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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero Rassegna Stampa
08.11.2025 Fumogeni pro-Pal a Parigi sulla filarmonica di Israele
Cronaca di Enrico Stinchelli

Testata: Libero
Data: 08 novembre 2025
Pagina: 16
Autore: Enrico Stinchelli
Titolo: «Fumogeni pro-Pal a Parigi sulla Filarmonica di Israele»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/11/2025, a pag. 16, con il titolo "Fumogeni pro-Pal a Parigi sulla Filarmonica di Israele" la cronaca di Enrico Stinchelli.

Fumogeni pro-Pal contro la musica. Quando la filarmonica di Israele, diretta da Lahav Shani, si è esibita a Parigi è stata accolta così. Fuori dal teatro della Philarmonie, sulla piazza, un altro gruppo di manifestanti agitava bandiere palestinesi e gridava slogan contro Israele.

Doveva essere una serata di grande musica, con l’Israel Philharmonic Orchestra diretta da Lahav Shani alla Philharmonie quella organizzata per giovedì scorso a Parigi. Invece si è trasformata in un incubo.
Poco dopo l’inizio del concerto, mentre l’orchestra intonava le prime battute di Mozart, dalla platea centrale si sono alzati d’improvviso fumo rosso, urla e slogan pro-Palestina. Cinque o sei persone, sedute tra il pubblico, hanno estratto piccoli fumogeni da borse e giacche, accendendoli contemporaneamente. La nube ha invaso in pochi secondi la sala Pierre Boulez, costringendo i musicisti a fermarsi di colpo e il pubblico a fuggire in preda al panico.
Molti hanno tossito, altri sono rimasti pietrificati sulle sedie, temendo un attentato. In un’epoca in cui il terrorismo a Parigi è ancora una ferita viva, l’odore acre e il fumo rosso hanno riportato per un attimo tutti al Bataclan.
Il personale di sicurezza è intervenuto subito, evacuando parte della sala e accompagnando i musicisti dietro le quinte. Fuori, sulla piazza, un altro gruppo di manifestanti agitava bandiere palestinesi e gridava slogan contro Israele.
Quattro persone sono state fermate dalla polizia: avevano acquistato regolarmente i biglietti settimane prima, in modo da infiltrarsi senza destare sospetti. Secondo le prime indagini, l’azione era stata preparata con cura, per colpire proprio nel momento di massimo raccoglimento emotivo: quando l’arte sospende il mondo, e un gesto improvviso lo squarcia.
La Philharmonie, in una nota ufficiale, ha parlato di «atto violento che ha messo in pericolo la sicurezza di pubblico e artisti» e ha annunciato una denuncia contro ignoti. Il concerto è rimasto sospeso per oltre mezz’ora. Gli addetti hanno fatto ventilare la sala e verificato che non vi fossero sostanze tossiche nel fumo, poi il pubblico è stato fatto rientrare.
Quando Lahav Shani è riapparso sul podio, accolto da un lungo applauso, l’orchestra ha ripreso a suonare. Al termine, in piedi, i musicisti hanno eseguito l’inno nazionale israeliano: un gesto sobrio e potente, accolto da un silenzio carico di emozione.
La ministra della Cultura francese, Rachida Dati, ha definito l’accaduto «un attentato alla libertà artistica e alla serenità del pubblico». Ieri sera il ministro dell’Interno francese, Laurent Nuñez, ha confermato su X l’arresto di «quattro persone che sono state poste in stato di fermo». Nuñez ha voluto ringraziare « il personale della polizia che ha permesso il rapido arresto di diversi autori di gravi disordini all’interno della sala e di contenere i manifestanti all’esterno».
Non ci sono state rivendicazioni dirette da Hamas, ma le modalità — infiltrazione, azione scenica, impatto mediatico — richiamano la strategia di chi mira a colpire i simboli, non i corpi. Un’orchestra israeliana, nel cuore di Parigi, era un simbolo perfetto: la cultura come rappresentazione di un’identità nazionale. Non è più semplice protesta: è la versione culturale della strategia del terrore. Niente bombe, ma fumogeni. Nessun morto, ma paura. L’obiettivo è dire che nessun luogo è neutrale, che anche un teatro può diventare campo di battaglia. È la logica della tensione trasportata nella quotidianità: far credere che l’arte non sia più un rifugio, ma un territorio di scontro. La paura deve entrare in platea come fosse uno strumento d’orchestra. E mentre i musicisti tornavano al loro posto, la cultura occidentale mostrava tutta la sua vulnerabilità. Dopo la russofobia e la cancel culture, ora il boicottaggio dell’arte israeliana. Lahav Shani e i suoi orchestrali, però, hanno dato la risposta più limpida: continuare a suonare. Nel fumo e nella paura, la loro musica è diventata il gesto più politico di tutti — l’unico davvero umano.

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