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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Libero Rassegna Stampa
30.12.2025 Netanyahu: ‘Iran a ferro e fuoco se prova a riarmarsi’
Cronaca di Amedeo Ardenza

Testata: Libero
Data: 30 dicembre 2025
Pagina: 15
Autore: Amedeo Ardenza
Titolo: «Netanyahu a Mar-a-Lago «L’Iran a ferro e fuoco se proverà a riarmarsi»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 30/12/2025, a pag. 15, con il titolo "Netanyahu a Mar-a-Lago «L’Iran a ferro e fuoco se proverà a riarmarsi»", la cronaca di Amedeo Ardenza.

Fra Netanyahu e Trump c'è un'affinità di vedute quasi totale. Soprattutto sono convinti che se l'Iran dovesse riprendere a minacciare Israele con i suoi missili, riprenderebbe l'attacco. "Ma speriamo di non sprecare il carburante" per un secondo raid, è l'auspicio del presidente americano.

«Benjamin Netanyahu è un uomo forte, a volte difficile; d’altronde se non fosse un uomo forte Israele oggi non esisterebbe, invece oggi Israele è più forte che mai». Lo ha affermato Donald Trump accanto al Primo ministro israeliano dalla villa di Mar-a-Lago a Palm Beach in Florida. «Abbiamo un rapporto molto importante e lo vedete non solo dalla frequenza ma anche dal contenuti dei nostri incontri», gli ha fatto eco Bibi, all’inizio del suo sesto faccia a faccia con il presidente degli Stati Uniti. È la prima volta che i due leader si incontrano da quando lo scorso ottobre Trump ha annunciato da Israele l’inizio della tregua fra lo Stato ebraico e Hamas (e, incidentalmente, chiesto al presidente d’Israele Isaac Herzog di concedere la grazia a Bibi per i suoi processi per corruzione). «Grazia che so essere in dirittura d’arrivo», ha poi aggiunto Trump, prontamente smentito a distanza da Herzog. L’obiettivo dei colloqui è duplice: procedere verso la Fase due del piano di pace disegnato dal capo della Casa Bianca e appianare le divergenze insorte negli ultimi mesi fra i due alleati. E i segnali sono arrivati. «Ci sono delle piccole differenze con Netanyahu su quello che vogliamo, quello che vediamo. Ma abbiamo concordato su quasi tutto», dice il presidente degli Stati Uniti. Poi l’avvertimento a Hamas: «Se non disarma a breve pagherà. Daremo un breve tempo ad Hamas per disarmare, altrimenti pagherà un prezzo», ha detto Donald. Netanyahu, dal canto suo, ha annunciato la consegna del “Premio Israele” a Donald Trump «per il suo straordinario contributo a Israele e al popolo ebraico».
Quanto ai coloni «io e Netanyahu non siamo d’accordo al 100% in Cisgiordania, ma arriveremo ad una soluzione». Infine l’Iran: «Si sta comportando male. Se le notizie fossero vere, colpiremo più duramente che in passato», afferma il presidente degli Stati Uniti, «se proverà a riarmarsi o a riprendere il programma nucleare elimineremo tutte le armi di Teheran. Conosciamo i siti, ma speriamo non facciano nulla», non volendo «sprecare carburante» in un secondo attacco.
Le difficoltà legate all’avvio della seconda fase sono molte, a cominciare dalla mancata restituzione da parte di Hamas delle spoglie dell’ultimo ostaggio israeliano Ran Gvili. Ma se anche oggi stesso il gruppo terrorista palestinese annunciasse che il corpo del 24enne agente di polizia sta rientrando in Israele, per l’implementazione del piano di pace mancherebbe un altro elemento fondamentale: la forza di pace internazionale – ma soprattutto araba e islamica nei piani della Casa Bianca – pronta a garantire la sicurezza in una Striscia di Gaza dalla quale Israele si dovrebbe ritirare e nella quale Hamas dovrebbe deporre le armi. L’unico paese pronto a inviare i propri militari nell’enclave palestinese è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il presidente islamico storico fustigatore di Israele e contro il quale Israele ha messo il veto. In alto mare al momento anche il governo tecnocratico palestinese che dovrebbe governare su Gaza al ritirarsi di Hamas. Intanto, in un video diffuso su Telegram poche ore prima dell’incontro di Mar-a-Lago, il nuovo portavoce delle Brigate Ezzedine al-Qassam, il braccio armato di Hamas, ha affermato: «Il nostro popolo si sta difendendo e non rinuncerà alle armi finché l’occupazione continuerà. Non si arrenderà, anche se dovrà combattere a mani nude». Così Abu Obeida, ovvero l’esponente di Hamas che, presentatosi online a volto coperto, ha raccolto le insegne e anche il nome di battaglia dell’ex portavoce di Hamas eliminato da Israele lo scorso 25 agosto.
Alle difficoltà oggettive si aggiungono poi le differenze politiche: dall’allargamento criticato dagli Usa degli insediamenti israeliani in Cisgiordania all’approccio per la pacificazione del Libano (muscolare e militare per Israele, diplomatico per gli Usa) fino al ruolo del Qatar nel processo di pace in Medio Oriente (Gerusalemme, ricambiata, non si fida di Doha, mentre Trump ha trovato nella famiglia Al-Thani, padrona dell’emirato, un eccellente partner commerciale). Senza dimenticare la Siria: ogni volta che le forze armate siriane attaccano la minoranza drusa, le Israeli Defense Forces, che mantengono una zona-cuscinetto in territorio siriano, si alzano in volo per colpire chi minaccia il popolo druso amico di Israele; Trump al contrario vorrebbe che il nuovo uomo forte di Damasco, l’ex qaedista Ahmad al Shara’a, consolidasse la sua presa sulla Siria ed entrasse stabilmente nell’orbita americana.

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