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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Il Foglio Rassegna Stampa
22.12.2025 L’intifadah sulle spiagge
Commento di Ayaan Hirsi Ali (traduzione di Giulio Meotti)

Testata: Il Foglio
Data: 22 dicembre 2025
Pagina: 1
Autore: Ayaan Hirsi Ali
Titolo: «L’intifadah sulle spiagge»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/12/2025, a pag. 1 dell'inserto internazionale, l'analisi di Ayaan Hirsi Ali (tradotta da Giulio Meotti) originariamente pubblicata su The Free Press dal titolo: "L’intifadah sulle spiagge".

Ayaan Hirsi Ali
Bondi Beach, memoriale delle vittime. "Non è stato un’esplosione di follia privata - scrive Ayaan Hirsi Ali, su cui pende una condanna a morte degli jihadisti - E’ stato deliberato. Gli ebrei sono stati presi di mira durante una festività ebraica, in pieno giorno, in un luogo pubblico. Questo conta. Quando offuschiamo questo fatto, tradiamo i morti".

 

Mentre scrivo, 15 persone sono morte su una spiaggia di Sydney, in Australia, che un tempo rappresentava relax, sole e vita quotidiana”, scrive Ayaan Hirsi Ali sulla Free Press. “Bondi Beach non era destinata a diventare un luogo di massacro. Doveva essere un posto dove le famiglie si riunivano, dove i bambini correvano scalzi, dove la fede poteva essere praticata apertamente senza paura. Domenica, tutto questo è finito. Le vittime si erano radunate per celebrare la prima notte di Hanukkah. Era una festa di luce. Di resistenza. Di continuità. Famiglie con bambini. Anziani venuti a pregare. Un rabbino venuto a guidare le benedizioni e ad accendere la menorah di Hanukkah. Si trovavano allo scoperto, fiduciosi che l’Australia fosse ancora un paese in cui gli ebrei potessero vivere liberamente. Si sbagliavano. Tra i morti c’è un rabbino devoto, descritto dalla sua comunità come gentile e altruista. E’ stato ucciso anche un sopravvissuto all’Olocausto, un uomo che era sfuggito alla macchina di sterminio europea e che, nei suoi ultimi momenti, ha fatto scudo con il corpo alla moglie salvandole la vita. E’ sopravvissuto all’odio peggiore della storia solo per essere assassinato dai suoi eredi moderni, su una spiaggia di un paese che pensava sicuro. L’attacco non è stato casuale. Non è stato un’esplosione di follia privata. E’ stato deliberato. Gli ebrei sono stati presi di mira durante una festività ebraica, in pieno giorno, in un luogo pubblico. Questo conta. Quando offuschiamo questo fatto, tradiamo i morti. Il metodo scelto dagli assassini dovrebbe preoccuparci profondamente. Le famiglie si erano riunite in gioia quando uomini armati sono scesi da un’auto e hanno iniziato a sparare. La violenza è arrivata con rapidità e crudeltà, e sebbene la scala sia diversa, lo schema è inconfondibile: ricorda il 7 ottobre in Israele. Una festività. Una folla. Luce del giorno. Attaccanti che hanno preso di mira i più vulnerabili, sapendo esattamente cosa stavano facendo. Questo modo di uccidere è stato studiato, elogiato e diffuso per anni. Appare in opuscoli, video e post online. Viene celebrato in slogan urlati alle manifestazioni e stampati su cartelli. Viene scusato come rabbia, sanificato come politica. Quando l’uccisione è giustificata in termini morali, non sconvolge più. Invece, si moltiplica. L’Australia si è raccontata a lungo una storia consolatoria. E’ lontana dagli antichi odi. Le sue leggi sulle armi sono severe. Le sue città sono tranquille. La sua gente va d’accordo. Questa storia è stata ripetuta per anni, anche mentre la realtà andava nella direzione opposta. L’antisemitismo in Australia non è apparso all’improvviso. Negli ultimi anni è aumentato costantemente. Sinagoghe sono state incendiate. Scuole e asili ebraici sono stati vandalizzati. Auto bruciate. Case segnate. Bambini bullizzati. Minacce normalizzate. Dal 7 ottobre, gli incidenti antisemiti segnalati sono aumentati, raggiungendo livelli mai visti a memoria vivente. Attacchi terroristici contro obiettivi ebraici a Melbourne nell’ottobre e dicembre dell’anno scorso sono stati collegati al corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran. Eppure, troppo spesso, i leader hanno scelto la rassicurazione invece della sincerità. Slogan che invocavano violenza sono stati giustificati come protesta. Linguaggio forgiato nella violenza è stato trattato come politica. Minacce