Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata: Il Mattino Data: 13 dicembre 2003 Pagina: 3 Autore: Michele Giorgio Titolo: ««Israele rinunci all’atomica»»
Il Mattino si preoccupa che Israele sia una potenza atomica. Che lo siano nazioni come l'Iran, la Corea del Nord e altre che neppure sappiamo sembra che interessi poco al quotidiano napoletano. Il solerte Michele Giorgio si preoccupa di informare i suoi lettori del "grave" pericolo rappresentato da Israele. Niente di nuovo. Da sempre Giorgio informa (si fa per dire) a senso unico. Adesso vorrebbe vedere Israele disarmato. Non stia a spiegare il perchè. Chi legge i suoi articoli lo sa.
Ecco il suo articolo sul Mattino: Gerusalemme. Un invito ai paesi del Medio Oriente, in modo particolare a Israele, a rinunciare alle armi di distruzione di massa per favorire il raggiungimento della pace e della stabilità nella regione, è giunto ieri da Mohammed El Baradei, il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea). El Baradei, in una intervista al quotidiano israeliano «Haaretz», ha invitato lo Stato ebraico e i paesi vicini ad avviare colloqui per la creazione di una zona libera da ogni arma di distruzione di massa. «Senza quel dialogo continuerà la corsa a procurarsi armi per compensare l'arsenale di Israele», ha affermato il direttore dell'Aiea. È la seconda volta in pochi giorni che il direttore dell'Aiea parla apertamente delle armi non convenzionali di Israele che, sull'argomento mantiene da lungo tempo una posizione ambigua. El Baradei allo stesso tempo ha usato il guanto di velluto con Tel Aviv dicendo di comprendere, rileggendo la storia, i motivi (l'Olocausto e il rifiuto arabo) che 50 anni fa spinsero i dirigenti israeliani a imboccare la strada dell'arma atomica. Motivi che, ha però aggiunto, oggi appaiono superati. Israele e Iran sono gli unici paesi del Medio Oriente ad essere sospettati di possedere armi nucleari. Gli esperti internazionali stimano che gli ordigni atomici in possesso dello Stato ebraico siano almeno duecento. Teheran ha sempre sostenuto di voler produrre nelle sue centrali soltanto energia elettrica ma non ha mai convinto pienamente la comunità internazionale. Tuttavia l'accettazione dell'Iran, riaffermata nelle ultime ore anche dal presidente Mohammed Khatami, delle condizioni poste dall'Aiea, ha isolato Israele. El Baradei ha esortato Tel Aviv a seguire l'esempio del Sudafrica, che nel 1989 (con l’avvento della democrazia, dopo la caduta del regime dell’apartheid) rinunciò al nucleare. Israele si è sempre rifiutato di firmare il Trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp), assieme a Pakistan e India (la Corea del Nord, che ha prodotto almeno un ordigno atomico, è uscita dal Trattato il 31 dicembre dello scorso anno). Teorico della «bomba» israeliana è stato il Premio Nobel ed ex primo ministro laburista Shimon Peres. È cominciato intanto il conto alla rovescia per Mordechai Vanunu, il tecnico nucleare che a metà degli anni Ottanta rivelò al giornale britannico «Sunday Times» la produzione di ordigni atomici nella centrale israeliana di Dimona (Negev): tra 131 giorni, dopo 18 anni in prigione, verrà scarcerato e, con ogni probabilità, si metterà alla guida di una campagna internazionale contro l'atomica israeliana.
Gerusalemme. Un invito ai paesi del Medio Oriente, in modo particolare a Israele, a rinunciare alle armi di distruzione di massa per favorire il raggiungimento della pace e della stabilità nella regione, è giunto ieri da Mohammed El Baradei, il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea). El Baradei, in una intervista al quotidiano israeliano «Haaretz», ha invitato lo Stato ebraico e i paesi vicini ad avviare colloqui per la creazione di una zona libera da ogni arma di distruzione di massa. «Senza quel dialogo continuerà la corsa a procurarsi armi per compensare l'arsenale di Israele», ha affermato il direttore dell'Aiea. È la seconda volta in pochi giorni che il direttore dell'Aiea parla apertamente delle armi non convenzionali di Israele che, sull'argomento mantiene da lungo tempo una posizione ambigua. El Baradei allo stesso tempo ha usato il guanto di velluto con Tel Aviv dicendo di comprendere, rileggendo la storia, i motivi (l'Olocausto e il rifiuto arabo) che 50 anni fa spinsero i dirigenti israeliani a imboccare la strada dell'arma atomica. Motivi che, ha però aggiunto, oggi appaiono superati. Israele e Iran sono gli unici paesi del Medio Oriente ad essere sospettati di possedere armi nucleari. Gli esperti internazionali stimano che gli ordigni atomici in possesso dello Stato ebraico siano almeno duecento. Teheran ha sempre sostenuto di voler produrre nelle sue centrali soltanto energia elettrica ma non ha mai convinto pienamente la comunità internazionale. Tuttavia l'accettazione dell'Iran, riaffermata nelle ultime ore anche dal presidente Mohammed Khatami, delle condizioni poste dall'Aiea, ha isolato Israele. El Baradei ha esortato Tel Aviv a seguire l'esempio del Sudafrica, che nel 1989 (con l’avvento della democrazia, dopo la caduta del regime dell’apartheid) rinunciò al nucleare. Israele si è sempre rifiutato di firmare il Trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp), assieme a Pakistan e India (la Corea del Nord, che ha prodotto almeno un ordigno atomico, è uscita dal Trattato il 31 dicembre dello scorso anno). Teorico della «bomba» israeliana è stato il Premio Nobel ed ex primo ministro laburista Shimon Peres. È cominciato intanto il conto alla rovescia per Mordechai Vanunu, il tecnico nucleare che a metà degli anni Ottanta rivelò al giornale britannico «Sunday Times» la produzione di ordigni atomici nella centrale israeliana di Dimona (Negev): tra 131 giorni, dopo 18 anni in prigione, verrà scarcerato e, con ogni probabilità, si metterà alla guida di una campagna internazionale contro l'atomica israeliana.
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