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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio Rassegna Stampa
10.11.2025 Mamdani, l’algoritmo umano
Articolo di Adam Lehrer tradotto da Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 10 novembre 2025
Pagina: 1
Autore: Adam Lehrer
Titolo: «Mamdani, l’algoritmo umano»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 10/11/2025, nella sezione Un Foglio Internazionale, articolo di Adam Lehrer originariamente pubblicata su Tablet tradotto da Giulio Meotti dal titolo: "Mamdani, l’algoritmo umano".

Mamdani, l'algoritmo umano | Il Foglio
Zohran Mamdani è uno spettacolo isterico e contraddittorio, simbolo di una sinistra americana trasformata in fenomeno estetico e consumistico. Mamdani appare come un politico costruito su pose e slogan. La sua forza sta proprio nell’incoerenza: incarna una generazione che ha sostituito la ribellione con il marketing dell’identità

Il 26 ottobre, Zohran Mamdani ha tenuto un comizio al Forest Hills Stadium, che si trova proprio di fronte al mio appartamento”, scrive Adam Lehrer, vicedirettore del Tablet. “E’ stato difficile non disperare mentre decine di migliaia di attivisti di New York, tra i più caffeinati e clinicamente instabili, inondavano il mio tranquillo quartiere alberato del Queens come uno sciame di cavallette zelanti. Ho deciso di affrontare quella prova come un’esperienza sul campo. Ho parlato con i suoi devoti, ho osservato i loro rituali e ho cercato, contro ogni previsione, di capire quale vangelo stesse predicando quest’uomo. Il comizio è stato un incubo febbrile uscito direttamente da un thread di sinistra su Reddit. L’aria era pervasa da quel tipo di isteria che si prova quando la politica diventa terapia. Baby boomer invecchiati con magliette anti Trump reggevano cartelli che mettevano in guardia contro l’avanzata del fascismo, mentre un gruppo di musulmani ortodossi sedeva dietro gente con il classico anello al naso come un simbolo di chiarezza morale. Sembrava che l’intero spettro politico americano fosse crollato in un uroboro antisraeliano, quasi antisemita, di incoerenza.

Dimenticate, per un attimo, la politica assurda di Mamdani – un groviglio di pseudo-comunismo terzomondista, radicalismo islamista performativo e quel tipo di liberalismo globale intriso di ong che si autodefinisce ribellione – e guardatelo come un uomo. Come una personalità. E chiedetevi, sinceramente: cosa vedono in lui? Quella personalità, un tempo confinata a un unico archetipo liceale, il rappresentante di classe della brillante satira di Alexander Payne ‘Election’, si è metastatizzata in una condizione generazionale. Ora è la modalità predefinita del millennial progressista – dai 27 ai 34 anni nel 2025 – la cui giovinezza è stata spesa tra la giostra di tirocini non retribuiti, ‘attivismo’ sui social e il dolore al rallentatore di aspettative disattese. Niente ha funzionato per queste persone. Ogni ideale si è incrinato; ogni vittoria si è dissolta nell’ironia. Quando la ribellione ha fatto appello, anch’essa li ha traditi, rivelandosi un altro tirocinio aziendale in preda all’indignazione morale. Zohran è il loro avatar, la loro rivendicazione, la loro vendetta: il presidente del corpo studentesco trionfante, che tiene in ostaggio il mondo che gli ha negato la sua medaglia d’oro in un’assemblea permanente.

Coloro che non sono toccati dall’aura curata e dall’artificiosa eleganza politica di Mamdani – me compreso – notano qualcosa di inquietante in quest’uomo. C’è l’affettazione: quel sorriso perennemente forzato, da cartone animato, nella sua falsità; l’accento camaleontico che cambia con la folla; le foto ricordo studiate per gonfiare la sua credibilità di ‘minoranza rappresentativa’. Più e più volte, è riuscito a dire bugie stravaganti mentre ostentava superiorità morale, ignaro di essere diventato una parodia del comunismo da champagne. Predica sulle lotte della classe operaia, eludendo la verità: suo padre è un celebre accademico, sua madre una stimata (anche se terribilmente noiosa) regista e che, a detta di tutti, non ha mai lavorato un giorno in vita sua. Zohran è un algoritmo umano addestrato sui gesti e le cadenze del pubblico che spera di sedurre.

Quel pomeriggio, in piedi, circondato dai suoi ammiratori, quella falsità sembrava contagiosa. La folla sembrava rispecchiarlo, fingendo di credere piuttosto che sentire. L’immagine che mi è rimasta più impressa è stata quella di un giovane nervoso che rappresentava il Partito comunista, curvo e spettrale, con il volto mezzo inghiottito da una mascherina e una kefiah. Nelle sue mani, un opuscolo con le orecchie piegate, raffigurante il volto di MalcolmX e il titolo: ‘Non si può avere capitalismo senza razzismo’. In quell’unica immagine era racchiusa l’intera assurdità del movimento di Zohran: la paranoia pandemica che si scontrava con l’assolutismo morale dell’era George Floyd, il risentimento razziale sposato al radical chic, l’ambiguità di genere che si mescolava al risentimento antiamericano e al disprezzo antisemita e un odore pesante e soffocante di politica identitaria. Era un collage di ideologia: farsesca, contraddittoria e sincera. C’era nell’aria un’ostilità bassa ed elettrica che non avevo mai percepito prima a un raduno di sinistra su larga scala. Durante le due fallite campagne presidenziali di Bernie Sanders, i suoi raduni di massa, sebbene ugualmente ideologicamente diversificati, portavano con sé una strana energia. Si percepiva la speranza nell’aria, anche se ingenua o destinata al fallimento. La folla di Sanders voleva credere in qualcosa. Il raduno di Zohran era più cupo, serrato, revanscista. Ogni slogan aveva un tono tagliente.

