viene riportata la stizzita dichiarazione di Arafat. Insomma, il solito giornale raffazzonato privo di accuratezza.
IL MESSAGGERO a pagina 17 pubblica un articolo di Anna Guaita che vuole essere un riassunto di tutte le dichiarazioni fatte dal presidente Bush nella giornata di ieri, il risultato è un miscuglio di idee, molto critico nei confronti della sua politica, e IL MATTINO gli fa eco.
IL FOGLIO in prima pagina dedica una colonna alla vicenda, sembrerebbe a prima vista poco ma in realtà è una dimostrazione di come poter mostrare le notizie esaurientemente in poco spazio senza far mancare niente all'analisi, che come al solito è illuminante e che di seguito pubblichiamo. Questo il titolo: "Bush sostiene il coraggio di Sharon sulla via del ritiro da Gaza" Washington. Il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha incontrato ieri alla Casa Bianca il presidente americano George W. Bush, per un colloquio che potrebbe influenzare non soltanto il futuro del Medio Oriente, ma anche l’avvenire politico dei due leader. L’aggravamento della situazione in Iraq, la necessità di dialogo con il mondo arabo moderato, l’inchiesta del congresso americano sulle tragedie dell’11 settembre e i sondaggi, che non favoriscono il presidente Bush, hanno fatto sì che l’appuntamento con Sharon, in un primo momento, fosse visto dalla Casa Bianca come un incontro da evitare in questo periodo. Ma viste le circostanze e soprattutto il breve periodo che separa il primo ministro israeliano dal referendum all’interno del suo partito, il Likud – che deve votare sul piano di disimpegno dai Territori palestinesi il 2 maggio – i due leader hanno cercato di aiutarsi l’un l’altro. "La decisione di Sharon di ritirare parte degli insediamenti da Gaza è coraggiosa e storica", ha detto Bush. La delegazione israeliana ha espresso soddisfazione per la lettera presidenziale emessa in seguito all’incontro. Anche Tony Blair si è detto favorevole al piano di Sharon. Il capo del gabinetto del premier israeliano, Dov Weisglass, il consigliere diplomatico, Shalom Turgeman, e Giora Ayland, capo della Sicurezza nazionale, hanno cercato e ottenuto garanzie americane per riuscire a convincere gli altri ministri e i sostenitori del Likud della bontà del piano di ritiro israeliano. Sharon ha confermato la volontà di far approvare, attraverso il governo e il Parlamento, un piano di disimpegno dell’esercito dalla Striscia di Gaza, e da quattro insediamenti nella Cisgiordania. Israele, secondo il progetto, controllerà solo il corridoio di "Filadelfia", sul confine con l’Egitto, ma intende aprire i punti di passaggio fra i territori sotto controllo dell’Anp, dell’Egitto e della Giordania.
Condanne dai Territori palestinesi Bush è il primo presidente americano ad accogliere formalmente una chiara volontà israeliana di attuare un ritiro reale che apra la strada a un futuro Stato palestinese. In questo senso le dichiarazioni di Sharon alla Casa Bianca sono un punto positivo per la politica estera del presidente americano a pochi mesi dalle elezioni. Ma più che altro è la lettera presidenziale con cui Sharon torna a Gerusalemme che potrebbe influenzare il futuro del conflitto israelo-palestinese. Il presidente Bush ha parlato di quattro punti chiave nella missiva indirizzata al primo ministro israeliano: in primo luogo l’Amministrazione americana non appoggerà altri piani al di fuori della road map. Tale affermazione protegge Ariel Sharon da iniziative del tipo di quella di Ginevra, e manda un messaggio forte all’Anp: senza lotta contro il terrorismo, il popolo palestinese non realizzerà il suo sogno di avere uno Stato indipendente. Il secondo punto stabilisce che i profughi palestinesi avranno diritto al ritorno nel futuro Stato palestinese, e non entro i confini dello Stato ebraico. Il terzo punto presume che nell’accordo definitivo siano inserite considerazioni sullo sviluppo e sui cambiamenti demografici nei territori palestinesi. Sharon spera di salvare i tre insediamenti più significativi in termini demografici (Ariel, Maale Edumim, Gush Ezion). Il quarto punto spiega che Israele avrà diritto di entrare, anche con la forza, in territorio palestinese in caso sia attaccato. Ma il desiderio di Bush di raccogliere consensi, grazie alla sua politica estera, e la volontà di Sharon di avere più garanzie per il suo piano creano più di una preoccupazione nel Likud. Gli esperti di rapporti israelo-americani spiegano che una lettera presidenziale è un elemento importante, ma non determinante e sicuro al cento per cento: senza un pieno appoggio del Congresso, il presidente americano non può realizzare le sue promesse. Inoltre, il fatto che a gennaio 2005 un nuovo presidente potrebbe essere alla Casa Bianca significa che le dichiarazioni di Bush potrebbero contare poco. Gli analisti ricordano le decisioni degli ultimi presidenti che hanno ignorato le promesse fatte dai predecessori. "Noi intendiamo dare il nostro aiuto – ha detto Bush – ma il grosso del compito toccherà al popolo palestinese". E’ un passo avanti sulla via della creazione di uno Stato indipendente, ma i palestinesi ieri non c’erano (anzi, dai Territori sono giunte dure condanne), anche se ora più che mai capiscono che il terrorismo non è una strategia vincente. IL RESTO DEL CARLINO purtroppo conferma la sua tendenza antiisraeliana. Giampaolo Pioli infatti a proposito delle dichiarazioni di Bush firma un articolo che oltre ad essere tendezioso è pieno zeppo di errori, a cominciare dall'indicazione del fallimento di Camp David nel dicembre del 2000 ,quando invece si trattava di agosto, ed un'interpretazione fantasiosa e scorretta della risoluzione 242. Invitiamo i nostri lettori a inviare il proprio parere a dei giornali citati in questa rassegna. Cliccando su "media" in home page si possono trovare i relativi indirizzi e-mail.