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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero Rassegna Stampa
04.11.2025 Londra e il veto sulla parola 'terrorismo'
Commento di Daniele Capezzone

Testata: Libero
Data: 04 novembre 2025
Pagina: 1/15
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: «Londra e il veto sulla parola 'terrorismo'»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 04/11/2025, a pag. 1/15, con il titolo "Londra e il veto sulla parola 'terrorismo'", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Due aggressori accoltellano passeggeri di un treno a Londra. Le autorità si affrettano subito ad escludere che si tratti di terrorismo. Perché? Accoltellare persone a caso in un luogo affollato, come lo si deve chiamare? Non viene detto neppure il movente.

Solo per capire: ma per quale misteriosa ragione, a proposito del terrificante caso di accoltellamento multiplo di sabato sera sul treno per Londra, non si dovrebbe parlare di “terrorismo”?
Le autorità locali si sono subito affrettate a far circolare due informazioni: non sarebbe - dicono - un caso di “terrorismo” e i due arrestati sono cittadini britannici. E noi naturalmente ci atteniamo a queste sommarie informazioni iniziali: mentre scrivo, infatti, non posso sapere cosa stia emergendo dagli interrogatori e dalle indagini. È dunque saggio in questa fase - formulare tutte le ipotesi possibili: escludendo il movente religioso e quindi l’estremismo islamista, resta un ventaglio di possibilità, dall’odio di seconda o terza generazione verso il proprio paese al puro nichilismo distruttivo, passando per la spiegazione- da molti preferita in questi casi - della “follia” individuale.
Ecco: anche puntando sulle motivazioni più pazze e irrazionali (due lupi solitari che colpiscono per il sadico piacere di far male), resta la domanda iniziale: perché non dovremmo parlare di “terrorismo”? In questo caso, non sarebbe terrorismo religioso, non sarebbe terrorismo politico, ma si tratterebbe pur sempre di un atto di terrore. O no? Giriamola al contrario: se non è terrorismo accoltellare selvaggiamente una decina di persone, cosa deve succedere per usare quel termine?
La realtà è che, in troppe società tuttora dominate dalla distorsione politicamente corretta, non c’è solo un crollo della sicurezza, ma pure un collasso relativo al rapporto con la verità, alla capacità di chiamare le cose con il loro nome.
Se ci pensate, non è una novità.
Dopo l’agghiacciante atto di terrorismo compiuto mesi fa, prima del voto in Germania, da un rifugiato, cosa dichiarò l’allora cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz? Rileggiamolo: «Serve subito un giro di vite sulle armi». E così – oplà – il problema si spostava magicamente dall’assassino al coltello, dal terrorista all’arma usata, dall’intenzione omicida al mezzo materiale utilizzato.
Purtroppo non si tratta di un inedito assoluto. Per anni, ad esempio, davanti ai casi dei terroristi islamici che usavano un veicolo per travolgere persone innocenti, abbiamo dovuto leggere titoli lunari del tipo: «Auto sulla folla». Come se una macchina avesse deciso autonomamente di compiere una strage, come se una vettura – per volontà propria – avesse pianificato e realizzato un omicidio plurimo.
E anche stavolta, nel Regno Unito, dev’essere stato il coltello a uccidere, mica chi lo impugnava. Esia ben chiaro - «senza terrorismo».
Qualcuno dirà che esageriamo, che siamo ipersensibili o ipercritici. E invece no: questo modo di esprimersi tradisce un modo di pensare. E queste attenuazioni, queste perifrasi, questi slittamenti del focus dal soggetto (il terrorista) all’oggetto (l’arma), questo tentativo di rassicurare l’opinione pubblica offuscando l’evidenza, sono manifestazioni neanche troppo subliminali di una strategia della negazione.
“Denial strategy”, dicono proprio gli anglosassoni: negare, non voler vedere, chiudere gli occhi, fare gli struzzi davanti a una realtà sgradita, nella speranza che essa svanisca per magia, sollevandoci dall’onere e dal dolore della comprensione.
Ad esempio, ancora in troppi – soprattutto a sinistra, ma non solo – sottovalutano il filo che può legare l’immigrazione fuori controllo all’arrivo anche di soggetti radicalizzati o radicalizzabili, così come il nesso che collega gli eventi in Medio Oriente (il tentativo islamista di distruggere Israele) con gli appelli fondamentalisti che di tanto in tanto si ripetono a portare il jihad anche qui, nelle nostre capitali, di volta in volta attraverso cellule organizzate o gruppi “fai date”, attraverso militanti superaddestrati o lupi solitari.
Ma è questa negazione pervicace e ossessiva che deve preoccuparci quasi quanto il terrorismo in sé: anche perché sia i registi che le comparse del terrore (o anche gli emuli pazzoidi e casuali, stando alle prime spiegazioni degli investigatori britannici) contano esattamente su questo, e cioè sul fatto che in Europa e in Occidente ci siano molti sonnambuli.
Letteralmente, gente che cammina nel sonno: e che forse non è più in grado di svegliarsi.

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