Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Il paragone che uccide la logica Commento di Daniele Scalise
Testata: Informazione Corretta Data: 12 dicembre 2025 Pagina: 1 Autore: Daniele Scalise Titolo: «La grammatica della paura/2: Il paragone che uccide la logica»
La grammatica della paura/2: Il paragone che uccide la logica Commento di Daniele Scalise
Daniele Scalise
Nazismo, ghetto, genocidio. In Europa hanno un peso specifico assoluto perché evocano l’orrore, congelano la mente e alzano di colpo la tensione emotiva. Chi parla di “nazismo israeliano” sa perfettamente di dire il falso, ma lo fa per suscitare un'emozione forte. E' un verdetto di condanna senza appello
A volte le parole che non servono a capire, ma sono molto efficaci per colpire. Nazismo, ghetto, genocidio. In Europa hanno un peso specifico assoluto perché evocano l’orrore, congelano la mente e alzano di colpo la tensione emotiva. E infatti vengono usate proprio per questo, moltiplicatori di paura e non strumenti di analisi. Ogni volta che si parla di Israele, qualcuno prende scorciatoie semantiche che non hanno nulla a che fare con la storia e molto a che fare con il bisogno di creare un brivido morale.
È il meccanismo più violento nel dibattito contemporaneo, perché non si limita a distorcere ma vuole proprio incendiare. Come funziona? Almeno in tre mosse. Prima si aggancia un’immagine del passato che tutti riconoscono e che nessuno osa mettere in discussione. Poi la si incolla agli eventi presenti, senza verificare se esista una reale corrispondenza. E infine si lascia che l’accusa faccia da sola il suo lavoro, producendo una paura automatica. Israele non viene più giudicato per ciò che fa, ma per ciò a cui viene paragonato.
Questi paragoni non informano su Israele ma semmai danno notizie su chi li usa. Chi parla di “nazismo israeliano” sa perfettamente di non descrivere un fatto ma descrive un’emozione. Sa perfettamente che non sta offrendo un’analisi, ma emettendo un verdetto. È una manipolazione molto semplice che prende il simbolo del male assoluto e lo applica alla democrazia che, in Medio Oriente, è stata vittima di uno dei pogrom più atroci del ventunesimo secolo. Il risultato è un cortocircuito che non chiarisce nulla e che serve solo a un obiettivo, che è quello di rendere Israele moralmente pericoloso.
L’analogia è uno strumento nobile quando aiuta a capire ma qui lavora al contrario, e cioè cancella la complessità, allarga il buio piuttosto che illuminare. Dire che Gaza è un “ghetto” non spiega la presenza di un’organizzazione terroristica che governa la Striscia né i razzi, gli scudi umani, le infrastrutture militari sotto gli ospedali. Non spiega la scelta deliberata di Hamas di sacrificare la propria popolazione per produrre immagini utili alla propaganda. Dire “genocidio” non descrive una realtà ma officia il suo funerale.
Il ragionamento salta e l’effetto resta. E stiamo parlando di un effetto di paura. Perché se Israele viene messo sullo stesso piano dei carnefici del Novecento, allora qualunque sua azione diventa sospetta, qualunque sua giustificazione suona come una scusante, qualunque suo diritto appare come un abuso inaccettabile. Il paragone, gonfiato fino all’assurdo, trasforma lo Stato ebraico in una figura morale minacciosa: non importa cosa faccia, importa cosa evoca.
L’Europa, con il suo passato irrisolto, cade in questa trappola con una facilità disarmante e, lasciatemelo dire, rivoltante. Ha paura di riconoscere il nuovo antisemitismo e allora preferisce ribaltare il significato dei propri fantasmi. È più semplice dire che gli ebrei di oggi sono i carnefici che ammettere che il continente non ha mai davvero elaborato la propria colpa. L’analogia tossica diventa così un rito di autopurificazione: si proietta altrove ciò che non si vuole vedere in casa propria.
L’effetto politico è pesante. Ogni volta che il paragone viene usato, il dibattito smette di parlare di sicurezza, responsabilità, diritto internazionale, contesto. Tutto si sposta su un piano morale assoluto, dove Israele può soltanto essere giudicato ma mai compreso. E quando la logica muore, la paura prende il suo posto.
La verità è semplice: chi usa questi paragoni non sta cercando di capire Israele, sta cercando di cancellarlo dal campo morale in cui è possibile difendersi. Perché una volta che vieni accostato ai peggiori criminali della storia, nessuna spiegazione è ammessa, nessuna complessità è tollerata, nessuna legittimità sopravvive.
È il motivo per cui questi paragoni vanno respinti senza indulgenza. Perché non sono errori retorici ma vere e proprie armi che hanno come scopo non quello di descrivere Israele, ma di farlo temere. Quando invece, se si avesse il coraggio di guardare i fatti, a far paura sarebbe soltanto la facilità con cui si spegne la logica pur di incendiare la coscienza pubblica.