Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
In Iran il boia e la pena di morte sono diventati strumenti di governo per l’Ayatollah Analisi di Tullio Camiglieri
Testata: Il Riformista Data: 03 novembre 2025 Pagina: 1 Autore: Tullio Camiglieri Titolo: «In Iran il boia e la pena di morte sono diventati strumenti di governo per l’Ayatollah»
Riprendiamo dal RIFORMISTA edizione online, l'analisi di Tullio Camiglieri dal titolo "In Iran il boia e la pena di morte sono diventati strumenti di governo per l’Ayatollah".
Mai così tante esecuzioni capitali come quest'anno. Il boia, in Iran, lavora continuamente. Ormai la forca è diventata un metodo di governo del regime degli ayatollah, per terrorizzare la popolazione.
Esecuzioni a raffica, numeri senza precedenti: dal 1° gennaio 2025 in Iran sono state impiccate più di mille persone. È un picco che le principali organizzazioni per i diritti umani definiscono “senza precedenti” negli ultimi decenni, con una media che, nei momenti più bui dell’anno, ha sfiorato diverse impiccagioni al giorno. Chi sono queste persone? In larga parte uomini poveri, spesso appartenenti a minoranze etniche come i baluci e i curdi, condannati per reati di droga o omicidio al termine di processi sommari; ma ci sono anche donne, molte donne e prigionieri politici accusati di “moharebeh” (inimicizia contro Dio) o “baghy” (ribellione), formule elastiche usate per punire il dissenso.
Il braccio della morte iraniano è diventato un moltiplicatore di paura. Dopo l’ondata “Donna, Vita, Libertà” del 2022, la pena di morte è sempre più “arma di governo”: colpisce i più vulnerabili, spezza reti sociali e manda un messaggio molto chiaro alla società. Le ONG documentano impiccagioni di attivisti e “confessioni” estorte sotto tortura, mentre processi rapidi e non pubblici violano sistematicamente le garanzie minime. Nel 2025, Iran Human Rights ha contato oltre mille esecuzioni già a fine settembre.
La rivolta iniziata dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini non è finita: si è trasformata. Mentre la polizia morale alterna ondate di repressione a tattiche “a bassa visibilità”, cresce l’uso di sorveglianza digitale, app di delazione, SMS intimidatori, telecamere e droni per far rispettare l’hijab obbligatorio. Le iraniane rispondono con una resistenza quotidiana: capelli scoperti in spazi pubblici, boicottaggi, reti di mutuo aiuto, difesa legale collettiva, documentazione capillare degli abusi. Molte pagano un prezzo altissimo — arresti, licenziamenti, aggressioni — ma continuano a spostare il confine del possibile, alimentando un movimento che chiede dignità e diritti. Purtroppo le mobilitazioni in Occidente sono finite da tempo, le associazioni femministe italiane tacciono e nessuno organizza flottiglie verso il Golfo persico, che vadano a chiedere ragione di questa strage di innocenti.
Dopo l’escalation delle ostilità tra Iran e Israele, il capo del potere giudiziario Gholamhossein Mohseni Eje’i ha chiesto processi ed esecuzioni più rapide per chi sostiene Stati nemici, primo tra tutti Israele – Il Parlamento di Teheran ha approvato un disegno di legge che amplia l’uso della pena di morte, includendo accuse formulate in maniera vaga come la “cooperazione con governi ostili”. La pena di morte in Iran non diventa sistema: è il sistema che usa la morte come pedagogia. Finché reati non letali resteranno punibili con l’impiccagione e finché il processo equo sarà un’eccezione, ogni appello al “dialogo costruttivo” rischia di svuotarsi. Per invertire la rotta servirebbe garantire vie di fuga, vincolare ogni accordo al rispetto di standard minimi di giustizia. Continuare, dare visibilità ai nomi e alle storie, perché dietro il numero “mille” ci sono volti, famiglie, quartieri.
E sono spesso le donne — con i loro gesti quotidiani di disobbedienza civile — a impedire che quell’orrore diventi normalità. I numeri del 2025 ci dicono che la finestra per agire è qui e ora. Fermare le impiccagioni non è solo una battaglia di civiltà: è il primo test di credibilità per chiunque, dentro e fuori l’Iran, sostenga che la vita umana viene prima della ragione di un gruppo di fanatici assassini, che tiene prigioniero un intero popolo.
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