Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Le proteste dei bazar e le scelte dell’Iran che hanno bruciato il rial Analisi di Davide Mattone
Testata: Il Foglio Data: 31 dicembre 2025 Pagina: I Autore: Davide Mattone Titolo: «Le proteste dei bazar e le scelte dell’Iran che hanno bruciato il rial»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 31/12/2025, a pag. I, con il titolo "Le proteste dei bazar e le scelte dell’Iran che hanno bruciato il rial" l'analisi di Davide Mattone.
Proteste di massa a Teheran, contro il caro vita ma anche contro lo stesso regime. La grave crisi economica in cui è finito il regime islamico è colpa del regime stesso, per le sue scelte economiche e finanziarie sconsiderate prese negli ultimi anni. Inutile che adesso gli ayatollah puntino il dito contro i soliti Usa e Israele, perché è un danno auto-inflitto.
Dopo aver perso quasi metà del suo valore nel 2025, il 29 dicembre a Teheran il rial ha toccato sul mercato libero quota 1,39 milioni per un dollaro. Così la protesta è passata dai post alle serrande: negozi chiusi, cortei di commercianti tra Saadi Street e il bazar, e rabbia contro inflazione e svalutazione. Lo stesso giorno il governatore della Banca centrale, Mohammad Reza Farzin, si è dimesso. Per il presidente della Repubblica islamica, Masoud Pezeshkian, il colpevole resta però l’occidente: secondo lui è in corso una “guerra totale” con Stati Uniti, Israele e Unione europea, accusati di voler “mettere il paese in ginocchio”. Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha parlato di “guerra economica” e di sanzioni contro la vita quotidiana dei cittadini, e anche la Fars News Agency, vicina ai pasdaran, rilancia la stessa linea.
L’alibi funziona finché passa l’idea che Teheran sia “a secco”. Ma l’Iran non è certo un paese povero di risorse. Secondo la Us Energy Information Administration (Eia), il paese dispone di alcune delle maggiori riserve mondiali di petrolio e gas. E anche sotto sanzioni l’export di greggio continua a generare entrate nell’ordine di decine di miliardi di dollari. Reuters, utilizzando i dati della stessa Eia, stima oltre i 50 miliardi di dollari in entrate nel 2023, grazie a una logistica opaca fatta di flotte ombra e compratori in Asia, soprattutto in Cina.
Una parte di quei proventi, tuttavia, non finisce nell’economia reale. Secondo le stime del Dipartimento di stato americano e secondo il Parlamento britannico, il solo sostegno iraniano a Hezbollah vale centinaia di milioni di dollari l’anno, con stime fino a 700 milioni. Il Wilson Center ricorda inoltre i finanziamenti – nell’ordine dei 100 milioni annui – destinati in passato a gruppi palestinesi. A questi si aggiungono gli aiuti al regime di Assad, ad Hamas, agli Houthi e ad altre milizie. E’ il perimetro dell’ecosistema di proxy con cui Teheran combatte guerre per procura. Sono scelte di allocazione, non effetto delle sanzioni: ogni dollaro speso fuori bilancio è un dollaro sottratto ai cittadini iraniani.
L’escalation delle sanzioni ha certo innescato il deprezzamento del rial e accresciuto le aspettative d’inflazione. Ma sono le scelte interne – deficit, finanziamento, cambi multipli e sussidi distorsivi – a trasformare quello choc in enorme perdita di potere d’acquisto.
La Banca mondiale, nel suo Macro poverty outlook pubblicato nell’ottobre 2025, descrive un bilancio che ha smentito la retorica dell’austerità. Il budget era stato presentato come contractionary, manel 2024-25 la spesa ha superato i target di oltre il 40 per cento. Il deficit stimato è pari al 3,2 per cento del pil, coperto raddoppiando l’emissione di bond e attingendo al National development fund – il fondo sovrano iraniano – e al sistema bancario. L’inflazione generale nei primi mesi
del 2025-26 è proiettata al 40,1 per cento, quella dei generi alimentari al 44,5. Sempre secondo la Banca Mondiale, solo 3,8 persone su 10 in età da lavoro risultano occupate; per le donne la quota scende a 1,2.
L’Iran Economic Monitor della stessa istituzione, nella primavera 2024, stimava il debito dello stato verso il fondo sovrano – usato come bancomat – intorno ai 100 miliardi di dollari, circa il 30 per cento del pil. E ricordava che per anni al fondo è arrivato solo il 20 per cento dei proventi petroliferi invece del 40 previsto. Lo stesso rapporto ricostruisce la storia del “cambio preferenziale”: una fabbrica di rendite travestita da politica sociale. Introdotto nel 2018 a 42.000 rial per dollaro per i beni essenziali, poi ridimensionato, cancellato nel 2022 e reintrodotto pochi mesi dopo a 285.000. Un tasso per chi ha accesso, un altro per chi resta fuori. Il differenziale tra i tassi incentiva l’arbitraggio, le intermediazioni e la corruzione, spingendo le famiglie a difendersi come possono: convertendo rial in dollari, e dollari in beni.
La Banca mondiale lega inoltre il rallentamento dell’economia ad anni di sottoinvestimento nelle infrastrutture energetiche. La crescita del pil petrolifero è scesa al 4,6 per cento nel 2024-25, dopo il 18,8 del biennio precedente. Inoltre, le carenze di energia e acqua portano a razionamenti e blackout che interrompono l’attività economica. Un’analisi del Carnegie dell’estate 2025, dal titolo “Iran’s energy dilemma”, descrive la crisi energetica come il risultato di decenni di mismanagement e prezzi distorti dai sussidi, che hanno depresso investimenti e manutenzione. Nel Macro Poverty Outlook la Banca mondiale segnala anche un calo delle precipitazioni del 41 per cento rispetto al 2024, collegando la scarsità idrica a una gestione “subottimale” delle risorse.
Ma perché questi errori si ripetono? Il Transformation Index 2024 della Bertelsmann Stiftung descrive un modello corrotto in cui circa l’80 per cento dell’attività economica è controllato dal settore statale e semi-statale, in un intreccio “stato-business-associazioni paramilitari” che premia le reti politicomilitari e le fondazioni come i Bonyad.
Le sanzioni internazionali sono solo un piccolo pezzo della storia del fallimento economico iraniano. Scelte ripetute per anni, che portano in strada oggi chi vende, produce e risparmia.
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