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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Riformista Rassegna Stampa
10.11.2025 Libano, polveriera pronta a esplodere
Analisi di Paolo Crucianelli

Testata: Il Riformista
Data: 10 novembre 2025
Pagina: 4
Autore: Paolo Crucianelli
Titolo: «Israele attacca Hezbollah in Libano. La lettera che esclude il negoziato politico e una polveriera pronta ad esplodere»

Riprendiamo dal RIFORMISTA, edizione online, il commento di Paolo Crucianelli dal titolo "Israele attacca Hezbollah in Libano. La lettera che esclude il negoziato politico e una polveriera pronta ad esplodere".

Libano, la tregua vacilla. L'esercito regolare libanese non riesce a disarmare le milizie di Hezbollah. E il movimento terrorista filo-iraniano esclude tassativamente ogni trattativa con Israele. L'IDF cerca di prevenire un nuovo conflitto, colpendo obiettivi di Hezbollah, stavolta con il sostegno degli Usa.

La tregua siglata poco più di un anno fa tra Israele e Libano vacilla. Negli ultimi giorni, i raid israeliani contro obiettivi di Hezbollah si sono moltiplicati, mentre da Beirut arrivano segnali di crescente impotenza. L’esercito libanese, incaricato di riportare sotto controllo statale le armi del gruppo sciita nel sud del Paese, fatica a operare: mancano mezzi, fondi e persino gli esplosivi necessari a neutralizzare i depositi rinvenuti.

Nel frattempo, Hezbollah mostra scarsa collaborazione. In una lettera aperta ai vertici istituzionali libanesi, il movimento ha escluso ogni ipotesi di negoziato politico con Israele, definendolo «una minaccia alla sovranità nazionale». Ha ribadito il «diritto legittimo alla resistenza» e accusato Israele di violare sistematicamente il cessate-il-fuoco via terra, mare e aria. Un linguaggio che riprende la retorica della guerra del 2006 con Israele, ma in un contesto molto più delicato, soprattutto per la fragilità della tregua a Gaza. In uno scenario regionale così complesso, la riapertura di un fronte di combattimento rischia di far crollare tutta l’architettura di pace che si sta cercando faticosamente di costruire.

Israele, sostenuto politicamente dagli Stati Uniti, ha reagito con una serie di raid mirati a impedire che Hezbollah si riorganizzi. L’ultimo attacco, nei pressi di Tiro, ha distrutto una importante struttura usata dall’unità ingegneristica del gruppo per produrre equipaggiamenti destinati al ripristino di installazioni militari. Secondo l’IDF, l’attività in quell’area rappresentava una violazione diretta degli accordi di cessate-il-fuoco. «L’esercito continuerà ad agire per rimuovere ogni minaccia dal territorio dello Stato di Israele», ha dichiarato il comando settentrionale, responsabile dell’operazione. Dietro la nuova ondata di raid c’è una strategia precisa: evitare che Hezbollah, indebolito dai colpi subiti nell’ultimo anno, possa ricostruire arsenali e catene logistiche. Fonti israeliane ammettono che il gruppo resta «severamente danneggiato ma non sconfitto» e che la principale lezione appresa dal 7 ottobre è prevenire il riemergere di minacce armate lungo il confine settentrionale – una linea d’azione che riflette il carattere preventivo della dottrina bellica israeliana.

Anche Washington sembra muoversi in questa direzione. Appena poche ore prima dei raid israeliani, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha imposto nuove sanzioni a soggetti libanesi, accusati di riciclare denaro iraniano per finanziare Hezbollah. «Il Libano potrà essere libero e prospero solo se Hezbollah sarà disarmato e tagliato fuori dal controllo iraniano», ha dichiarato il sottosegretario John Hurley, sottolineando la convergenza tra pressione economica americana e azione militare israeliana. In parallelo, il governo libanese prepara il secondo rapporto sull’attuazione della Risoluzione 1701 dell’ONU, che dal 2006 impone il disarmo delle milizie e limita la presenza armata a sud del fiume Litani. Ma sul terreno il piano procede a rilento: i militari hanno individuato e chiuso alcuni depositi, senza riuscire a completare la bonifica. Hezbollah, pur dichiarandosi ufficialmente a favore del processo di disarmo, mantiene una certa influenza sulle forze armate libanesi e continua a operare clandestinamente nel sud.

Secondo analisti israeliani, se la situazione non cambierà, Gerusalemme potrebbe decidere di avviare un’operazione preventiva limitata, di pochi giorni, per neutralizzare depositi e elementi di vertice del gruppo. L’obiettivo non sarebbe aprire un nuovo fronte, ma impedire che Hezbollah riacquisti forza e sposti risorse militari verso il nord del Libano. Il rischio, tuttavia, è che la spirale diventi incontrollabile. Ogni raid alimenta la narrativa della “resistenza”, ogni dichiarazione di Hezbollah rafforza la sensazione di accerchiamento nella parte di popolazione che lo appoggia. E mentre il governo di Beirut appare in precario equilibrio fra pressioni internazionali e realtà sul terreno, il sud del Paese torna a essere ciò che non ha mai smesso di essere davvero: una polveriera pronta a esplodere.

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