Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
La propaganda sovietica trasformò il sionismo in un insulto Analisi di Jan Kapusnak
Testata: israele.net Data: 05 novembre 2025 Pagina: 1 Autore: Jan Kapusnak Titolo: «La propaganda sovietica trasformò il sionismo in un insulto: da quella menzogna è emerso il volto dell’antisemitismo contemporaneo, che vuole negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione che viene riconosciuto a ogni altra nazione»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - un articolo di Jan Kapusnak e tradotto jns.org, dal titolo "La propaganda sovietica trasformò il sionismo in un insulto: da quella menzogna è emerso il volto dell’antisemitismo contemporaneo, che vuole negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione che viene riconosciuto a ogni altra nazione".
Jan KapusnakUna delle numerose vignette violentemente antisraeliane (con i tratti tipici dell’iconografia antisemita) pubblicate dalla Pravda sovietica negli anni ’70. Questa propaganda, infiltrata in ambienti progressisti e islamisti, ha istituzionalizzato l’antisionismo come nuova forma di antisemitismo nel linguaggio dei diritti umani contemporanei
Scrive Jan Kapusnak: La mattina del 7 ottobre 2023, mentre i terroristi di Hamas ancora bruciavano vive famiglie israeliane, decapitavano persone, violentavano donne e trascinavano centinaia di ostaggi a Gaza, i loro simpatizzanti occidentali della Palestine Solidarity Campaign, la più grande organizzazione europea per i “diritti dei palestinesi”, chiedevano alla polizia di Londra di organizzare una marcia di massa: non contro gli assassini, ma contro le loro vittime.
Mentre si consumava il peggior massacro di ebrei dai tempi della Shoah, Londra risuonava di slogan che equiparavano Israele all’apartheid e il sionismo al razzismo. La città era inondata di bandiere e striscioni palestinesi che equiparavano la Stella di David alla svastica.
Ancor prima che la prima bomba israeliana colpisse le postazioni terroristiche nella Striscia di Gaza, gli attivisti pro-pal accusavano Israele di commettere “crimini di guerra” e “genocidio”.
Il massacro di uomini, donne e bambini da parte di Hamas nelle comunità del sud di Israele veniva presentato come un legittimo atto di “resistenza contro il colonialismo sionista”.
Quello che agli occhi di un estraneo poteva sembrare uno spontaneo scoppio di rabbia era in realtà il prodotto di decenni di campagne sistematiche con un unico obiettivo: delegittimare lo Stato di Israele.
Le radici del riflesso automatico della retorica anti-israeliana risalgono agli anni ’60, quando l’Unione Sovietica scatenò una guerra ideologica globale contro il sionismo.
Mosca investì ingenti risorse nella creazione di un sofisticato arsenale propagandistico progettato per indebolire l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e dipingere Israele come un progetto coloniale e razzista.
Quel linguaggio cinicamente costruito, pieno di menzogne e simboli mistificatori, sopravvisse alla caduta dell'”Impero del Male” e avvelena ancora oggi il dibattito pubblico.
Il sionismo nacque come movimento di liberazione nazionale degli ebrei, un popolo che si batteva per riconquistare la sovranità politica nella sua patria storica.
La sua forma moderna fu plasmata nel XIX secolo da Theodor Herzl, un giornalista austriaco di origine ebraica che immaginò un rifugio sicuro per gli ebrei e si adoperò per realizzare la sua visione attraverso una strategia politica pragmatica.
Herzl si concentrò sull’ottenere un riconoscimento internazionale e sulla costruzione di una diplomazia che consentisse agli ebrei di esercitare il loro diritto all’autodeterminazione.
Fu proprio questa legittimità a diventare, in seguito, il principale bersaglio della propaganda sovietica.
La Shoah avrebbe poi reso il sionismo una questione di urgente sopravvivenza. I sopravvissuti alla Shoah, respinti da molti paesi, videro nello Stato ebraico la loro unica possibilità di ricostruirsi una vita dignitosa.
L’idea del ritorno e della rinascita ottenne un forte sostegno anche da coloro che si schieravano a sinistra e che vedevano in Israele il frutto di una lotta di oppressi contro l’oppressione.
La creazione di Israele divenne un simbolo di giustizia e della lotta universale per la libertà.
Poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica sostenne effettivamente la fondazione di Israele. Fu tra i primi a riconoscere diplomaticamente il nuovo Stato e, attraverso la Cecoslovacchia, fornì le armi che permisero a Israele di sopravvivere alla prima guerra scatenata contro di esso dagli arabi.
Mosca vedeva in questo un’opportunità per indebolire l’influenza britannica in Medio Oriente e sperava che il nuovo Stato si unisse al blocco socialista. Ma la geopolitica cambiò rapidamente.
Durante la Guerra di Corea (1950-53), Israele si schierò col campo occidentale e l’Unione Sovietica iniziò a fornire armi ai nuovi regimi arabi che si dichiaravano “nazional-socialisti”.
Ne scaturì la cooperazione di Israele con Gran Bretagna e Francia durante la crisi di Suez (1956), che infranse definitivamente l’ambizione di Mosca di trovare in Israele un utile alleato.
La svolta decisiva arrivò nel 1967. La Guerra dei Sei Giorni, combattuta da Israele minacciato nella sua stessa sopravvivenza, si concluse con una vittoria lampo sugli eserciti arabi sostenuti dall’Unione Sovietica.
Israele conquistò territori e offrì il principio “terra in cambio di pace”. Gli stati arabi, tuttavia, risposero con la risoluzione dei “tre no” di Khartoum: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no al negoziato con Israele.
Mosca distorse questa realtà dipingendo il sionismo, nella sua propaganda, come un progetto coloniale espansionistico e uno strumento dell’imperialismo occidentale.
