mercoledi` 10 dicembre 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



Clicca qui






israele.net Rassegna Stampa
10.12.2025 Tanti membri delle comunità non ebraiche d’Israele scelgono di arruolarsi nelle IDF
Editoriale del Jerusalem Post

Testata: israele.net
Data: 10 dicembre 2025
Pagina: 1
Autore: Redazione del Jerusalem Post
Titolo: «In un Medio Oriente dove le minoranze vengono spesso perseguitate, il fatto che tanti membri delle comunità non ebraiche d’Israele scelgano di arruolarsi nelle IDF è di per sé notevole: non cancella tutti i problemi, ma è un tacito voto di fiducia che sme»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - la traduzione dell'editoriale del Jerusalem Post, dal titolo "In un Medio Oriente dove le minoranze vengono spesso perseguitate, il fatto che tanti membri delle comunità non ebraiche d’Israele scelgano di arruolarsi nelle IDF è di per sé notevole: non cancella tutti i problemi, ma è un tacito voto di fiducia che smentisce le calunnie della propaganda anti-israeliana".

Soldati drusi in servizio nelle Forze di Difesa israeliane

Quando il colonnello (arabo) Safi Ibrahim attraversa villaggi drusi nelle alture del Golan vede qualcosa che sarebbe stato quasi inimmaginabile una decina di anni fa.

I giovani che un tempo nascondevano il loro legame con lo Stato ebraico ora indossano apertamente le uniformi delle Forze di Difesa israeliane nelle cittadine druse di Majdal Shams, Mas’ade, Buq’ata ed Ein Qiniyye, animati da una motivazione all’arruolamento molte volte superiore rispetto a prima della guerra.

Come ha riportato Dana Ben-Shimon nell’ultimo numero di Jerusalem Report, il massacro di civili drusi nella Siria meridionale, il crollo del regime di cui un tempo si fidavano e il missile Hezbollah che nell’agosto del 2024 ha colpito un campetto di calcio a Majdal Shams uccidendo 12 ragazzini hanno infranto molte vecchie convinzioni.

“I drusi residenti in Siria pensano che non ci sia nessuno che possa aiutarli più dello Stato di Israele”, afferma Ibrahim. I fratelli oltre confine e lo Stato nel cui esercito lui presa servizio sono diventati parte della stessa storia.

Non è una vicenda che riguarda solo i drusi. Ibrahim sottolinea che dal 7 ottobre la percentuale di coscritti drusi è salita a circa l’85%, quella dei beduini è rimasta elevata e quella degli arabi cristiani è triplicata solo nell’ultimo anno.

Si sta arruolando volontariamente nelle Forze di Difesa israeliane anche un numero limitato ma in crescita di arabi musulmani provenienti da città come Nazareth, Ramla e Sakhnin. Le cifre sono ancora modeste, ma la tendenza è chiara.

Mentre Israele è invischiato in un’aspra polemica sulla coscrizione obbligatoria degli ebrei ultra-ortodossi, con alcuni partiti della coalizione che minacciano di far cadere il governo in caso di cambiamenti su questo tema, le minoranze di israeliani non ebrei – spesso descritti come outsider – stanno tacitamente votando con le loro gambe per un futuro israeliano condiviso.

La dott.ssa araba israeliana Shaden Salameh-Youssef, direttrice del reparto Medicina d’urgenza dell’ospedale Hadassah sul Mount Scopus, Gerusalemme (al centro in camice bianco), circondata dal suo staff di operatori ebrei e arabi

Questo sorprendente contrasto svela una verità più profonda, che i più accaniti critici di Israele preferiscono ignorare.

Da anni, i forum internazionali bollano Israele come uno “stato di apartheid” in cui agli arabi sarebbe preclusa la piena partecipazione. La realtà vissuta, soprattutto dopo il 7 ottobre, è assai diversa. La coesistenza qui non è perfetta, ma innegabilmente esiste.

Lo si vede chiaramente negli ospedali e nei campus. I cittadini arabi, che rappresentano circa il 21% della popolazione, costituiscono oggi circa un quarto dei medici e degli infermieri e quasi la metà dei farmacisti.

Decine di migliaia di studenti arabi studiano in istituti israeliani, in una percentuale molto vicina a quella della loro presenza nella popolazione.

Questo non è certo il profilo di un sistema che cerchi di escludere un quinto dei suoi cittadini dalla vita pubblica.

Anche la rappresentanza politica riflette questa complessità. L’attuale Knesset comprende sia parlamentari arabi eletti nelle liste arabe, sia parlamentari arabi e drusi eletti in liste a maggioranza ebraica.

Soldati israeliani in pausa preghiera, uno ebreo e uno musulmano

Nulla di tutto ciò cancella i problemi reali. Le città arabe soffrono ancora di investimenti insufficienti, elevati tassi di criminalità e carenze infrastrutturali.

Le scuole arabe sono indietro e le organizzazioni della società civile denunciano giustamente discriminazioni e mancate opportunità, dalle politiche di pianificazione alle assunzioni nel settore pubblico.

Dal 7 ottobre, il clima politico interno si è inasprito e la fiducia tra le comunità è stata messa a dura prova.

Eppure è proprio in tempo di guerra che il persistere della convivenza conta di più.

Il 7 ottobre i terroristi palestinesi che hanno fatto irruzione da Gaza per massacrare e rapire israeliani non chiedevano se le loro vittime fossero ebrei, beduini, cristiani o lavoratori stranieri. Sono terroristi che uccidono una donna beduina con il velo sul capo con la stessa noncuranza con cui uccidono un membro di kibbutz ebreo in sandali e t-shirt.

Questa ferocia è sotto gli occhi di tutti, anche dei cittadini arabi israeliani, e ha spinto molti di loro a ribadire dov’è la loro casa e con chi vogliono convivere.

Israele deve considerare questa situazione come un’opportunità storica.

Se drusi del Golan, beduini del Negev, arabi cristiani di Nazareth e donne musulmane di Ramlah scelgono di prestare servizio, lo Stato ha la responsabilità di venir loro incontro: bilanci equi, investimenti seri nell’istruzione e nelle infrastrutture e tolleranza zero per razzismo e istigazione all’odio in entrambe le direzioni.

Israele può e deve essere autocritico, e le minoranze hanno tutto il diritto di esigere eguaglianza nella pratica, non solo sulla carta.

Ma del quadro fanno parte anche gli affollati reparti ospedalieri gestiti da medici arabi, le aule universitarie piene di studenti arabi e le basi delle IDF dove prestano servizio soldati delle minoranze.

In una regione in cui le minoranze sono spesso perseguitate, espulse o massacrate, che così tanti membri delle comunità minoritarie scelgano Israele e non i suoi nemici è un fatto notevole.

È un tacito voto di fiducia nell’unico Stato ebraico e nella possibilità di un futuro condiviso.

Il nostro compito, come società, è quello di essere all’altezza di tale fiducia.

(Da: Jerusalem Post, 9.12.25)

Per inviare a israele.net la propria opinione, cliccare sull'indirizzo sottostante


http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT