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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio Rassegna Stampa
01.11.2025 Il sogno di Amiram Cooper
Analisi di Micol Flammini

Testata: Il Foglio
Data: 01 novembre 2025
Pagina: 4
Autore: Micol Flammini
Titolo: «Tornare, ripopolare, resistere. Il sogno di Amiram Cooper vive a Nir Oz»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/11/2025, a pag. 4, con il titolo "Tornare, ripopolare, resistere. Il sogno di Amiram Cooper vive a Nir Oz", l'analisi di Micol Flammini.

Micol Flammini
Micol Flammini

Il sogno di Amiran Cooper vive a Nir Oz | Il Foglio
Amiram Cooper, nato a Haifa e pioniere del Negev, credeva nella convivenza con Gaza ed è stato tra le vittime del 7 ottobre. Suo figlio Rotem ha atteso a lungo il suo corpo, denunciando Hamas e la Croce Rossa per il mancato aiuto agli ostaggi.

Era nato a Haifa e partito verso il sud di Israele con il sogno di portare la vita nel deserto del Negev. Ci riuscì, lavorò per migliorarla quella vita fino ai suoi ottantasei anni, quando arrivò il 7 ottobre a spazzare via la sua generazione che nei kibbutz vicino alla Striscia aveva creduto, alimentata dagli ideali di una convivenza possibile e necessaria con i vicini di Gaza. Rotem Cooper è il figlio di Amiram e una settimana fa, dopo il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi vivi, ci aveva raccontato che a quell’idea di convivenza suo padre, di formazione economista, aveva dedicato articoli e poesie. Rotem ha atteso diciassette giorni, i giorni in cui in Israele ogni funerale privato di ostaggi, che hanno iniziato a far ritorno non più in bare ma in cassettine sempre più piccole, era diventato pubblico. Per aspettare il ritorno di suo padre, Rotem ha continuato a lavorare nella casa dei suoi genitori a Nir Oz e da lì ci aveva risposto: alle sue spalle si vedevano le pareti di un bianco lucente e una scala pronta a qualsiasi riparazione. Non era sicuro che sarebbe riuscito a vedere il funerale di suo padre, ma era certo della missione sua e del kibbutz nel futuro: “Dell’attacco del 7 ottobre, Nir Oz è stato il groundzero”, raccontava, ricordando che era tornato a casa dei suoi genitori nel kibbutz e per la prima volta l’aveva trovata libera, liberata, dai segni dell’attacco. L’attesa del corpo di suo padre è stata lunga, a novembre del 2023 lo aveva atteso vivo, poi ha continuato a sperare che stesse sopravvivendo. Infine l’esercito ha confermato lo scorso anno che Amiram era morto. Da quel momento per Rotem la speranza si è tramutata nell’attesa di un corpo, nel desiderio di togliere ai terroristi il potere di privare suopadre della sepoltura, dopo averlo trascinato a Gaza, lasciato senza medicine, costretto in un tunnel. Rotem ha unlungo elenco delle colpe, certo non perdona al governo di non aver concluso un accordo quando suo padre era ancora in vita, non ama nulla dell’esecutivo 

di Benjamin Netanyahu, ma nell’ordine dei colpevoli il premier israeliano scivola sul fondo: “Con Hamas non può esserci riconciliazione e adesso non sta rispettando l’accordo. C’è un accordo, lo sta violando e il nostro lavoro come israeliani è fare in modo che lo rispetti, ma la massima pressione deve venire dagli Stati Uniti”. Rotem aveva parlato della sensazione di buio che lo tormentava, del mondo in cui lui e la sua famiglia stavano vivendo dal 7 ottobre: “Un mondo di incertezza, in cui nulla è in nostro controllo. Non abbiamo il privilegio di stare fermi e non fare nulla”. Nell’elenco delle colpe c’è anche la Croce Rossa, alla quale Rotem, altri famigliari degli ostaggi e ostaggi che hanno fatto ritorno non perdonano di non aver insistito per visitare i rapiti, “abbiamo provato a mandare medicine, ci siamo rivolti alla Croce Rossa, non ci hanno aiutati”.

Il sogno di Amiram e di altri che come lui sono stati uccisi dal 7 ottobre è ancora vivo: Nir Oz c’è, si è rialzata, sta ricostruendo. Da questa resistenza parte la risposta a Hamas di questa comunità che di scomparire non ha intenzione, torna nonostante la paura: “Il nostro compito è far vedere a Hamas che è impossibile cacciarci. Nir Oz torna, la gente torna. Ora dobbiamo dimostrare che Nir Oz non è soltanto di nuovo in piedi, è pronto a diventare più grande, più popoloso, più resistente di prima”. Rotem ha la tempra di suo padre, la tempra di Nir Oz.

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lettere@ilfoglio.it

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