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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Il Riformista Rassegna Stampa
31.12.2025 Il riconoscimento del Somaliland, mossa anti-Houthi
Analisi di Pasquale Ferraro

Testata: Il Riformista
Data: 31 dicembre 2025
Pagina: 4
Autore: Pasquale Ferraro
Titolo: «Il riconoscimento del Somaliland, mossa anti-Houthi»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 31/12/2025, a pagina 4, l'analisi di Pasquale Ferraro dal titolo "Il riconoscimento del Somaliland, mossa anti-Houthi".

Israele è il primo paese al mondo a riconoscere il Somaliland, indipendente di fatto dal 1991, anche se formalmente parte della Somalia. Una mossa che strategicamente serve per contrastare gli Houthi filo-iraniani insediati nello Yemen, dall'altra parte del Mar Rosso.

A molti, per non dire ai più, il Somaliland è quasi sconosciuto, ed è rientrato agli onori della cronaca per la decisione di Israele di riconoscerne la sovranità e dunque di essere il primo Paese della comunità internazionale a compiere questo passo.

In verità, il primo Stato a riconoscere l’indipendenza delle province del nord della Somalia è stata Taiwan nel 2022, e basterebbe questa dicotomia di rapporti internazionali per capire che nel Somaliland si gioca una partita che non è assolutamente riconducibile al già di per sé strategico Corno d’Africa, ma che va oltre e incrocia partite ben più complesse sullo scacchiere internazionale, incluso un comprensibile spostamento in Africa del baricentro dell’azione.

A riaccendere l’attenzione mediatica sul Somaliland è stata la condanna espressa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, con la sola e classica eccezione degli Stati Uniti, della mossa di Gerusalemme che ha spiazzato e allarmato allo stesso tempo gli attori in campo, a partire dalla Somalia che a breve guiderà proprio l’organo di peso delle sempre meno influenti Nazioni Unite.

La posizione statunitense è stata chiara e, da un punto di vista diplomatico, ineccepibile, perché secondo la vice rappresentante Usa “Israele ha il diritto di instaurare rapporti diplomatici come qualsiasi altro Stato sovrano” e dunque questa decisione non costituisce alcuna minaccia per la Somalia.
Al contrario, per gli Usa si tratta di “un’opportunità”.

Quello che preoccupa è la vicinanza con lo Yemen e la reazione degli Houthi che Israele contrasta in chiave anti-iraniana.

Di più, lo spostamento del baricentro israeliano fuori dalla regione indica la volontà di assumere un ruolo ben più ampio e che va nell’ottica di sostituirsi gradualmente a una parte dello sforzo americano.

Che in soldoni è quello che gli Stati Uniti dicono da anni ai partner medio-orientali: risolvete i vostri problemi con Israele perché solo lo Stato ebraico può proteggervi e sostenervi contro le minacce iraniane, ma anche turche.

Perché oggi il Corno d’Africa è come Tangeri nei primi del ’900: un crocevia di potenze – Italia compresa – che si scrutano e si studiano dalle loro basi affacciate sullo stretto di Bab al-Mandab.

Non è un caso che lo scenario meridionale, quello africano, il fronte sud dell’alleanza, è quello in cui da sempre il nostro Paese invita gli alleati a non abbassare la guardia.

Ed infatti le reazioni furibonde alla decisione israeliana sono state quelle di Iran, Turchia e Qatar.

Ma dietro la questione Israele–Somaliland e le proteste dell’Onu c’è anche la questione palestinese e soprattutto il prossimo futuro dei gazawi che, secondo quanto vaticinato dai nemici di Israele, verrebbero deportati proprio in quei territori.

Al di là delle ricostruzioni più o meno fantasiose resta un dato certo e inequivocabile: con la prossima adesione del Somaliland agli “Accordi di Abramo” e l’intesa strategica che andrà sempre più a rafforzare i rapporti militari, l’Idf avrà una base di lancio ravvicinata per colpire gli Houthi e, in caso di escalation nello Yemen, questo potrebbe garantire allo Stato ebraico un vantaggio non indifferente.

Più crescono le minacce, più Israele è chiamata a compiere mosse strategiche capaci di potenziare e ridisegnare in ottica sempre nuova la sua efficacia, che è poi l’elemento principe di una deterrenza efficace.

Non basta più colpire la piovra con la tattica del celebre Search and Destroy.
Per sconfiggerla devi assediarla costantemente, aspettando il momento giusto per assestare il colpo finale.

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redazione@ilriformista.it

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