Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Le donne di Yahalom nell’élite del genio militare Commento di Shira Navon
Testata: Setteottobre Data: 08 dicembre 2025 Pagina: 1 Autore: Shira Navon Titolo: «Le donne di Yahalom nell’élite del genio militare»
Riprendiamo dal giornale di SETTEOTTOBRE online, il commento di Shira Navon dal titolo: "Le donne di Yahalom nell’élite del genio militare"
Le donne entrano anche nell'unità Yahalom, specializzata in esplosivi, tunnel, demolizioni e operazioni clandestine. Un compito molto pericoloso che finora era riservato solo agli uomini. Con buona pace delle femministe pro-Pal occidentali, Israele è il paese che sta compiendo le scelte più femministe.
Per anni Yahalom, l’unità di élite del genio militare israeliano specializzata in esplosivi, tunnel, demolizioni e operazioni clandestine, è stata considerata uno dei reparti più impermeabili all’ingresso delle donne. Un luogo dove si entra solo dopo aver superato selezioni durissime, con un margine di fallimento altissimo e una cultura operativa forgiata in decenni di guerra contro minacce irregolari, in particolare Hezbollah e Hamas. Ma qualcosa si è spezzato — o meglio, si è finalmente aperto. Il Capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha annunciato che il programma pilota avviato due anni e mezzo fa ha funzionato. Le donne non solo possono servire in Yahalom (in ebraico la parola vuol dire anche ‘diamante’) ma l’hanno già fatto, e lo hanno fatto bene.
Il progetto, guidato dal generale Nadav Lotan, non era un gesto simbolico. Era un test severo, pensato per capire se le combattenti fossero in grado di sostenere gli stessi standard operativi degli uomini in un reparto che ogni giorno lavora tra mine, trappole esplosive, ordigni improvvisati e infrastrutture sotterranee. Sin dall’inizio, l’obiettivo non era “creare un’unità femminile”, ma integrare le soldatesse nei team esistenti, sotto le stesse regole, con la stessa responsabilità. Tre cicli di reclutamento, un percorso formativo che richiede la padronanza di piattaforme tecnologiche sofisticate, la capacità di operare in ambienti claustrofobici, a volte a contatto con il nemico, spesso in condizioni fisiche proibitive.
Il bilancio, a detta dei comandanti, è chiaro: le reclute hanno risposto con una professionalità inattesa perfino da chi aveva aperto la strada. Hanno partecipato a centinaia di operazioni, dal confine nord — dove Hezbollah continua a scavare, osservare e provocare — fino alla Striscia di Gaza, dove l’unità Yahalom è impegnata nel localizzare tunnel, neutralizzare trappole e mappare infrastrutture sotterranee che Sinwar ha trasformato in una città parallela. In questi scenari di massima tensione, le soldatesse hanno dimostrato non solo competenza tecnica, ma una determinazione che molti ufficiali definiscono “implacabile”.
La decisione di proseguire il programma — e trasformarlo in un modello stabile — arriva anche in risposta a una battaglia legale. La Corte Suprema israeliana, negli ultimi anni, ha ricevuto diversi ricorsi che chiedevano l’apertura delle unità d’élite e delle brigate di fanteria alle donne qualificate. Non una rivendicazione astratta, ma un principio semplice: se una soldatessa raggiunge gli standard, deve poter servire. L’esercito ha resistito a lungo, temendo ricadute operative; ora non può più dire che non è possibile.
Yahalom non è un reparto qualunque. È il luogo dove si combatte il nemico invisibile come le mine posate sotto la sabbia del Negev, gli ordigni improvvisati sepolti sotto l’asfalto del Libano, i tunnel che Hamas usa per muoversi come un’ombra sotto Gaza. Qui non si cerca la gloria, ma la precisione. Non si sventolano bandiere ma si disinnescano morte e trappole. Che in questo ambiente siano entrate soldatesse che reggono ritmo, pressione e missione è un segnale culturale e militare insieme.
Tsahal ha accompagnato il percorso con un sistema di tutela e sostegno completo che comprende il monitoraggio medico, una preparazione fisica calibrata, assistenza psicologica, adattamenti logistici quando necessari. Quindi zero privilegi, ma strumenti per garantire condizioni di partenza eque, in un mestiere che non permette di fare sconti a nessuno.
L’apertura definitiva di Yahalom alle donne non è un gesto progressista da comunicato stampa ma una importante rivoluzione operativa. In un esercito che combatte un nemico che cambia forma continuamente, ampliare il bacino dei talenti è una necessità e non un mezzo per farsi dire quando sono bravi e avanzati socialmente. E il fatto che le nuove reclute abbiano già messo piede nei luoghi più pericolosi del fronte mostra che questa decisione non nasce dall’ideologia, ma dall’esperienza sul campo.
Dopo anni in cui si è discusso se “fosse opportuno”, oggi sono i dati di fatto a testimoniare che le donne di Yahalom sono già parte della soluzione. E da ora lo saranno ufficialmente.