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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Riformista Rassegna Stampa
25.11.2025 La strada di Israele incrocia il bivio dell’Ucraina
Analisi di Aldo Torchiaro

Testata: Il Riformista
Data: 25 novembre 2025
Pagina: 6
Autore: Aldo Torchiaro
Titolo: «La strada di Israele incrocia il bivio dell’Ucraina»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 25/11/2025, a pagina 6, l'analisi di Aldo Torchiaro dal titolo "La strada di Israele incrocia il bivio dell’Ucraina".

File:Aldo Torchiaro.png - Wikipedia
Aldo Torchiaro

In Israele è forte il sostegno popolare all'Ucraina. Ma al tempo stesso, i tre governi che si sono susseguiti dal 2022 ad oggi, non hanno potuto neppure rompere esplicitamente i rapporti con la Russia. Perché è solo trattando con la Russia che si possono tenere (relativamente) a bada Iran ed Hezbollah ed evitare una guerra totale anche sul fronte nord. A rovinare questo equilibrio sono solo gli europei che pretendono di mettere sullo stesso piano Putin e Israele, un aggressore e un aggredito, spezzando così il fronte occidentale.

Gli israeliani in tregua guardano all’Ucraina. Preoccupati, indignati, perfino. Ma necessariamente prudenti. La guerra in Ucraina, il piano negoziale promosso da Donald Trump e accolto con favore da Vladimir Putin, e la prospettiva di una “pace imperfetta” stanno riaccendendo un dibattito complesso dentro Israele. A prendervi parte, la stampa nazionale, la politica e l’opinione pubblica. Israele è in una posizione unica: profondamente radicato nel campo democratico occidentale, legato agli Stati Uniti da un rapporto strategico senza equivalenti, ma costretto al tempo stesso a mantenere un equilibrio con la Russia, attore ancora influente nell’area siriana e interlocutore obbligato nella gestione delle minacce iraniane oltre il Golan.

La stampa israeliana, negli ultimi giorni, offre un quadro nitido di questa tensione. Da Haaretz a The Times of Israel, da Israel Hayom a Maariv, il tratto comune è chiaro: Kyiv merita sostegno. Lo merita per ragioni morali – il Paese è stato aggredito, come fu aggredita Israele il 7 ottobre – ma anche per ragioni politiche, perché una vittoria russa o un accordo punitivo creerebbero un precedente destabilizzante in un mondo già attraversato da revisionismi territoriali. Nei giorni scorsi The Times of Israel ha riportato una frase che sintetizza bene il sentire israeliano: «La guerra della Russia contro l’Ucraina è una minaccia esistenziale per l’Europa. Tutti vogliamo che finisca. Ma come finisce conta».

Al tempo stesso, i media israeliani sottolineano ciò che distingue Israele dagli altri alleati occidentali. Haaretz lo ripete da mesi: la Russia resta decisiva in Siria e gestisce il delicato meccanismo di deconfliction che permette allo Stato ebraico di colpire obiettivi iraniani senza provocare escalation. Per Israele, rompere frontalmente con il Cremlino significherebbe compromettere la sicurezza del fronte nord, esponendo il Paese alle manovre di Teheran e Hezbollah. È per questo che gli aiuti a Kyiv, pur non essendo mai venuti meno, non hanno incluso sistemi d’arma strategici come l’Iron Dome.

Se la realpolitik impone cautela al governo, il cuore della popolazione è invece con Kyiv. La maggioranza degli israeliani considera la Russia l’aggressore e l’Ucraina la vittima, e non mancano le manifestazioni di solidarietà. Ci sono ragioni storiche – milioni di persone provenienti dall’ex Urss, molti dei quali ucraini – e ragioni identitarie: Israele comprende bene cosa significhi difendere la propria sovranità sotto minaccia. Nei social, nei talk show e nelle interviste, il sostegno emotivo a Kyiv è molto evidente. E non di rado la stampa ricorda il parallelo implicito tra la resistenza ucraina e la resilienza israeliana.

In questo quadro la linea israeliana si definisce con sempre maggiore chiarezza: sostegno politico e morale a Kyiv, nessuna rottura frontale con Mosca, attenzione quasi ossessiva alla postura americana. È la realpolitik di Tel Aviv, tradotta in scelte concrete. Benjamin Netanyahu incarna perfettamente questo equilibrio: condanna l’aggressione russa, evita però sanzioni pesanti contro il Cremlino e frena da sempre su forniture militari decisive all’Ucraina per non compromettere la libertà d’azione israeliana nei cieli siriani, dove la Russia resta il controllore di fatto dello spazio aereo e del margine di manovra contro l’Iran e Hezbollah.

In questo contesto la Corte penale internazionale, non riconosciuta da Israele, è stata messa in condizione di serio disagio dalla campagna antisraeliana portata avanti in Europa: il fronte pro-Hamas ha raggiunto i suoi obiettivi, riuscendo a collocare Israele sullo stesso piano di Putin in quanto a condanne e a incrinare la percezione di un Occidente compatto. La frattura del campo occidentale è stata pensata, voluta e perpetrata con metodo.

Così, mentre l’opinione pubblica israeliana simpatizza apertamente per Kyiv e guarda con inquietudine a un piano di pace che somiglia a una resa, la leadership politica continua a muoversi su un crinale strettissimo: tenere la barra saldamente allineata a Washington – anche quando la regia è quella di Donald Trump, l’alleato che più di tutti ha segnato la diplomazia israeliana negli ultimi anni – senza provocare una reazione russa che potrebbe ridisegnare, a svantaggio di Israele, gli equilibri già fragilissimi del fronte nord.

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redazione@ilriformista.it

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