Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Primo sì alla Knesset per la pena di morte ai terroristi Commento di Iuri Maria Prado
Testata: Il Riformista Data: 12 novembre 2025 Pagina: 6 Autore: Iuri Maria Prado Titolo: «Primo sì alla Knesset per la pena di morte ai terroristi: così Israele imbocca una strada problematica»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 12/11/2025, a pagina 6, il commento di Iuri Maria Prado dal titolo "Primo sì alla Knesset per la pena di morte ai terroristi: così Israele imbocca una strada problematica".
Iuri Maria Prado
Passa in prima lettura, alla Knesset, la legge che introduce la pena di morte per terrorismo. Ben Gvir festeggia distribuendo dolci ai deputati. Ora inizia l'iter per l'approvazione del testo e non è detto che la legge venga introdotta. Il problema che intende risolvere è serio: i terroristi incarcerati, appena vengono liberati (negli scambi con gli ostaggi) tornano a fare terrorismo. Ma questa legge, se passasse, creerebbe immensi problemi, prima di tutto per la quantità enorme di esecuzioni capitali che Israele dovrebbe compiere. E non sarebbe un deterrente efficace contro il terrorismo islamico suicida.
Pone parecchi problemi l’approvazione parlamentare, seppure solo in prima lettura, della norma che introduce in Israele la pena capitale per alcuni atti di terrorismo. Si tratta di problemi giuridici, politici e morali che investiranno, dividendola, la società israeliana e che, soprattutto, richiameranno sullo Stato ebraico un’altra dose di attenzione certamente non benevola da parte della comunità internazionale.
Va detto che il dibattito non è affatto nuovo in Israele: c’era ed era già vivace prima del pogrom del 7 ottobre di due anni fa; è proseguito e, comprensibilmente, ha preso intensità dopo i massacri e i rapimenti del «Sabato Nero». Non è estraneo a quel dibattito il timore — in realtà una certezza — che lo Stato ebraico possa essere costretto un’altra volta, per riscattare la vita o anche soltanto i corpi di israeliani rapiti, a liberare detenuti responsabili di gravi atti di terrorismo. Il timore non riguarda solo l’impunità che ne deriverebbe per i reati già commessi, ma il pericolo serissimo che quei soggetti possano tornare a compiere altri delitti (il tasso di recidiva terroristica è altissimo). Il ragionamento, brutalmente pragmatico, è che il problema si pone finché sono vivi i terroristi che Israele potrebbe essere costretto a liberare: se sono morti, il problema non c’è. Per capire che non si tratta di una questione ipotetica basta pensare al caso di un terrorista palestinese liberato molti anni fa, con altre centinaia di detenuti, per ottenere il riscatto di un solo ostaggio israeliano: quel terrorista si chiamava Yahya Sinwar e avrebbe adoperato la riconquistata libertà per organizzare e mettere in esecuzione il più spaventoso eccidio di ebrei dal tempo della Shoah.
Non si discute, dunque, che il problema esista e sia assai serio. Ma il fatto che tocchi un nervo delicato e scopertissimo della società israeliana non toglie che giustiziare quei terroristi costituisca una soluzione che si scontra con troppi e troppo gravi motivi di contrarietà. A cominciare da questo: se quell’ipotesi diventasse legge e venisse applicata, significherebbe mandare a morte, d’ora in poi, centinaia di persone. Israele, ovviamente, non diventerebbe una macchina di esecuzioni sommarie dei dissidenti, ma si presterebbe a trasformare il proprio sistema giudiziario in una cupa industria delle soppressioni per via processuale. Lo farebbe travalicando irrimediabilmente limiti giuridici, politici e morali troppo importanti per essere trascurati, anche in nome di indiscutibili valutazioni sulla sicurezza nazionale e sulla protezione dei cittadini.
La norma approvata vuole che sia punito con la morte l’omicidio terroristico di stampo razziale, rivolto a estirpare la presenza del popolo ebraico nella sua terra. Si può essere certi che minacciare e irrogare la pena di morte contro chi, uccidendo, mira all’espianto degli ebrei da Israele non produrrebbe alcun risultato significativo in termini di sicurezza o prevenzione. E dovrebbe bastare questo per giudicarla negativamente, anche senza evocare le riflessioni di carattere umanitario che da sole ne condannerebbero il fondamento di inciviltà e — usiamo la parola — l’evidente ingiustizia.
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