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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio Rassegna Stampa
04.12.2025 Difendere l’Ucraina
Analisi di Nona Mikhelidze

Testata: Il Foglio
Data: 04 dicembre 2025
Pagina: 1
Autore: Nona Mikhelidze
Titolo: «Difendere l’Ucraina»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 04/12/2025, a pag. 1/I, l'analisi di Nona Mikhelidze dal titolo: "Difendere l’Ucraina".

Nona Mikhelidze

Gli Usa a Ramstein per dettare la linea: è l'ora dei carri armati | il  manifesto
L’instabilità introdotta dal ritorno di Trump alla Casa Bianca ha reso il sostegno americano all’Ucraina incerto. Nonostante l’aumento della produzione interna ucraina e gli sforzi europei, il divario strutturale resta enorme, soprattutto su munizioni, difesa aerea e intelligence. Kyiv può resistere nel breve periodo, ma senza un salto di qualità europeo rischia nel medio-lungo termine un progressivo indebolimento che Mosca potrebbe sfruttare in modo decisivo

Con Donald Trump alla Casa Bianca, l’affidabilità dell’alleato americano si è incrinata e nel 2025 l’Ucraina ha vissuto sotto la costante minaccia di un taglio totale degli aiuti diWashington. Il peso della continuità del sostegno a Kyiv è ricaduto sull’Europa, che però non può sostituire in tempi rapidi la capacità statunitense di produrre munizioni su vasta scala, né dispone di sistemi d’arma equivalenti ai Patriot o ai missili a lungo raggio utilizzati da Kyiv per colpire obiettivi molto oltre il fronte russo. Ancora meno replicabile è la componente informativa: l’architettura di intelligence americana, integrata nei processi decisionali ucraini, costituisce un pilastro essenziale che nessuna istituzione europea è oggi in grado di fornire con pari tempestività, ampiezza e affidabilità.

Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, l’affidabilità strategica degli Stati Uniti si è incrinata, trasformando un alleato un tempo irrinunciabile per Kyiv in una presenza altalenante, con oscillazioni politiche imprevedibili. Nel 2025 l’Ucraina ha vissuto sotto la costante minaccia di un taglio totale degli aiuti americani: non soltanto dei nuovi pacchetti di armamenti, ma anche di quel complesso sistema di supporto operativo, tecnico e logistico che ha costituito l’ossatura della sua capacità difensiva negli ultimi quattro anni. Alcuni segnali si sono tradotti in decisioni concrete. Washington ha cessato gli aiuti militari diretti, costringendo gli europei a farsi carico dell’acquisto di armamenti per conto di Kyiv attraverso meccanismi multilaterali come il programma Purl (Prioritized Ukraine Requirements List) della Nato. Ha tuttavia preservato la componente più preziosa, e al tempo stesso più discreta, del proprio sostegno: il flusso continuo di intelligence, la materia prima che consente all’Ucraina di individuare e colpire con precisione chirurgica obiettivi russi anche molto dentro il territorio nemico.

Mentre la posizione degli Stati Uniti diventava più incerta, il peso della continuità del sostegno a Kyiv è ricaduto quasi automaticamente sull’Europa, chiamata a trasformarsi da attore complementare a pilastro principale dello sforzo occidentale. Tuttavia, proprio nel momento in cui il contributo europeo avrebbe dovuto assumere una dimensione pienamente sostitutiva, i flussi di aiuto hanno attraversato una fase di accentuata instabilità. Pur avendo ampliato in modo significativo il proprio impegno negli ultimi anni, l’Europa ha faticato nei primi sei mesi del 2025 a compensare l’assenza di nuovi pacchetti statunitensi. I dati del Kiel Institute, che monitora sistematicamente il sostegno internazionale all’Ucraina, mostrano come l’estate del 2025 abbia segnato un punto di brusca inversione: tra luglio e agosto gli aiuti militari europei sono diminuiti del 57 per cento rispetto al semestre precedente e, anche includendo i contributi di paesi extraeuropei, come il maxipacchetto canadese da 1,2 miliardi di euro, il calo complessivo degli aiuti globali è stato significativo, intorno al 43 per cento. L’autunno ha portato un parziale recupero, ma non sufficiente a compensare la contrazione dei mesi estivi, né a restituire quella prevedibilità di cui Kyiv ha un bisogno vitale.

