Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
80 anni fa la strage di Tripoli, il pogrom dimenticato Commento di Ruben Della Rocca
Testata: Il Riformista Data: 04 novembre 2025 Pagina: 5 Autore: Ruben Della Rocca Titolo: «80 anni fa la strage di Tripoli. Il crudele pogrom (dimenticato) sulla pelle degli ebrei in Libia»
Riprendiamo dal RIFORMISTA, del 04/11/2025 a pagina 5 il commento di Ruben Della Rocca dal titolo "80 anni fa la strage di Tripoli. Il crudele pogrom (dimenticato) sulla pelle degli ebrei in Libia".
Il 4 novembre 1945 gli ebrei di Libia vennero massacrati a Tripoli. E ciò avvenne prima della nascita dello Stato di Israele.
Era il 5 giugno 1967, una data che ha cambiato per sempre la storia del Medio Oriente e del conflitto arabo-israeliano. Quel giorno l’esercito israeliano, reagendo alle continue minacce del leader egiziano Gamal Abd al-Nasser, intraprese una delle campagne militari più brevi e decisive della storia: la Guerra dei Sei Giorni.
Il conflitto del 1956 tra Israele e i suoi nemici, il secondo dopo la non accettazione da parte degli Stati arabi della nascita dello Stato ebraico e la conseguente aggressione del 14 maggio 1948, aveva lasciato contenziosi aperti. Le settimane precedenti al nuovo scontro furono segnate da violenti incidenti di frontiera con la Giordania e dalla mobilitazione egiziana, ordinata da Nasser su indicazione dell’Unione Sovietica. Le truppe del Cairo occuparono le posizioni dell’UNEF, la Forza di emergenza delle Nazioni Unite a Sharm el-Sheikh, e bloccarono il traffico mercantile sugli stretti di Tiran.
Mentre le fonti egiziane e siriane annunciavano con toni trionfali la fine imminente del “regime sionista”, Israele sferrò un attacco aereo a sorpresa su larga scala. Nei primissimi giorni del conflitto ottenne la supremazia totale dei cieli e portò a termine le operazioni con un successo clamoroso: conquistò e riunificò Gerusalemme, dichiarandola Capitale, insieme all’intera Cisgiordania. Sul fronte siriano, l’esercito israeliano conquistò strategicamente le alture del Golan, assicurandosi un vantaggio difensivo che ancora oggi rappresenta una garanzia di sicurezza rispetto alle minacce provenienti dalla Siria.
Mentre nelle città israeliane si festeggiava un trionfo militare senza precedenti, nelle capitali arabe il senso di disfatta e di frustrazione era profondo. La vita degli ebrei nei Paesi musulmani non era mai stata serena: nei secoli si erano alternati momenti di convivenza a periodi di violenza e persecuzione. Tra i più tragici, il pogrom di inaudita ferocia avvenuto a Tripoli il 4 novembre 1945, quando 132 ebrei libici furono uccisi dall’orda musulmana della Hara, l’antico quartiere ebraico. Fu il modo arabo di “celebrare” l’anniversario della Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917, ricordando agli ebrei la contrarietà araba alla nascita di una patria ebraica.
Nel giugno del 1967, con la Guerra dei Sei Giorni, l’irreparabile si compì. Al Cairo, a Damasco, ad Amman, a Tripoli, nello Yemen e in Iraq, le folle arabe si scatenarono contro i concittadini di religione ebraica. Mentre Radio Cairo annunciava falsamente la disfatta di Israele, le masse, colme d’odio, si riversavano nelle strade per dare la caccia agli ebrei. In Libia la situazione divenne drammatica e incontrollabile: in poche ore furono cancellati millecinquecento anni di convivenza tra musulmani ed ebrei.
Per gli arabi, la “questione ebraica” andava risolta in quel momento. Secoli di storia, cultura, tradizioni e vita comune furono spazzati via da una furia cieca che costrinse gli ebrei libici a nascondersi nelle proprie case, in silenzio, per non farsi scoprire da vicini pronti a denunciarli. È impossibile non pensare, leggendo quelle vicende, alla famiglia Frank, alla giovane Anna e alla soffitta di Amsterdam durante l’occupazione nazista.
Solo la saggezza di re Idris, monarca illuminato, evitò un massacro totale. Il sovrano protesse i suoi ebrei e ne favorì la fuga precipitosa: ciascuno con cinquanta sterline libiche in tasca e una valigia con poche cose. I beni, frutto di una vita di lavoro, furono confiscati e usurpati, mentre il sangue ebraico scorreva nelle strade di Tripoli e di altre città arabe.
L’Italia fece la sua parte. Un ponte aereo dell’Alitalia permise la fuga dei profughi ebrei, accolti in campi allestiti a Latina e sostenuti dalle comunità ebraiche italiane, Roma in testa, grazie all’opera generosa del rabbino capo Elio Toaff. Gli ebrei tripolini si unirono a quelli romani, dando vita a un’unica grande comunità, esempio di integrazione e solidarietà, unita da fede, cultura e memoria condivisa.
Tutto questo non cancella il dramma vissuto dagli ebrei nei Paesi arabi: persecuzioni iniziate nel 1948 e culminate nel 1967, con l’esodo forzato di quasi un milione di persone sradicate dalle proprie radici. “Quel modo così arabo di essere ebrei che avevano gli ebrei di Trablous…”, scriveva Herbert Pagani nella sua Lettera aperta al colonnello Gheddafi del 1987.
Si potrebbe definire, senza esagerazione, una “Nakba” ebraica.
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