Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Un governo senza reale potere E'ovvio, chi comanda è Arafat
Testata: Avvenire Data: 30 settembre 2003 Pagina: 15 Autore: Graziano Motta Titolo: «Abu Ala: pronto il governo. Israele già lo boccia»
Oggi pochissimi articoli da Israele. Una cronaca della situazione di oggi su Avvenire in una corrispondenza di Graziano Motta
«Il governo di Abu Ala non ci reca alcuna speranza», ha detto il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom ai consoli generali dei Paesi occidentali a Gerusalemme che gli hanno fatto visita. Si è riferito innanzi tutto al fatto che Saeb Erekat, confermato ministro per i negoziati con Israele, ha chiesto di essere esonerato sostenendo che questi «devono essere di competenza dell'Olp e nelle mani dell'esecutivo di al-Fatah», ovvero devono convergere sempre su Yasser Arafat, «il solo a poter dare ordini per applicare ogni intesa che possa scaturire dai negoziati». Quando invece, ha ricordato Shalom, Israele vuole emarginare del tutto il rais. «Più della meta dei 24 ministri - ha inoltre spiegato - sono gli stessi che erano con Arafat negli stessi posti». Ha aggiunto comunque che «per intraprendere un negoziato attendiamo di vedere in quale modo egli intende combattere il terrorismo e impegnarsi nell'attuazione della Road map». Domenica, Abu Ala, ricevendo alcuni diplomatici europei ai quali ha illustrato il suo governo, la cui presentazione al Consiglio legislativo è attesa per giovedì, si è posto su una posizione attendista: «Vogliamo vedere quali serie misure Israele prenderà per uscire dalla crisi attuale», ha detto, suggerendo che ordini un ritiro completo da Gaza, come tempo fa si era pronunciato il leader laburista Shimon Peres. Replica israeliana: un ritiro unilaterale verrebbe interpretato dai palestinesi come un segnale della nostra debolezza. Ma il governo Sharon ha dovuto piegarsi dinanzi alla fermezza degli Stati Uniti sulla barriera di sicurezza: così il primo ministro ieri ha acconsentito che non includa la città di Ariel, il più importante insediamento ebraico nei Territori, ed eviti di attraversare il campus dell'università al-Qds di Gerusalemme. Intanto Arafat resta al centro sia di apprensioni (ieri è stato visitato a Ramallah dal suo medico personale, venuto da Amman, che non ha specificato il malessere di cui soffre); sia di nuove manifestazioni di sostegno politico (in migliaia hanno sfilato nei Territori per il terzo anniversario dell'Intifada), sia di controverse valutazioni israeliane (il procuratore generale Elyachim Rubinstein ha ritenuto non ricevibile la denuncia di una deputata del partito radicale Meretz e non perseguibile il quotidiano Jerusalem Post per aver rivolto in un editoriale l'invito a uccidere il rais).
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