Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Mamdani all’attacco dell’aliyà Commento di Paolo Montesi
Testata: Setteottobre Data: 23 novembre 2025 Pagina: 1 Autore: Paolo Montesi Titolo: «Mamdani all’attacco dell’aliyà»
Riprendiamo dal giornale di SETTEOTTOBRE online, il commento di Paolo Montesi dal titolo: "Mamdani all’attacco dell’aliyà"
Nella sinagoga di Park East, New York, si teneva un evento per illustrare il percorso verso l'emigrazione in Israele. I pro-Pal hanno inscenato una protesta, come da copione. Ma stavolta, il sindaco di New York, cioè l'islamico Zohran Mamdani, ha appoggiato i pro-Pal, condannando l'evento della sinagoga. Perché, a suo dire, promuove la "colonizzazione" in Giudea e Samaria. New York sta diventando come Bologna?
La polemica che ha travolto New York negli ultimi giorni è il primo vero banco di prova del nuovo sindaco eletto Zohran Mamdani, figura della sinistra radicale democratica e già noto per le sue posizioni aggressive contro Israele. Questa volta nel mirino non c’è un governo straniero, ma una delle organizzazioni più rispettate della Diaspora: Nefesh B’Nefesh, da oltre vent’anni punto di riferimento per gli ebrei nord-americani che scelgono di fare aliyà, ossia di andare in Israele e diventarne a pieno diritto cittadini.
Il caso è esploso dopo un evento informativo ospitato alla Park East Synagogue, dove l’associazione presentava a giovani famiglie i percorsi amministrativi, professionali e logistici per trasferirsi in Israele. All’esterno, un gruppo di attivisti anti-Israele ha inscenato una protesta dai toni accesi. Fin qui, nulla di nuovo nel clima politico americano di questi mesi. A incendiare il dibattito è stato però l’intervento dello stesso Mamdani, che ha accusato la sinagoga di aver permesso l’uso di «uno spazio sacro per promuovere attività contrarie al diritto internazionale».
L’allusione, neanche troppo velata, riguarda la presunta possibilità che Nefesh B’Nefesh incoraggi l’insediamento di nuovi immigrati nei territori della Cisgiordania, «oltre la linea verde». Una tesi ripetuta dalla sua portavoce, ma che non trova riscontro in alcun documento dell’evento: il programma riguardava esclusivamente le normali procedure di aliyà, che non sono considerate illegali da alcuna istanza internazionale. E soprattutto non esiste alcuna prova che la serata – o le attività dell’organizzazione – affrontassero minimamente insediamenti, politica o questioni territoriali.
La reazione delle istituzioni ebraiche newyorkesi è stata durissima. Molti leader hanno accusato Mamdani di aver strumentalizzato un incontro religioso per alimentare un’agenda ideologica ostile alle organizzazioni ebraiche. Altri hanno denunciato la pericolosa ambiguità del suo intervento: il sindaco eletto ha sì condannato le «intimidazioni ai fedeli», ma non ha speso una parola chiara sui cori e sugli slogan ostili lanciati contro i partecipanti alla serata. Un silenzio che molti leggono come una forma di indulgenza politica verso settori estremisti del fronte pro-palestinese.
Non è un episodio isolato. Mamdani è da mesi protagonista di scontri con associazioni ebraiche newyorkesi, accusate da lui di spalleggiare politiche «oppressive» o «coloniali». Il risultato è una tensione crescente in una città che ospita una delle comunità ebraiche più numerose e vivaci del mondo. L’idea che un incontro dedicato all’immigrazione in Israele – un atto culturale e religioso, prima ancora che politico – possa diventare bersaglio di accuse di illegalità internazionale è un salto di qualità preoccupante.
La dirigenza di Nefesh B’Nefesh ha ribadito la natura non politica della propria missione: aiutare donne, uomini, giovani e famiglie a compiere una scelta di vita che riguarda identità, appartenenza e spiritualità. E infatti, storicamente, la loro attività si concentra su servizi concreti: documenti, visti, riconoscimento professionale, inserimento lavorativo, supporto linguistico. Nulla che possa essere assimilato a un atto politico o giuridico controverso.
Ma la vicenda racconta molto del clima attuale negli Stati Uniti. La questione israeliana sta diventando un terreno di scontro identitario interno, dove l’ebraismo americano viene spesso spinto tra due fuochi: difendere le proprie istituzioni oppure accettare che ogni iniziativa legata a Israele venga interpretata come gesto politico. Il risultato è un ambiente in cui una sinagoga può diventare teatro di manifestazioni ostili e in cui un’organizzazione dedicata all’aliyà viene accusata di violazioni inesistenti.
Mamdani ha voluto dare un segnale alla sua base più attivista. Ma il prezzo è una frattura profonda con una parte importante della città, che si sente presa di mira non per ciò che fa, ma per ciò che rappresenta. In un momento già segnato da un aumento degli episodi antisemiti, il suo intervento ha reso ancora più fragile un equilibrio delicatissimo.
La domanda ora è quale sarà la direzione della futura amministrazione. Sceglierà il confronto costruttivo o continuerà a usare Israele e il mondo ebraico come terreno di affermazione ideologica? La polemica con Nefesh B’Nefesh potrebbe essere solo l’inizio di un conflitto più ampio. E New York, città simbolo del pluralismo, rischia di scoprire che la convivenza delle differenze non è mai garantita: va difesa, anche quando il bersaglio è un semplice incontro dedicato all’aliyà.