Il movimento, così come l’ho visto dal vivo e nei fumi, può essere nettamente suddiviso in tre specie. In primo luogo, ci sono i baby boomer squilibrati. Poi vengono i migranti etnici, i fedeli dei quartieri periferici che vedono in Zohran un santo patrono dell’edilizia popolare, l’unico che potrebbe impedire al sistema di mangiarli vivi. Il loroentusiasmo è sincero, ma egoistico. E infine, i millennial ultra-sinistri della classe medio-alta e gli ultimi arrivati,quelli di Brooklyn e Astoria, che confondono il loro fallimento nell’ottenere un lavoro a sei cifre nei media con l’essere ‘classe operaia’. Ho passato la giornata a vagare tra la folla, parlando con le persone in coda per ascoltare Zohran, Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders cantare il loro vangelo. Tra i cerchi di tamburi e le nuvole di vapore, sono riuscito a individuare tre individui che, a modo loro, incarnavano ciascuna delle tre fazioni dei suoi devoti. Lo scambio più civile della giornata è stato offerto da Kate Kohli, rappresentante del Working Families Party. Ha parlato con la serietà di chi crede ancora che la politica sia una vocazione morale. Sebbene fosse tutt’altro che innamorata di Zohran, Kate ha esposto le sue ragioni con sorprendente franchezza. Poi è arrivato un immigrato nigeriano che si è presentato come ‘Edafe’. Ha detto di sostenere Zohran per le sue politiche economiche socialdemocratiche: i suoi discorsi sul controllo degli affitti, l’equità salariale e gli aiuti governativi per gli oppressi, un sostegno motivato da quella che ha definito la crisi dell’accessibilità economica a New York. E’ diventato subito chiaro che la retorica di Zohran sulle frontiere aperte entusiasmava Edafe tanto quanto i suoi argomenti sulla lotta di classe. Infine, ho parlato con un ventenne membro del Partito comunista che si è presentato come ‘Raj’. Aveva l’energia nervosa di chi ha letto troppa teoria e non abbastanza letteratura.

E’ stato subito chiaro che i giovani attivisti erano i garanti, quelli che controllavano il messaggio, impartendo la disciplina di partito con lo zelo dei veri credenti. Zohran non guida queste persone, le incarna. E’ l’avatar ideologico di una generazione che scambia le pose per uno scopo. Zohran non imita la sincerità; la replica, in modo impeccabile e senza sentimento. Fortunatamente per lui, i giovani che costituiscono la sua base hanno perso da tempo la capacità – o il desiderio – di distinguere tra il reale e il simulato. In questo senso, Zohran non è solo un politico; è un artefatto vivente della condizione postmoderna, un ologramma di carisma che balugina alla fine della storia. Jean Baudrillard non avrebbe potuto scriverlo meglio. Ed è proprio questo il punto. La ribellione è diventata un target di marketing. La rivoluzione è stata trasmessa in diretta streaming, hashtaggata e monetizzata prima ancora che avesse la possibilità di accadere. Dimostri la tua diversità attraverso le tue abitudini di acquisto: vinili vintage, birra artigianale, un appartamento arredato come una pubblicità di autenticità. Giochi a travestirti tra le rovine della controcultura. Poco più che consumismo criptato, un’eco gentrificata del materialismo un tempo incarnato dai genitori boomer degli hipster. Intorno al 2015, l’hipster aveva cambiato marchio. Le chitarre vintage e gli stivali malconci erano stati abbandonati, sostituiti da slogan come ‘Black Lives Matter’, ‘Proteggi i bambini trans’, ‘Green New Deal’, ‘Globalizza l’Intifada’. Era nato l’attivista. Questi non erano tanto movimenti quanto campagne di marketing: loghi ideologici stampati su borse e cronologie.

Dalla morte di George Floyd, abbiamo visto ogni slogan radicale dissolversi in uno spettacolo, con tanto di sponsorizzazioni aziendali, hashtag e merchandising in edizione limitata. La rivoluzione ora offre resi gratuiti. Il dissenso politico è diventato un’altra tendenza di stile di vita, pronta per essere monetizzata. Simboli radicali – il pugno alzato, la bandiera dell’orgoglio – vengono spogliati del loro contesto, ribattezzati kit di empowerment e rivenduti ai loro proprietari originali. Questo è il clima culturale da cui è emerso Zohran. Ciò significa che, mentre molti ebrei sono allarmati dai suoi flirt con la retorica islamista, la verità è molto più opaca e in qualche modo più sinistra. La sua politica è un miscuglio caotico di gergo identitario di sinistra, comunismo da boutique, globalismo delle ong e superficiali segnali religiosi, il tutto cucito insieme dalla disperazione di chi vuole essere tutto per tutti. La sua forza risiede in questa incoerenza. Un momento invoca Marx e la coscienza di classe proletaria, quello dopo cita Fanon e asseconda la teoria postcoloniale proto-woke, quello dopo ancora scherza sul controllo degli affitti e sulla liberazione queer. E’ uno specchio perfetto per loro: alienati, iperverbali e alla deriva nella modernità liquida di Zygmunt Bauman, dove l’autenticità è evaporata e ne rimane solo la simulazione. E così ci troviamo sulla soglia di una nuova èra, in cui la città più grande e complessa del mondo sarà governata da persone senza convinzioni e princìpi, con nient’altro che lo slogan del momento e la sicurezza algoritmica di chi è perennemente online. Non stiamo entrando in una rivoluzione; stiamo entrando in un ciclo di feedback”. 

(Traduzione di Giulio Meotti)

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