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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Newsletter di Giulio Meotti Rassegna Stampa
23.11.2025 I nostri governi vadano a lezione di libertà e coraggio dall'ostaggio rimasto libero
Newsletter di Giulio Meotti

Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 23 novembre 2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «I nostri governi vadano a lezione di libertà e coraggio dall'ostaggio rimasto libero»

Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Abbiamo vinto la guerra per perdere il nostro paese?". 


Giulio Meotti

Bouael Sansal, lo scrittore algerino è finalmente libero dopo più di un anno di carcere.

Se si dovesse scrivere un’enciclopedia della libertà non potrebbe non includere le confidenze di Boualem Sansal a Kamel Daoud poche ore dopo aver lasciato le putride galere di Algeri.

“C’è stato il ‘visitatore serale’. Gli ho dato filo da torcere. ‘Chi sei?’, gli ho chiesto. ‘Altrimenti, lasciami dormire, sono stanco’. Infine, il suo messaggio è stato: ‘Devi scendere a compromessi’. Ho risposto: ‘Allora è meglio tenermi qui per altri vent’anni. Se non ho il diritto di parola, allora cosa ci faccio su questa terra?’”.

Così Sansal ai suoi aguzzini.

Chi può dire che avrebbe avuto quel coraggio? Il rischio per Sansal era di finire i suoi giorni in prigione, vecchio e malato di cancro, ma lui è rimasto a testa alta. Una lezione di carattere che possiamo ripetere a noi stessi, come per tenerci al caldo a vicenda.

“Non sarò distrutto da un annetto di prigione” dice Sansal a Daoud.

Daoud: Che cosa hai letto durante quest’anno?

Sansal: Letto?

Daoud: Hai avuto l’occasione o la libertà di leggere oppure no?

Sansal: Leggere? (risata) È proibito. Libri religiosi o in arabo. È tutto ciò che c’è lì. Ma c’è un traffico di libri di nascosto, li paghi con sigarette o con biscotti. Con questo puoi ottenerne qualcuno.

Sansal ci ricorda che la libertà non è un dato d’anagrafe politica. Non basta vivere in un paese “libero” per esserlo davvero.

E ci ricorda che la libertà ha un prezzo e che la storia insegna che alcuni lo pagano per altri.

Se Sansal fosse finito in una prigione israeliana, tutti gli scrittori e i firmatari di appelli in Italia ne avrebbero fatto un tormentone. Ma poiché il suo crimine è denunciare l’Islam politico lì e qui, ti dicono che è di “estrema destra”. Così i giornali e il ceto letterario in Italia si è battuto per Patrick Zaki, mai per Sansal.

Ma come tutti i pacifisti, questi capitolazionisti credono di poter scegliere il nemico. Si sbagliano di grosso.

Alla liberazione, Sansal non ha indossato maschere ipocrite per dire che è stato trattato bene in prigione, come avrebbe fatto qualsiasi scrittore italiano (e giornalista italiana).

Appena tornato a Parigi, Sansal è stato accolto da Emmanuel Macron all’Eliseo. Ma una visita privata e molto “discreta”. Perché?

Lo spiega Le Parisien: “Era necessario mantenere la narrazione secondo cui il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune non si era arreso a Parigi, ma aveva piuttosto risposto favorevolmente alla richiesta di grazia presentata dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier”.

Chiaro, chiarissimo.

Non sono le nostre proteste, ma le nostre debolezze, a “provocare” i dittatori. La politica del silenzio ha anche questo effetto terribile all’interno delle democrazie: erode lentamente il gusto per la libertà. Sansal ha descritto questo fenomeno a modo suo in 2084: La fine del mondo: “Poi è venuto l’oblio con discrezione e tutto è svanito nel mormorio e nel silenzio”.

Algeri detta legge, Parigi obbedisce. Dietro i sorrisi e le banalità sull’“amicizia franco-algerina”, il governo francese ha accettato di essere umiliato pubblicamente. Il silenzio del corpo diplomatico, la debolezza del Quai d’Orsay, la calcolata cautela dell’Eliseo erano tutte ammissioni: non abbiamo più una politica estera, solo riflessi di elusione e genuflessione. Temiamo il richiamo degli ambasciatori, tremiamo per i contratti di gas, sacrifichiamo l’onore sull’altare della realpolitik.

Ma la deferenza genera disprezzo e la debolezza invita all’umiliazione.

Il Quai d’Orsay francese si era rivolto inizialmente a Roma, approfittando degli ottimi rapporti tra Giorgia Meloni e Tebboune (e il fatto che l’Algeria è il primo fornitore di gas dell’Italia). A marzo, il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani, durante una visita ad Algeri, aveva offerto la mediazione di Roma per la liberazione di Sansal. Ma la proposta era stata prontamente respinta dal presidente algerino.

Kaja Kallas, l’Alto Rappresentante della UE, intanto “non era neanche a conoscenza della situazione” dello scrittore franco-algerino. All’eurodeputato François-Xavier Bellamy, Kallas ha chiesto di fare lo spelling del nome del romanziere.

Parigi aveva tenuto nascosto il dossier Sansal?

L’Eliseo era andato in giro a baciare tutti i leccapiedi che ha potuto. Per concludere che le relazioni sono “pacifiche”, ci puoi scommettere.

Lo scrittore Pascal Bruckner nei giorni scorsi ha rivelato: “Macron mi ha chiesto di non parlare di Sansal durante una cena organizzata all’Eliseo a fine settembre. Ci sono 30 testimoni che possono attestarlo. Il 4 novembre ha nuovamente raccomandato, questa volta al comitato del Premio Goncourt, di non insistere troppo sul caso Sansal. Da parte mia, lo vedo come un effetto della sindrome di Stoccolma”.

Come può un continente gravato dai debiti, diviso e disilluso ritrovare il gusto per il futuro e la libertà?

La buona notizia è che Sansal non ha intenzione di cedere al mormorio e al silenzio.

In un saggio apparso su Le Figaro, Sansal ha scritto dell’Europa:

“In questo territorio perso tra il Marocco e la Tunisia, da dove vi mando questo allarme, posso dirvi che il peggio è venuto e se n’è andato e non ha lasciato niente, niente. Ognuno dovrebbe sapere almeno questo per se stesso: qual è il peggio nel proprio paese e a che punto è arrivato? Possiamo discuterne all’infinito, ma a un certo punto dobbiamo fermarci e riconoscere la realtà: l’Europa ha tutte le apparenze di qualcosa che non esiste, non è mai esistita, come Europa, la dea dagli occhi grandi della mitologia greca che le ha dato il nome. Sembra una colonia mercantile sterile, senza un popolo né una mitologia ma con una bandiera e un inno, istituzioni a ogni angolo, il tutto gestito da funzionari coloniali insipidi e arroganti. L’idea giusta sarebbe quella di cambiare tutto, la barca, il comandante e questo povero mito di un’Europa felice in un mondo di barbari, ma a volte risolvere un problema significa crearne un altro, più grande”.

Quando durante la Seconda guerra mondiale chiesero a Winston Churchill se fosse il caso di tagliare i fondi per la cultura lui avrebbe risposto: “E per cosa combattiamo allora?”.

Il problema è che noi europei pensiamo di dover combattere solo per l’indicizzazione della pensione. È allettante dare la colpa alle élite, ma il nostro declino è una perfetta coproduzione tra governanti e governati.

Se ci hanno venduto bugie, è perché eravamo felici di comprarle.

La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).

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