dirette sono state liquidate. Ogni ritirata ha dato più spazio all’odio. Quando l’omicidio riceve una scusa morale, non sconvolge più. Semplicemente si diffonde. L’atrocità di Bondi Beach è stata orribile, ma non imprevedibile. E’ stata il risultato di una lunga indulgenza. E’ stata tollerata fino a renderla possibile. Le idee contano perché modellano ciò che le persone arrivano ad accettare. Quando folle invocano l’intifada, stanno invocando la forma più brutale di violenza. Quando simboli ebraici vengono bruciati e gli ebrei indicati come simboli del male, questo non è dissenso, e certamente non “resistenza”, ma preparazione. E’ una prova generale di ciò che segue. Ogni società che ha fallito con i suoi cittadini ebrei lo ha fatto prima distogliendo lo sguardo, convincendosi che l’odio fosse solo parole, e che le parole non avessero conseguenze. Dopo un bagno di sangue, c’è sempre pressione per lenire. Per parlare di unità. Per accendere candele. Per promettere che l’amore vincerà. Questi gesti sono umani. Sono comprensibili. Ma sono lontani dall’essere sufficienti. L’amore senza coraggio non ferma l’odio. L’unità senza verità si dissolve in negazione. Ogni società che ha fallito con i suoi cittadini ebrei lo ha fatto prima distogliendo lo sguardo, convincendosi che l’odio fosse solo parole, e che le parole non avessero conseguenze. Una verità deve essere detta senza esitazione. L’estremismo islamista non è semplicemente un altro movimento guidato da lamentele. E’ una minaccia esistenziale per la società occidentale e per i valori che la sostengono. Rifiuta il pluralismo, disprezza la libertà di coscienza e prende di mira ebrei e cristiani proprio perché quelle tradizioni rappresentano limiti al potere e la dignità dell’individuo. La storia mostra chiaramente questo schema. Dove tale estremismo viene tollerato, le minoranze soffrono per prime, e la società più ampia segue. Non posso scrivere questo senza onorare l’uomo che è intervenuto mentre l’attacco si svolgeva. Ahmed al Ahmed, proprietario di un negozio di frutta, ha visto un uomo armato e, invece di ritirarsi nell’impotenza, si è mosso verso il pericolo. Quell’uomo incarna ciò da cui le società libere dipendono in ultima istanza quando le istituzioni vacillano: determinazione morale, coraggio fisico e rifiuto di accettare la violenza come destino. Non deve essere ridotto a una nota a piè di pagina. Merita riconoscimento come promemoria di cosa sia la vera cittadinanza quando conta di più. Il suo istinto è esattamente ciò che la leadership richiede in momenti come questo. Ciò che accadrà ora deciderà se l’atrocità di Bondi Beach diventerà un punto di svolta o un ulteriore precedente. Il terrorismo si nutre di debolezza. Studia le risposte. Misura l’esitazione. Se questo massacro verrà spiegato via, se le sue cause verranno addolcite, se il linguaggio familiare verrà permesso di continuare senza conseguenze, allora seguirà altro sangue. Non perché l’Australia lo meriti, ma perché l’odio legge il silenzio come permesso. Altri paesi hanno già scelto male. La Gran Bretagna parla mentre ebrei vengono assassinati in una sinagoga di Manchester. I Paesi Bassi predicano tolleranza mentre famiglie ebraiche pianificano silenziosamente la partenza. In entrambi i posti, i leader temono di più di essere fermi che di sbagliarsi. Il risultato è paralisi. L’Australia ha ancora una scelta. Una risposta seria significa franchezza e giudizio lucido. Significa applicare la legge senza scuse. L’istigazione non è opinione. Le invocazioni alla violenza non sono protesta. Agli ebrei non dovrebbe essere chiesto di nascondere la propria fede per stare al sicuro. Non dovrebbe essere detto loro di comprendere la rabbia di chi li minaccia. Non dovrebbero essere lasciati a chiedersi se il loro futuro sia altrove. Hanukkah è una storia di sopravvivenza contro forze che cercavano di cancellare un popolo. L’Australia può scegliere di onorare quel significato. Il terrore a Bondi Beach ha lanciato la sfida. La risposta dei leader australiani sarà il verdetto. “Mai più” non è una frase rituale riservata ai memoriali, ma uno standard con cui le nazioni vengono giudicate. Se l’Australia lo rispetterà sarà determinato non da discorsi o cerimonie, ma da ciò che farà ora”.

(Traduzione di Giulio Meotti)

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