Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
'Le ong a Gaza erano parte del sistema di Hamas'. L’inchiesta che rivela la collusione Analisi di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 05 dicembre 2025 Pagina: 1/I Autore: Giulio Meotti Titolo: «Garanti umanitari»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/12/2025, a pagina 1-I, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Garanti umanitari".
Giulio Meotti
Aiuti umanitari o aiuti ai terroristi? Le grandi Ong internazionali, come rivela Ngo Monitor, erano diventate parte integrante del regime del terrore di Hamas.
Dal 7 ottobre è emerso un paradosso così profondo e scomodo che gran parte dell’opinione pubblica occidentale ha preferito fingere che non esistesse: a Gaza, le organizzazioni non governative che si presentavano come neutrali, indipendenti e devote al solo benessere della popolazione palestinese nella Striscia operavano, di fatto, sotto il diretto controllo di Hamas. A spiegare come funziona la collusione è Ngo Monitor, che da vent’anni sorveglia l’operato delle organizzazioni non governative. Ngo Monitor sta pubblicando i documenti interni di Hamas che descrivono un “imponente sistema di collegamenti formali di Hamas con le principali ong internazionali presenti a Gaza”.
Hamas avrebbe manipolato “ong internazionali altamente rispettate come Medici senza frontiere, Oxfam, Save the Children e il Consiglio norvegese per i rifugiati”. I ricercatori di Ngo Monitor dimostrano l’esistenza di un sistema strutturato di infiltrazione e coercizione denominato “kafil” (garante).
Ogni ong che volesse lavorare nella Striscia doveva nominare un “garante” locale approvato dalle autorità di Hamas. Il garante occupava sempre una posizione dirigenziale (direttore amministrativo, responsabile logistico, capo del personale). Ngo Monitor scrive anche che “gli sforzi di Hamas, come descritto in questi documenti, integrano una miriade di altri stratagemmi e attività per requisire gli aiuti internazionali e indirizzarli ai suoi membri, simpatizzanti e altri che l’organizzazione desidera ingraziarsi”. Secondo il rapporto, il direttore a Gaza del Catholic Relief Services, l’agenzia umanitaria internazionale ufficiale dei cattolici negli Stati Uniti, era associato al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, classificato come un gruppo terroristico negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e in Canada. Le ong hanno accettato, chi per paura, chi per convenienza ideologica, chi per pura sopravvivenza operativa, di lavorare entro queste regole. Hamas ha inoltre condotto una fitta sorveglianza dei funzionari delle ong a Gaza, con un documento di Hamas che osserva che i garanti di cinquanta ong “possono essere sfruttati per scopi di sicurezza al fine di infiltrarsi nelle associazioni straniere, nel loro personale dirigente straniero e nei loro movimenti”. L’accordo consentiva inoltre alle ong occidentali di eludere il coinvolgimento diretto con il gruppo terroristico, mantenendo al contempo il coordinamento richiesto da Hamas.
“C’è stata una cooperazione fra l’industria delle ong e Hamas” dice al Foglio Gerald Steinberg, fondatore e direttore di Ngo Monitor. “E’ documentato dai ministeri stessi di Hamas, che non avrebbe lasciato le ong agire a Gaza senza cooperare. C’erano differenti livelli. Il Consiglio norvegese per i rifugiati ad esempio parlava del bisogno di cooperare con il regime al potere, i terroristi. E abbiamo
visto cosa significava. In alcuni casi, le ong sapevano e hanno aderito alla cooperazione, in altri casi magari questa cooperazione era oscura e agiva a livello locale”.
Queste ong erano poi finanziate dall’Unione europea e dai singoli paesi europei. “Parliamo di decine di milioni di euro all’anno. Non sapevano neanche dove finisse questo denaro. A parole dicevano di non voler collaborare con i terroristi. Ma era come un buco nero, diamo loro denaro, senza trasparenza e ci ripuliamo la coscienza su Gaza. E’ una grande macchia nella coscienza e nella credibilità dell’industria umanitaria. Scegliendo di rimanere in silenzio e di collaborare con il regime, le ong non solo forniscono copertura agli abusi di Hamas, ma iniziano anche a interiorizzare e ad adottare l’agenda e la propaganda di Hamas. Il risultato è un settore umanitario che, in molti casi, non agisce più in modo indipendente o imparziale, ma opera all’interno di un sistema controllato dal terrore e diventa parte integrante di campagne di disinformazione”.
La soluzione sarebbe semplice: niente più kafil, niente più silenzio sulle violenze di Hamas, audit indipendenti su ogni euro speso, espulsione immediata di qualsiasi dipendente legato a organizzazioni terroristiche. In alternativa il meccanismo è ben rodato: Hamas posiziona infrastrutture militari in mezzo ai civili, Israele per difendersi è costretto a colpire questi obiettivi, le inevitabili vittime civili vengono esibite al mondo, le ong producono rapporti e conferenze stampa che accusano solo Israele, l’indignazione globale genera nuovi finanziamenti umanitari che tornano a Hamas. E così, anziché il soccorso alla persone, finanziamo il sostegno a chi le usa come scudi umani.
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