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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Il Riformista Rassegna Stampa
21.12.2025 Il compromesso sull’Ucraina è precario
Analisi di Antonio Picasso

Testata: Il Riformista
Data: 21 dicembre 2025
Pagina: 2
Autore: Antonio Picasso
Titolo: «Al Consiglio Ue passa la linea Meloni-Macron, ma il compromesso sull’Ucraina è precario»

Riprendiamo dal RIFORMISTA edizione online, l'analisi di Antonio Picasso dal titolo "Al Consiglio Ue passa la linea Meloni-Macron, ma il compromesso sull’Ucraina è precario".


Antonio Picasso

Giorgia Meloni con Volodymyr Zelensky. Passa nel Consiglio Ue la sua linea moderata a sostegno dell'Ucraina, ma senza usare i capitali russi congelati. Ucraina soddisfatta a metà, la Russia è contenta e comunque ai governi putiniani (Ungheria, Slovacchia e Rep. Ceca) non basta comunque, perché loro vorrebbero interrompere del tutto gli aiuti al paese aggredito. Non è un buon compromesso.

Fare il gioco di chi vince e chi perde in questo Consiglio Ue è già di per sé una sentenza di sconfitta per tutta l’Europa. Mostrando le scissioni su asset russi e Mercosur, Bruxelles non si è giocata soltanto il sostegno alla causa ucraina, confermato nottetempo con le modalità che la Commissione non desiderava. Oppure l’apertura di un canale preferenziale nel libero scambio con l’America latina. No: per com’è andato il Consiglio, quanto detto da Trump, Musk, eccetera – pur nei toni certamente grevi – ha una sua fondatezza.

L’Europa continuerà a sostenere l’Ucraina. Come vuole la maggioranza dei suoi Paesi membri. Gli asset russi non verranno toccati e si ricorrerà al debito comune. Deng Xiaoping diceva che non è importante il colore del gatto, purché sappia prendere il topo. Zelensky potrebbe prenderla in questo modo. Tanto più che l’alternativa era non ottenere nulla. È una soluzione a tempo. Bisognerà vedere alla fine del 2026 se e come rimodularla. Ammesso e non concesso che per quella data non si arrivi a un accordo di pace. In tal caso, si potrà tornare a parlare di soldi del Cremlino in mano nostra come risarcimento di guerra.

La Germania è la grande sconfitta. Merz, come pure von der Leyen, ha smosso mari e monti perché passasse il ricorso agli asset. Berlino ha due nemici: Mosca e il debito. Anche quello che non è direttamente riconducibile alle sue finanze. Il timore della cancelleria è che, prima o poi, questo stress di spesa comunitaria ricada appunto sui bilanci nazionali. Solo per ora non è così. D’altra parte, il debito comune è il segno che l’Europa, seppur sfinita da un 2025 di dure prove, ha ancora qualche carta da giocarsi. Se non altro, per la sua disponibilità di spesa.

Dall’accordo vengono lasciati fuori i governi filoputinisti. Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno giocato in favore del Belgio, che a sua volta li ha sfruttati perché passasse il “no” agli asset. I primi in quanto mossi da questioni ideologiche, il Belgio da ragioni finanziarie. In parte sensate. C’è chi mette Bratislava, Budapest e Praga tra i vincitori della nottata. Per certi aspetti, è vero. Viene però da chiedersi quanto si possa andare avanti con questa convivenza. Euroscettici e anti-atlantisti emarginati sempre più spesso in Consiglio, oppure che se ne sfilano volontariamente. Salvo poi godere di tutti i benefici di essere membri di un club ricco e facoltoso come quello europeo.

I veri vincitori sono però Italia e Francia. Entrambi hanno fin da subito manifestato perplessità in merito al ricorso agli asset russi per finanziare l’Ucraina. Non soltanto per un discorso di credibilità sui mercati. I dubbi erano stati sollevati anche dalla Bce. Ma anche per le modalità di negoziazione di von der Leyen. Se è vero – come si dice – che la presidente Ue ha iniziato a valutare la strada degli asset già a settembre, senza però consultarsi in camera caritatis con i Paesi direttamente coinvolti, siamo di fronte a un eccesso di decisionismo da parte di un esecutivo privo di quelle prerogative. Tutti sognano un’Europa più dinamica e meno vincolata agli interessi contrastanti tra i suoi Stati membri. Ma per renderla tale serve una riforma. Non la libera iniziativa di Bruxelles.

Meloni e Macron non si vogliono bene. È un dato di fatto. Lo è altrettanto la condivisione di destini delle nostre due nazioni. Tant’è che il gioco di coppia non si è limitato al dossier Ucraina, ma ha bloccato anche l’accordo con il Mercosur. Oggi von der Leyen sarebbe dovuta volare in Brasile per la firma del trattato. Il viaggio è stato rimandato al 12 gennaio. Difficile che per allora le richieste di maggiore reciprocità e nuove tutele dei prodotti europei possano essere integrate nell’accordo. Francia e Italia su questo dossier si sono mosse come hanno fatto sempre. E quindi com’era prevedibile. Nonostante le rimostranze di Confindustria e Medef – l’associazione degli imprenditori francesi – ha prevalso la voce della filiera dell’agrifood. I nostri standard di sicurezza alimentare e ambientale non hanno paragoni con nessun altro mercato. L’Unesco ha dato il sigillo di patrimonio immateriale dell’umanità alla cucina italiana non solo perché carbonara e cotoletta sono buone. Ma perché rientrano in una filiera agroalimentare, di respiro europeo, di portata industriale, ma qualitativamente sostenibile. Secondo Roma e Parigi, l’accordo con il Mercosur rischia di compromettere questa posizione di mercato. Con le immaginabili conseguenze economiche e politiche.

Ricordiamoci che gli agricoltori votano. E quando lo fanno, sono mossi da una collera che o si manifesta in espressioni sanguigne, come quelle viste nelle strade di Bruxelles appena giovedì, oppure tendono a sostenere le forze più euroscettiche e populiste. Per evitarlo, bisogna riconoscere il loro giusto peso produttivo. Questo non è atteggiamento da provinciali, come detto da alcuni verso Meloni e Macron. Eliseo e Palazzo Chigi hanno risposto a un loro elettorato che si comporta allo stesso modo anche in Paesi che il Mercosur lo vorrebbero fin da domani. Vedi la Germania.

 

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