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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero Rassegna Stampa
04.12.2025 L’arabo cristiano che combatte per Israele
Reportage di Costanza Cavalli

Testata: Libero
Data: 04 dicembre 2025
Pagina: 12
Autore: Costanza Cavalli
Titolo: «L’arabo cristiano che combatte per Israele»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 04/12/2025, a pag. 12, il reportage di Costanza Cavalli dal titolo "L’arabo cristiano che combatte per Israele".


Costanza Cavalli

Kibbutz Sasa, al confine con il Libano, una zona dove si contano i giorni prima dello scoppio della prossima guerra con Hezbollah (che non disarma). Reportage di Costanza Cavalli, con interviste a un arabo cristiano (che combatte dalla parte di Israele) e ad Angelica Calò Livne.

Ci sono due modi di vivere nel nord di Israele e, che si sia chiamati all’uno o all’altro, bisogna essere pronti. «La questione non è se arriverà la guerra, ma quando», dice un ufficiale militare delle Forze di Difesa israeliane in forza al Comando settentrionale. Niente foto e tutto fuori taccuino, Hezbollah ha messo una taglia sulla sua testa: sul monte Adir, nell’Alta Galilea, a mille metri di altezza, si vive così. Di fronte, si sdipana il confine, segnato da un muro. Non ce ne sarebbe bisogno: di qua è tutto verde, ci sono le querce e gli arbusti della macchia mediterranea, di là è spoglio, rasato e terroso. «Le nostre montagne sono una riserva naturale», spiega l’ufficiale, «i libanesi invece lasciano pascolare le pecore». La cima della montagna è chiusa ai visitatori: c’è una base delle Idf, si vedono le antenne. A est si trovano le Alture del Golan, spostando lo sguardo verso nord c’è il Monte Hermon, al limitare tra Israele, Siria e Libano. Il Mediterraneo è a ovest. Da qui parte il fronte unico che, secondo gli ultimi report, Gerusalemme sta cercando di costruire per collegare il Libano meridionale al sud della Siria. Due teatri, un unico arco offensivo.
L’ufficiale lo dice sul campo: «Se Hezbollah se ne andasse non avremmo più niente da fare qui, raggiungeremmo la pace nel giro di un’ora.
Non abbiamo interesse a invadere o occupare il Libano, vogliamo solo che questa area diventi tranquilla. Ma Hezbollah è e rimarrà una minaccia».
Sul fronte diplomatico, l’inviato speciale americano per la Siria, Tom Barrack, durante una visita in Iraq, ha avvertito di un’imminente operazione israeliana in Libano contro la milizia sciita filo-iraniana per disarmarla. Si avvicina la scadenza dell’ultimatum fissato dagli Stati Uniti e Israele perché il Libano presenti passi concreti sull’abbandono degli armamenti da parte dei miliziani e Washington è stata chiara: ogni futuro sostegno finanziario e militare a Beirut è legato alla smilitarizzazione di Hezbollah.
Gli intoppi, però, sono tre. Il primo è che il nucleo dell’ideologia di Hezbollah sta nella “resistenza armata” contro Israele. La lotta non è un mezzo, ma l’identità. Il partito, cioè, per essere considerato un interlocutore affidabile, dovrebbe essere ricostruito dalle fondamenta. Il secondo, spiega la fonte, è che «le forze armate libanesi e Hezbollah fanno parte della stessa famiglia. In una famiglia libanese capita che un fratello si arruoli nell’esercito e un altro imbracci un mitra per il Partito di Dio». A disarmare Hezbollah si corre quindi il rischio di provocare una guerra civile. Il terzo è che a un anno dall’entrata in vigore del cessate il fuoco i miliziani stanno ricostruendo le proprie capacità, contrabbandando missili oltre il confine siriano e ripristinando posizioni e basi.
Come? Oltre ai metodi di finanziamento tradizionali - traffico di droga, diamanti e riciclaggio di denaro - grazie ai soldi dell’Iran. La Forza Quds della Repubblica Islamica dell’Iran ha contrabbandato oltre un miliardo di dollari verso Hezbollah attraverso gli Emirati Arabi Uniti da gennaio di quest’anno, ha riportato giovedì il Wall Street Journal, citando il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. La maggior parte dei denari arrivano dai guadagni delle vendite di petrolio iraniano e passano attraverso negozi di cambio, aziende, corrieri in stanza a Dubai. Da lì arrivano ai contrabbandieri in Libano. Altri fondi passano da Turchia e Iraq.
E l’Onu? «Ci siamo fidati, ma a vent’anni di distanza (dalla seconda guerra del Libano, scoppiata nell’estate 2006, ndr), possiamo constatare che i Caschi blu, che dovranno abbandonare il Paese dei cedri l’anno prossimo, non hanno compiuto la loro missione. Le ostilità non sono cessate».
L’ufficiale non è l’unico che non si fida. Jerry (sic.) saluta, chiacchiera, mangia, sorride, tutto con un M16 a tracolla: nel kibbutz Sasa, all’estremo nord dell’Alta Galilea, si vive così. È arabo, cristiano melchita, gestisce un pub irlandese, difende gli israeliani.
Arriva dall’unico centro cristiano del Medio Oriente, Fassuta. Si vede dall’autostrada, su una collina, segnalato da una croce tutta lucine che potrebbe star bene a Las Vegas. A Sasa il 7 ottobre i missili Kornet di Hezbollah hanno danneggiato la biblioteca, una parte del liceo e l’Auditorium. Il confine con il Libano è distante poco più di un chilometro. «Le sirene della contraerea scattano dopo l’esplosione dei razzi, tanto i miliziani sono vicini», ha raccontato Angelica Edna Calò Livne, «In caso di attacco diretto avremmo sette secondi per entrare nel bunker: è come non averlo». È nata nel quartiere Testaccio, ma casa sua è qui da cinquant’anni, ha quattro figli, tre dispiegati nella Striscia, insegna Teatro all’università di Tel Hai a Kiryat Shmona. «Prima della guerra eravamo 450 abitanti, adesso siamo una cinquantina, tra responsabili della sicurezza e chi non se ne vuole andare». Lei è rimasta per suo marito Yehuda, un figlio del kibbutz, a capo della squadra di emergenza. La comunità ha una cassa comune in cui finiscono gli stipendi e i proventi delle attività, le decisioni sono prese dall’assemblea degli abitanti. La mensa, in cui si mangia a colazione e a pranzo, è gratuita. Le utenze vengono pagate attraverso il fondo. Tutti possono studiare fino al dottorato. Socialisti e collettivisti.
«Non rinuncio a credere nella pace», ha detto Edna, «e non me ne vado». Ha le mele da raccogliere, «le pink lady, le più buone del mondo», e i kiwi. La frutta è la principale entrata del bilancio del kibbutz: 90 ettari, in media tremila tonnellate l’anno. La seconda voce è la Plasan, azienda leader mondiale nella progettazione, sviluppo e produzione di blindature per veicoli terrestri, aerei e navi delle forze armate.

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