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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Setteottobre Rassegna Stampa
28.11.2025 Israele-Hezbollah: un anno di 'cessate il fuoco' che non ha fermato la guerra
Analisi di Shira Navon

Testata: Setteottobre
Data: 28 novembre 2025
Pagina: 1
Autore: Shira Navon
Titolo: «Israele-Hezbollah: un anno di 'cessate il fuoco' che non ha fermato la guerra»

Riprendiamo dal giornale di SETTEOTTOBRE online, l'analisi di Shira Navon dal titolo: "Israele-Hezbollah: un anno di 'cessate il fuoco' che non ha fermato la guerra"

Un anno dopo la fine ufficiale delle ostilità in Libano, Hezbollah non molla la presa, non disarma, si sta riorganizzando. Israele deve condurre raid quotidiani per eliminare i suoi capi e le sue basi dei terroristi.

Un cessate il fuoco che di “cessato” ha ben poco. A un anno dall’accordo mediato dagli Stati Uniti per congelare il fronte nord, i nuovi dati del Centro Alma – istituto di ricerca guidato da Sarit Zehavi, ex ufficiale dell’intelligence – mostrano una realtà che nessun comunicato diplomatico può addolcire: la guerra tra Israele e Hezbollah non si è mai fermata ma, semmai, si è solo spostata di qualche chilometro.

Dal 27 novembre 2024, Israele ha condotto 669 attacchi in territorio libanese. Una media di due al giorno, 51 al mese, quasi metà dei quali a sud del Litani, l’area che secondo la Risoluzione ONU 1701 avrebbe dovuto essere sgomberata da ogni presenza armata di Hezbollah. L’altra metà, però, racconta qualcosa di ancora più rivelatore: più del 50 per cento delle operazioni è avvenuto ben oltre il Litani, nella Bekaa e perfino nell’area di Beirut. È lì che il Partito di Dio ha spostato i suoi arsenali, i suoi centri di comando e quote del suo apparato operativo, eludendo di fatto ogni meccanismo di sorveglianza internazionale.

Zehavi lo dice senza mezzi termini: Hezbollah si è adattato riposizionando la sua infrastruttura militare più in profondità, riorganizzando le sue unità e continuando a ricostituirsi. Nel frattempo, l’esercito libanese, che secondo l’accordo avrebbe dovuto disarmare le milizie sciite, presenta rapporti ottimistici che non coincidono con ciò che accade sul terreno. La verità, sostiene il Centro Alma, è che a togliere armi a Hezbollah non è Beirut ma l’Idf.

Nell’ultimo anno Israele ha eliminato 218 combattenti dell’organizzazione – numero basato sulle sole fonti aperte – mentre le stime operative parlano di circa 350 miliziani neutralizzati. Tra questi, 46 appartenenti alla Radwan, l’unità d’élite addestrata per infiltrarsi in territorio israeliano. Altri 28 terroristi eliminati appartenevano a Hamas, Amal, Jamaa Islamiya e gruppi minori che, nonostante il trattato, continuano a operare nel sud del Libano con la tolleranza più o meno implicita del governo di Beirut.

L’accordo del 2024, presentato come una vittoria diplomatica, oggi appare un castello di carta. La Risoluzione 1701 non prevede strumenti di applicazione, e il “meccanismo di monitoraggio” con Stati Uniti e Francia ha valore più simbolico che operativo. La sensazione, tra gli analisti israeliani, è che Hezbollah abbia utilizzato l’ultimo anno come una lunga finestra di riarmo, confidando nell’immobilismo internazionale e nella debolezza strutturale del sistema politico libanese.

Sul futuro pesano due variabili. La prima è interna al Libano: le elezioni di maggio. Nessuno sa quanto la crisi economica, la corruzione e la frustrazione popolare intaccheranno il potere politico di Hezbollah, che comunque mantiene una rete civile capillare fatta di scuole, ospedali ed eventi di massa che continuano a cementare il suo radicamento nella popolazione sciita.

La seconda variabile arriva da Washington. Secondo indiscrezioni diplomatiche, l’amministrazione Trump avrebbe fissato al governo libanese una scadenza: entro il 31 dicembre 2025 Beirut deve agire concretamente per disarmare Hezbollah. Se non lo farà, la responsabilità della violazione ricadrà ufficialmente sul Libano. È una pressione politica senza precedenti, ma nessuno può giurare che avrà effetti reali.

Zehavi, che vive in Alta Galilea e ha cinque figli, lo riassume con una frase che molti israeliani del nord considerano ormai un’amara verità: “Il giorno in cui smetteremo di sentire le esplosioni dei bombardamenti in Libano sarà il giorno in cui dovremo preoccuparci davvero”. Fino ad allora, la scelta è tra due mali: una normalità disturbata dalle detonazioni, o un silenzio che potrebbe annunciare il ritorno di una minaccia molto più grande.

Un anno fa il mondo festeggiava un cessate il fuoco. Oggi ne vediamo l’inganno: la guerra non si ferma perché qualcuno la firma, si ferma quando qualcuno la fa rispettare. E al confine nord, nessuno lo sta facendo.


info@setteottobre.com

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