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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Unità online Rassegna Stampa
06.01.2004 la fine del terrorismo premessa per il dialogo
ma per L'Unità non è così

Testata:L'Unità online
Autore: la redazione on line
Titolo: «Sharon ai maggiorenti del Likud:" si ad uno stato palestinese con la fine del terrorismo".»
Così L’Unità, nella sua versione online, presenta la storica presa di posizione di Ariel Sharon
Israele è «sulla soglia di decisioni storiche». Ariel Sharon affronta gli ultrà ortodossi nel comitato centrale del Likud, il suo partito, e annuncia un nuovo scambio con i palestinesi: terra in cambio di sicurezza. Ma non rinuncia all'idea del Muro. Israele si dovrà separare «fisicamente e politicamente» dai palestinesi, dice, ma è disposto «a dare davvero molto»: ad accettare uno Stato palestinese indipendente e, nel contesto di un accordo di pace permanente, a sgomberare una parte degli insediamenti. Tutto ciò però solo in cambio dello smantellamento delle organizzazioni terroristiche.
Se invece i palestinesi - dice il premier israeliano - continueranno «a rifiutare la mano tesa di Israele e a continuare il terrorismo, noi dovremo agire da soli in massimo coordinamento con gli Usa».

Falso, approssimativo e distorto è il modo con cui si riassume la linea politica del premier israeliano.
Il governo israeliano vuole creare le condizioni perché sia possibile un negoziato, così come ha sempre fatto.
Tuttavia il premier Abu Ala continua a rimandare un incontro con Sharon, incontro che sarebbe quanto meno un primo passo in un percorso, certo, irto di ostacoli.
La domanda è: quanto Israele dovrà ancora aspettare?
Se pensiamo che risale al 1919 il primo tentativo di accordo tra ebrei ed arabi (nelle persone di Chaim Weizmann e l’emiro Feisal), quanti morti e quante lacrime ancora si è disposti a versare ancora, inseguendo la chimera del riconoscimento da parte araba del diritto di Israele ad esistere?
Quanto è legittimo che Israele attenda ancora prima che da parte Palestinese si sviluppi una coscienza democratica, una coscienza di pace?
Se i palestinesi non smantelleranno le organizzazioni terroristiche e la leadership Palestinese continuerà a essere dominata da Yasser Arafat, Israele riconoscerà di non poter più aspettare.
Separarsi dai palestinesi con una decisione unilaterale, senza quell’accordo che Israele per decenni e decenni ha cercato disperatamente di siglare: una misura se vogliamo amara ma ormai inevitabile. Perchè è una questione di vita e di morte, questo l’Unità non lo capisce.




Un discorso che suona "storico" è quello che stasera ha pronunciato il premier davanti ai vertici del suo partito. Quasi un programma di governo. Anche se, visto da una visuale interna, il problema principale per Israele non sembrano essere i palestinesi in rivolta nei Territori, bensì la crisi economica «che lacera i tessuti sociali». Così almeno recita il rapporto del Consiglio per la sicurezza nazionale israeliana, spedito nei giorni scorsi al premier Ariel Sharon e redatto da Efraim Halevy, un ex capo del Mossad che per altro poco prima della fine dello studio si è dimesso passando l'incarico al suo vice, Israel Michaeli.




Curioso che L’Unità insinui che il discordo di Sharon (premier democraticamente eletto dal suo popolo) non sia particolarmente "storico" e significativo, quando invece nelle pagine dell’Unità il cosiddetto accordo di Ginevra, siglato da intellettuali che non detenevano alcuna carica politica nè potere decisionale concreto e che riproponevano trite e ritrite pseudo-soluzioni del dramma medio-orientale, venisse invece esaltato e magnificato come "svolta storica".
Notiamo inoltre che purtroppo la crisi economica in Israele è una conseguenza "dei palestinesi in rivolta nei Territori".
Pensiamo ai danni della Seconda Intifada, a quante risorse economiche sono state spese per la sicurezza, per le colonie, per la Barriera Difensiva,etc Senza contare le perdite in settori vitali come ad esempio quello del turismo.
Israele ha dovuto sfruttare ogni sua risorsa, materiale e spirituale, per difendersi: è ovvio che ci si chieda quanto questo potrà ancora legittimamente continuare.

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