Qualsiasi valutazione seria su quanto a lungo l’Ucraina possa resistere senza il sostegno degli Stati Uniti deve partire da un punto essenziale: il contributo americano non si è mai definito soltanto attraverso il volume degli aiuti, ma attraverso la qualità, la sofisticazione e la logica strategica degli strumenti messi a disposizione. Dal febbraio del 2022, Washington ha impegnato 65 miliardi di dollari in assistenza militare; circa un terzo dell’intero arsenale impiegato dall’Ucraina al fronte proviene direttamente da forniture statunitensi. Non si tratta di sistemi qualsiasi, ma di capacità operative che hanno segnato fasi decisive del conflitto: i lanciarazzi multipli ad alta precisione (come gli Himars), che hanno consentito a Kyiv di invertire l’inerzia nel 2022 e riconquistare territori perduti; i missili a lungo raggio (come gli Atacms), utilizzati per colpire obiettivi in profondità nelle aree controllate dalla Russia; e soprattutto il sistema di difesa aerea Patriot, l’unico apparato occidentale capace di intercettare missili balistici russi, oggi componente centrale della strategia offensiva di Mosca contro i civili ucraini.

Accanto a questi strumenti materiali esiste un pilastro immateriale, ma altrettanto decisivo, che nessun altro paese è in grado di replicare: l’integrazione dell’intelligence statunitense nei processi operativi ucraini. Le informazioni di segnalazione elettronica, le immagini satellitari e le analisi elaborate dal centro di coordinamento di Wiesbaden alimentano quotidianamente il processo di targeting militare ucraino, permettendo così di individuare, tracciare e colpire con precisione chirurgica una vasta gamma di obiettivi russi. Senza questo flusso continuo di dati e valutazioni, la rapidità di reazione e l’accuratezza delle operazioni diminuirebbero in modo significativo, con effetti immediati non solo sulla capacità offensiva dell’Ucraina, ma anche sulla sua protezione contro gli attacchi più complessi e coordinati dell’esercito russo.

In questo contesto, il ruolo dell’Europa può essere decisivo ma resta intrinsecamente limitato, almeno nel breve periodo. Il continente dispone degli strumenti necessari per rafforzare la propria presenza nel sostegno all’Ucraina: può aumentare la produzione di munizioni, incrementare i finanziamenti, anche attraverso il possibile utilizzo degli asset russi congelati, potenziare i sistemi avanzati di difesa antiaerea come il Sampt/T e, qualora fosse necessario, ricorrere all’acquisto di armamenti da paesi terzi. Si tratta di passi significativi, che segnalano una crescente assunzione di responsabilità strategica da parte dell’Unione europea.

Tuttavia, tali sforzi non colmano il divario strutturale con gli Stati Uniti. L’Europa non può sostituire in tempi rapidi la capacità statunitense di produrre munizioni su vasta scala, né dispone di sistemi d’arma equivalenti ai Patriot o ai missili a lungo raggio utilizzati da Kyiv per colpire obiettivi molto oltre il fronte russo. Ancora meno replicabile è la componente informativa: l’architettura di intelligence americana, integrata nei processi decisionali ucraini, costituisce un pilastro essenziale che nessuna istituzione europea è oggi in grado di fornire con pari tempestività, ampiezza e affidabilità.

