Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Boaz Bismuth: «Il 7 ottobre è stato biblico» Intervista di Aldo Torchiaro
Testata: Il Riformista Data: 27 novembre 2025 Pagina: 4 Autore: Aldo Torchiaro Titolo: «Bismuth: «Il 7 ottobre è stato biblico. L’informazione è l’ago della bilancia»»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 27/11/2025, a pagina 4, l'intervista di Aldo Torchiaro a Boaz Bismuth dal titolo "Bismuth: «Il 7 ottobre è stato biblico. L’informazione è l’ago della bilancia»".
Aldo Torchiaro
Boaz Bismuth, presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset ed ex direttore di Israel Hayom, denuncia il doppio standard con cui i media internazionali raccontano Israele e la guerra contro Hamas
Gerusalemme. Deputato del Likud, già ambasciatore d’Israele in Mauritania, giornalista di lungo corso e per anni direttore del più grande quotidiano israeliano, Israel Hayom. Oggi Boaz Bismuth è il presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset. E, nei corridoi di Gerusalemme, il suo nome circola ormai apertamente come uno dei possibili successori di Benjamin Netanyahu. Lo incontriamo dopo una lunga audizione sulla sicurezza nazionale. Parla con la franchezza di chi ha vissuto guerre, rivoluzioni e dossier d’intelligence sul campo, e con l’urgenza di chi ritiene che l’informazione sia ormai parte integrante della guerra.
Lei ha alle spalle una vita da reporter. In che modo quell’esperienza condiziona il suo giudizio sui media di oggi?
«Sono stato un giornalista molto prima di essere parlamentare. Ho coperto tutto: Iraq 1 e 2, Kosovo, Afghanistan, elezioni, catastrofi naturali. Per questo capisco la vostra professione, che è stata anche la mia. Quando dirigevo il più importante giornale israeliano, l’unica cosa che contava erano i fatti. Oggi invece molti giornalisti arrivano in Israele avendo già scritto l’articolo in volo. La percezione ha sostituito la realtà: si deve essere “alla moda”, non fedeli ai fatti. E questo ha un prezzo altissimo per noi».
Parla spesso di “doppio standard” quando si racconta il conflitto. Che cosa intende?
«Paghiamo un costo enorme: 600 camion di aiuti al giorno, milioni di tonnellate, i nostri kibbutz massacrati, ostaggi, famiglie distrutte. Diamo al mondo anche il DNA delle vittime. E poi leggiamo che Israele commette un genocidio. È assurdo. È come l’UNRWA: nel 1949 dichiarava duecentomila rifugiati, oggi parla di milioni. Un genocidio in cui la popolazione cresce è una categoria nuova nella storia dell’umanità. Eppure passa come verità».
Siamo in un periodo di transizione, si sente più in pace o più in guerra?
«Tutti i sette fronti sono ancora aperti: Gaza, Hezbollah, Houthi, Siria, l’Iraq delle milizie iraniane. Abbiamo vinto battaglie, ma non la guerra. E l’Iran continua a inseguire la bomba nucleare: è un problema per Israele, ma dovrebbe esserlo per tutto il mondo».
Lei rifiuta l’idea che Hamas abbia un ramo “politico”. Perché?
«Quando ero ambasciatore in Mauritania e lavoravo tra Iraq, Cairo e Sahel, vedevo Al-Qaida, Boko Haram, ISIS. Qualcuno ha mai parlato di un loro “braccio politico”? È un’assurdità. Solo con Hamas si accetta questa finzione. È un inganno utile ad alcuni governi europei. E danneggia l’onestà dell’informazione sul Medio Oriente».
Il tema dell’informazione è centrale. Perché Israele non permette l’ingresso dei giornalisti a Gaza?
«Gaza è ancora un luogo estremamente pericoloso. E non parliamo solo di giornalisti: molti di quelli che sono morti non erano affatto giornalisti, e possiamo provarlo. Si muovevano su mandato di Hamas e costituivano un pericolo per l’incolumità di chi, soccorritore, cooperante, giornalista provasse a lavorare lì. Ho un elenco che portai anche al Parlamento europeo: persone che postavano contenuti terroristici. Io rispetto la professione, ma non accetto che si confonda chi racconta i fatti con chi collabora a una propaganda di guerra. E voglio proteggere la vita dei veri reporter».
Si farà la commissione d’inchiesta sul 7 ottobre?
«Sì, certo. Le famiglie la chiedono, ed è giusto. Ma ricordiamoci che quell’attacco è arrivato dopo mesi di crisi istituzionale interna. Il Paese era diviso e i nostri aggressori contavano molto su questo. Pensavano che il mondo arabo si sarebbe unito dietro di loro e che noi ci saremmo divisi. Invece noi ci siamo uniti e loro si sono divisi. La novità dei Paesi arabi moderati che votano all’Onu per disarmare Hamas va colta nella sua pienezza. L’inchiesta si farà, ma servirà anche capire il contesto politico che ci ha indebolito. E il trauma è immenso: per recuperare dallo shock dello Yom Kippur ci sono voluti cinquant’anni. Il 7 ottobre è peggio, è di una dimensione biblica».
Dopo il 7 ottobre molti parlano di “risposta sproporzionata”. Che cos’è, per lei, la proporzionalità?
«Se qualcuno uccide tua moglie, violenta tua figlia, massacra i tuoi figli, qual è la risposta proporzionata? Questa guerra sarebbe finita in due ore se Hamas avesse liberato gli ostaggi e lasciato Gaza. Non l’ha fatto. Noi non abbiamo rapito, non abbiamo stuprato: abbiamo difeso le nostre famiglie. Proporzionalità significa impedire che ciò accada di nuovo. E significa impedire che Hamas governi ancora Gaza».
Lei ha un rapporto personale con Donald Trump. Cosa rappresenta per Israele?
«È uno dei migliori amici che Israele abbia mai avuto. Ha sostenuto l’operazione in Gaza, ha permesso gli Accordi di Abramo, ha portato stabilità. In Europa non capirono subito il potenziale di quegli accordi per due motivi: mancava la formula dei “due stati” e la sua personalità era considerata scomoda. Ma oggi è diverso. Trump resterà un amico, ma i nemici di Israele resteranno anche quando lui non sarà più alla Casa Bianca. Per questo servono deterrenza, esercito, e una strategia per colmare i cicli di guerra con cicli più lunghi di pace».
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