Nel frattempo gli ebrei sovietici rivendicavano sempre più insistentemente il diritto di emigrare, con un crescente sostegno da parte delle comunità ebraiche di tutto il mondo.
Agli occhi del Cremlino il sionismo divenne una minaccia. Per l’allora capo del KGB, Yuri Andropov, non si trattava più di un semplice movimento nazionale, ma di una presunta cospirazione globale anti-comunista che poteva essere contrastata solo attraverso una campagna di propaganda internazionale accuratamente orchestrata.
La strategia sovietica si basò su quella che Hitler una volta aveva definito (nel suo Mein Kampf) la “grande menzogna”: fare ricorso a falsità colossali e ripeterle fino a farle sembrare credibili.
Nella versione sovietica, la menzogna era l’equiparazione tra sionismo e razzismo.
Alle conferenze internazionali, sulla stampa e nei campus universitari si diffuse una retorica che collegava Israele all’apartheid, al colonialismo e persino al nazismo. Condannare Israele divenne sinonimo di virtù morale.
Il palcoscenico più importante di questa campagna furono le Nazioni Unite.
Create per prevenire nuovi conflitti e promuovere la pace, negli anni ’60 e ’70 la loro struttura cambiò radicalmente con l’allargamento del numero degli Stati membri, principalmente per l’ingresso di nuovi paesi appena liberati dal dominio coloniale in Africa e Asia: Stati che spesso non avevano tradizioni democratiche e costituivano il bersaglio ideale della propaganda e del sostegno finanziario sovietici.
E’ così che Mosca si assicurò una maggioranza automatica alle Nazioni Unite: qualsiasi cosa danneggiasse l’Occidente o Israele aveva buone probabilità di successo.
Cinquant’anni fa, il 10 novembre 1975, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite giunse ad adottare la famigerata risoluzione 3379 che dichiarava: “il sionismo è una forma di razzismo”.
Sebbene respinta dall’Occidente, la risoluzione fu sostenuta da un’ampia maggioranza di paesi del blocco dell’Est, dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina e conferì alla propaganda sovietica un timbro di legalità: la menzogna era diventata parte del discorso internazionale ufficiale.
In questo modo le Nazioni Unite divennero la piattaforma con cui istituzionalizzare l’antisemitismo moderno (sotto forma di negazione al popolo ebraico del diritto all’autodeterminazione nazionale ndr).
Paesi che non intendevano propagare apertamente l’odio per gli ebrei potevano invece votare contro il “sionismo” e fingere di difendere i diritti umani.
L’abrogazione della risoluzione nel 1991 fu in gran parte una mossa geopolitica per facilitare la diplomazia mediorientale, non per correggere un torto.
Nello stesso anno, la Conferenza di Pace di Madrid cercò di avviare colloqui diretti tra Israele e i suoi vicini, ma il quadro ideologico costruito da decenni di propaganda sovietica continuò e continua tuttora a plasmare la percezione di Israele. La risoluzione viene ancora oggi ampiamente citata dagli attivisti anti-israeliani. …
Attraverso la sua propaganda, Mosca ha creato uno dei più grandi miti politici del XX secolo. Il movimento palestinese è storicamente senza precedenti: è l’unico progetto “nazionale” il cui scopo non è costruire un proprio Stato, ma distruggerne un altro.
La campagna antisionista sovietica si diffuse attraverso reti di sinistra, ong e movimenti islamisti. Si avvalse di organizzazioni di facciata comuniste che organizzavano conferenze che collegavano la causa palestinese ad altre lotte “antimperialiste”, da Cuba al Vietnam.
Delegati dei paesi del Terzo Mondo e del Movimento dei Paesi Non Allineati, così come estremisti occidentali, adottarono quelle narrazioni e le riportarono in patria, diffondendole in ambienti politici, accademici e militanti.
La propaganda sovietico-palestinese è tra le più riuscite della storia moderna, avendo fuso in narrazioni durature ideologia, riscrittura della storia e simbolismo morale. Ha presentato l’antisionismo come moralmente nobile, lo ha collegato all’antimperialismo e lo ha ammantato nel linguaggio della “pace globale”.
I propagandisti sfruttarono abilmente il senso di colpa occidentale per il colonialismo.
La continuità è oggi ben visibile: le campagne di disinformazione russe sull’Ucraina impiegano le stesse tattiche di negazione, inversione della realtà e manipolazione morale.
Il KGB sarà anche scomparso, ma le sue operazioni di maggior successo sono vive e vegete.
La propaganda sovietica non solo ha minato la legittimità di Israele a livello internazionale: ha anche corrotto il linguaggio stesso dei diritti umani.
Ha trasformato il movimento nazionale del popolo ebraico in un presunto simbolo di oppressione: un crudo richiamo a quale potere distruttivo abbia la propaganda quando non viene contrastata.
La persistenza di queste narrazioni risiede nel fatto che le reti e le strutture che le diffondevano non sono mai scomparse.
L’odierno antisionismo di sinistra (e islamista) non è tanto una risposta agli eventi di Gaza quanto la continuazione di assurdità ideologiche sovietiche riciclate, tramandate da una generazione all’altra di intellettuali e attivisti.
L’Occidente liberale, che ha vinto la Guerra Fredda anche sul piano ideologico, ha largamente fallito nell’affrontare questa eredità.
Mosca trasformò il sionismo in un insulto, e da quella menzogna è emerso il volto contemporaneo dell’antisemitismo.
Il sionismo è esattamente ciò che la propaganda sovietica negava: il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico, fondato sul diritto universale all’autodeterminazione, un diritto che viene incondizionatamente riconosciuto a ogni altra nazione.
(Da: jns.org, 28.10.25)
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