L’Europa può contare su una base industriale significativa, ma non opera in condizioni assimilabili a un’economia di guerra. Il suo approccio al conflitto è stato prevalentemente reattivo e non sufficientemente efficace nel frenare la capacità russa di aggirare le sanzioni, in particolare attraverso attori terzi. Inoltre, ampliare la capacità produttiva richiede tempo, investimenti, coordinamento politico e una continuità di impegni che gli stati membri dell’Unione faticano ancora a garantire. Nel frattempo, la Russia, che ha già mobilitato l’intero sistema industriale sull’economia di guerra, continua a sfornare armamenti a un ritmo superiore, consolidando un vantaggio che l’Europa, da sola, non può neutralizzare nell’immediato.

Per fronteggiare il rischio di un declino strutturale del sostegno statunitense, l’Ucraina ha avviato una corsa contro il tempo per rafforzare la propria autosufficienza militare. Nel corso del 2026, Kyiv mira a portare dal 40 al 50 per cento la quota di armamenti prodotti internamente, con l’obiettivo dichiarato di coprire l’intero fabbisogno di artiglieria attraverso la propria industria. Si tratta di un traguardo ambizioso, che riflette non solo l’urgenza del momento, ma anche la maturazione di un settore difensivo costretto dalla guerra a un’innovazione permanente. Il comparto più dinamico è quello dei droni, divenuto in pochi anni il cuore tecnologico della difesa ucraina: la produzione cresce in modo esponenziale e Kyiv è ormai in grado di progettare piattaforme autonome capaci di colpire in profondità il territorio russo, sfidando la superiorità numerica di Mosca attraverso creatività tecnologica e costi contenuti. Parallelamente, le forze armate hanno acquisito una maggiore capacità di manutenzione interna, riuscendo a riparare una parte significativa dei sistemi americani senza ricorrere a tecnici esteri – a conferma di un processo di apprendimento accelerato che riduce i tempi di fermo operativo e aumenta la resilienza complessiva delle linee di combattimento.

La domanda centrale diventa dunque se l’Europa possa davvero colmare il vuoto qualora gli Stati Uniti decidessero di interrompere completamente il sostegno all’Ucraina e, soprattutto, rifiutassero di vendere armi agli Stati europei destinate a Kyiv, una scelta che, oltre a essere improbabile, sarebbe contraria agli interessi dell’industria militare americana, che continua a trarre enormi profitti da questa guerra. La risposta, allo stato attuale, è necessariamente sfumata. In una prospettiva di breve periodo, Kyiv può ancora reggere: le scorte accumulate, la crescente capacità produttiva nazionale e il sostegno europeo permettono all’Ucraina di mantenere una linea difensiva credibile, soprattutto finché il conflitto non richiede volumi o capacità tecnologiche che solo Washington, con la sua industria e la sua intelligence, è in grado di garantire. Molto diverso è però lo scenario di medio-lungo termine. Senza un aumento drastico della produzione europea, senza investimenti coordinati e senza un piano industriale che superi la logica emergenziale e reattiva, le capacità ucraine rischiano di erodersi progressivamente.

L’autonomia tecnologica di Kyiv sta crescendo, ma non può compensare da sola l’assenza delle capacità statunitensi nel campo della difesa a lungo raggio, della superiorità informativa e di una produzione di munizioni su scala industriale. La sostenibilità dello sforzo bellico dipende dalla rapidità con cui Europa e Ucraina riusciranno a colmare questi vuoti, e dal tempo che avranno a disposizione prima che la Russia riesca a sfruttare eventuali flessioni nelle capacità ucraine per consolidare un vantaggio irreversibile sul campo di battaglia.

L’Ucraina può sopravvivere senza Washington, ma non può farlo indefinitamente nelle condizioni attuali. Per resistere davvero, e per evitare di essere progressivamente logorata dalla superiorità industriale russa, è necessario un salto di qualità europeo che finora è rimasto incompiuto: un impegno strutturale, non episodico, capace di trasformare il sostegno a Kyiv da risposta contingente a pilastro strategico della sicurezza europea.

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