Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Mehdi Mohammadi, lo stratega che sogna un nuovo 7 ottobre Analisi di Paolo Crucianelli
Testata: Il Riformista Data: 05 dicembre 2025 Pagina: 7 Autore: Paolo Crucianelli Titolo: «Mehdi Mohammadi, lo stratega che sogna un nuovo 7 ottobre. È la vera minaccia per Israele»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 05/12/2025, a pagina 7, l'analisi di Paolo Crucianelli dal titolo "Mehdi Mohammadi, lo stratega che sogna un nuovo 7 ottobre. È la vera minaccia per Israele".
Mehdi Mohammadi, un fanatico con accesso ai centri decisionali dell'Iran. Il pericolo peggiore per Israele.
In mezzo al frastuono delle analisi sul Medio Oriente post-guerra, una figura emerge come la più inquietante e sottovalutata minaccia alla sicurezza di Israele: Mehdi Mohammadi. Consigliere strategico del presidente del Parlamento iraniano Mohammad Baqer Qalibaf, membro del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale e ideologo di riferimento dell’ala più radicale del regime, Mohammadi non è un comandante militare né un tecnico dei Pasdaran. È qualcosa di più pericoloso: uno stratega fanatico, capace di trasformare una visione ideologica totalizzante in un piano operativo.
Il suo nome è balzato all’attenzione internazionale dopo la pubblicazione, il 1° novembre, di un articolo che proponeva esplicitamente la preparazione di un’operazione “multi-frontale, simultanea e devastante” contro Israele. Non una metafora, non un’esagerazione retorica: Mohammadi parla apertamente di un nuovo “7 ottobre” moltiplicato su quattro o cinque fronti, una “guerra totale” in cui ogni componente dell’asse della “resistenza” – Hezbollah, Houthi, milizie irachene, cellule sciite in Siria – dovrebbe colpire Israele nello stesso momento.
Per comprendere la gravità di questa minaccia, occorre chiarire chi è davvero Mehdi Mohammadi. Ex editorialista del quotidiano conservatore Kayhan, consigliere politico del presidente dell’Iran nel 2021-2022 e oggi figura influente attorno al presidente del Parlamento, Mohammadi svolge un ruolo centrale nella definizione della narrativa strategica del regime. Scrive regolarmente di sicurezza nazionale, deterrenza e “resistenza armata”, ed è considerato una delle voci più radicali della Repubblica Islamica. Le sue posizioni sono capaci di orientare il dibattito strategico proprio nell’élite che decide le linee di politica estera e militare.
È da questa posizione che ha elaborato la sua teoria: secondo lui, il regime ha ormai compreso che il confronto con Israele è “totale e irreversibile”, una lotta che va oltre Gaza e oltre la deterrenza classica. Il modo per colpire Israele, sostiene, non è più un conflitto lineare – Libano o Gaza – ma una sinfonia di attacchi convergenti, un “7 ottobre” replicato contemporaneamente dal nord, dal sud, dall’est e persino dall’interno dei territori palestinesi.
L’idea sta circolando nei palazzi di Teheran con rapidità inquietante. La guerra dei 12 giorni ha traumatizzato il regime, danneggiato programmi missilistici e infrastrutture di intelligence, decimato i vertici ed esposto vulnerabilità profonde. Per Mohammadi e per molti altri estremisti dell’élite iraniana, la conclusione è ovvia: l’Iran deve ottenere la sua vendetta alzando la posta, non cercando compromessi. E infatti Teheran sta ricostruendo il proprio arsenale missilistico, estendendo la gittata dei vettori, ostacolando il disarmo di Hezbollah e subendo la crescente pressione – anche da figure come Mohammadi – per finalizzare la costruzione di un’arma nucleare.
L’uomo che pubblicò sui social l’immagine di un attacco atomico contro Israele – salvo poi attribuirlo a un assistente – non è un provocatore isolato. È un ideologo organico al potere, uno che formula dottrina strategica e che ha la capacità di influenzare tanto i Pasdaran quanto il leader supremo. Per questo, più di ogni generale sul campo, rappresenta il volto più pericoloso della minaccia iraniana.
Il suo progetto di un attacco coordinato su più fronti coincide con diversi segnali di intelligence già emersi: presenza Houthi in Siria, tentativi di Hamas e Jihad Islamica di costruire infrastrutture nel Paese, pianificazioni di infiltrazioni via Giordania, ricostruzione accelerata delle unità d’élite di Hezbollah. Tasselli che, messi insieme, rivelano l’eco operativa delle sue teorie.
Il punto centrale è questo: non siamo davanti a un fanatico qualunque, ma a un estremista con accesso diretto ai centri decisionali. Il 7 ottobre è stato un orrore senza precedenti. Mohammadi vuole trasformarlo in un modello operativo. È questa, oggi, la sua vera pericolosità.
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