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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Il Riformista Rassegna Stampa
16.12.2025 La guerra agli ebrei diventa globale. E l’Occidente balbetta
Editoriale di Claudio Velardi

Testata: Il Riformista
Data: 16 dicembre 2025
Pagina: 1
Autore: Claudio Velardi
Titolo: «La guerra agli ebrei diventa globale. E l’Occidente balbetta»

Riprendiamo dal RIFORMISTA del 16/12/2025, a pagina 1, l'editoriale del direttore Claudio Velardi dal titolo: "La guerra agli ebrei diventa globale. E l’Occidente balbetta".


Claudio Velardi

I terroristi hanno sparato per uccidere più ebrei che potevano, nella festa di Hanukkah, proprio come il 7 ottobre 2023 Hamas aveva compiuto il suo massacro nel giorno della Simchat Torah. E' una guerra globale contro gli ebrei. E tutti devono scegliere da che parte stare.

Ci sono momenti nella storia in cui la nebbia si alza e il campo di battaglia appare per quello che è, senza veli.
Domenica a Bondi Beach, mentre migliaia di innocenti festeggiavano Hanukkah, la festa della luce, due persone hanno deciso scientemente di uccidere quanti più ebrei era possibile.
Semplicemente mettendo in pratica quello che da anni si dice, si predica, si avalla, si fomenta, si tollera, si propaganda, si sostiene, si giustifica, si sottoscrive.
Niente di più, niente di meno: eliminare gli ebrei.

A Sydney tutti i ragionamenti astratti, gli arzigogoli giustificazionisti, i perversi distinguo tra antisionismo e antisemitismo – quella foglia di fico dietro cui si nasconde la viltà morale dell’intellighenzia occidentale – sono morti. E sono morti per sempre i convegni, i talk show e gli editoriali in cui si spiega, con il ditino alzato, che “criticare Israele è un diritto democratico e nulla ha a che fare con l’odio per gli ebrei”. In teoria, in un mondo ideale, sarebbe così.
Nella realtà del 2025, questa è una menzogna che ha le gambe corte e le mani sporche di sangue.

La verità che Sydney ci sbatte in faccia è che è in atto una guerra globale. Non contro un governo, non contro una politica, ma contro un popolo, i cui nemici hanno una strategia mondiale e un’agibilità operativa spaventosa.
Colpiscono a Tel Aviv come a Bondi Beach, ad Amsterdam come a Parigi. E lo fanno finanche seguendo un calendario crudele e simbolico: colpiscono quando c’è luce, quando c’è festa, quando le difese della quotidianità si abbassano per lasciare spazio alla preghiera o alla gioia.
Il 7 ottobre era Simchat Torah, domenica era Hanukkah. Il messaggio è chiaro: non siete al sicuro da nessuna parte, nemmeno mentre accendete una candela su una spiaggia dall’altra parte del mondo.

Di fronte a questa caccia globalizzata all’uomo, l’Occidente continua a balbettare i suoi “sì, ma…”.
Si piangono pure i morti ebrei in giro per il mondo, ma si continua a delegittimare, isolare e criminalizzare l’unico luogo al mondo che garantisce la sopravvivenza fisica e politica di quel popolo: Israele.

Non può più funzionare così. Governanti, politici e intellettuali del nostro mondo che si definisce civile devono saperlo.
Se togli legittimità allo Stato ebraico, se gridi al genocidio ogni volta che si difende, stai costruendo l’ecosistema morale in cui gli stragisti di Sydney si sentono eroi della resistenza. Chi ha tollerato gli slogan “dal fiume al mare” nelle nostre università ha caricato le armi che hanno sparato ieri.

Lo diciamo con l’angoscia di chi vede restringersi ogni giorno lo spazio della ragione: siamo in guerra. E in guerra la zona grigia non esiste. Ogni equidistanza è complicità.

Oggi non è più possibile dirsi “amici degli ebrei” e nemici di Israele.
Perché se cade quel presidio, se cade Israele, la caccia sarà aperta ovunque e non ci sarà nessun posto dove scappare.

Il tempo degli alibi è finito a Sydney.
Ora bisogna scegliere da che parte stare.

 


redazione@ilriformista.it

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