Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
L'Arabia Saudita più vicina ad Israele per paura dell'Iran Analisi di Mattia Preto
Testata: Informazione Corretta Data: 31 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Mattia Preto Titolo: «L'Arabia Saudita più vicina ad Israele per paura dell'Iran»
L'Arabia Saudita più vicina ad Israele per paura dell'Iran Analisi di Mattia Preto
Mattia Preto
Dove sono gli Houthi, emanazione dell'Iran nella penisola arabica. Un coltello puntato sull'Arabia Saudita. Ecco perché al regno detentore dei luoghi santi dell'Islam, conviene una normalizzazione rapida con Israele. Un accordo era quasi concluso, quando, non casualmente, Hamas ha lanciato il pogrom il 7 ottobre 2023.
Il 20 settembre 2023, in un’intervista rilasciata a Fox News, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman dichiarò che Israele e Arabia Saudita erano “sempre più vicini” a un accordo di normalizzazione. Solo diciassette giorni dopo, il 7 ottobre, Hamas lanciò il suo attacco contro Israele. Tra gli obiettivi del movimento islamista vi era proprio quello di interrompere l’espansione degli Accordi di Abramo, soprattutto in un momento in cui la loro estensione alla monarchia saudita, il gigante del Golfo, in piena fase di apertura verso l’Occidente e acerrimo nemico degli ayatollah iraniani, sembrava ormai imminente.
L’Iran rappresenta, ancora una volta, la chiave per comprendere il progressivo avvicinamento tra Israele e diversi paesi arabi. Dal 1979, anno della Rivoluzione islamica, Teheran e Riad (capitale saudita) hanno incarnato due visioni opposte del mondo musulmano: la Repubblica islamica, leader del fronte sciita e fautrice di un islam politico rivoluzionario, nonché nemico giurato degli Stati Uniti e la monarchia saudita, custode dei luoghi più sacri dell’Islam, La Mecca e Medina, e guida del mondo sunnita, e stretto alleato degli americani. Sebbene non si siano mai scontrate direttamente, Iran e Arabia Saudita hanno combattuto numerose guerre per procura, in particolare in Siria, con Teheran al fianco del regime sciita di Assad e Riad schierata con i ribelli sunniti, e soprattutto in Yemen, dove il confronto si è fatto più diretto.
Dal 2014, i sauditi si trovano di fronte alla crescente minaccia degli Houthi, movimento sciita yemenita finanziato e armato dall’Iran. Attraverso il sostegno a questo gruppo, Teheran mira a destabilizzare il traffico nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, arterie vitali per il commercio e le esportazioni saudite. L’Arabia Saudita, pur possedendo un vasto territorio e una posizione geografica strategica, vede le proprie vie marittime ostacolate da due punti critici, il Golfo di Aden, che collega il Mediterraneo all’Oceano Indiano, e lo stretto di Hormuz, passaggio obbligato dal Golfo Persico all’Oceano Indiano, controllato quasi interamente dall’Iran. Quest’ultimo, più volte, ha utilizzato i Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran) per colpire navi considerate ostili, compromettendo la sicurezza delle rotte. Per ovviare a tali vulnerabilità, Riad ha costruito un imponente oleodotto che collega i giacimenti del Golfo Persico al Mar Rosso, assicurando la continuità delle esportazioni energetiche. Nel 2015, Riad guidò la “Operation Decisive Storm”, contro gli Houthi, in una coalizione che includeva Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan, Qatar, Giordania e Marocco. Nonostante la netta superiorità militare, l’Arabia Saudita non riuscì a sconfiggere gli Houthi, anche grazie al sostegno dell’Iran. La sconfitta segnò una frattura profonda tra i due paesi, nel 2016 Riad interruppe le relazioni diplomatiche con Teheran (salvo poi avere un incontro nel novembre 2023 nel tentativo di eludere nuove escalation dopo il conflitto a Gaza). Nel 2017 gli Stati Uniti hanno siglato un accordo da 110 miliardi di dollari nel tentativo di rafforzare la difesa saudita. Questo, tuttavia, non fu sufficiente a proteggere le raffinerie di Abqaiq e Khurais, che due anni dopo l’investimento furono colpite da un attacco con droni e missili, riuscendo ad aggirare completamente la difesa aerea saudita. L’attacco, rivendicato dagli Houthi, ma attribuito dai servizi sauditi e americani a Teheran, provocò un grave danno economico e un brusco rallentamento delle esportazioni di greggio. La storia si ripeté nel 2022, quando un missile Houthi colpì la zona industriale di Gedda, prendendo di mira la Saudi Aramco, principale compagnia energetica del regno saudita.
Fu in questo contesto di vulnerabilità strategica, che maturò l’avvicinamento tra Arabia Saudita e Israele. Entrambi i paesi condividono la percezione di una minaccia comune, l’espansionismo iraniano e i suoi alleati regionali. Mentre Riad non riusciva a neutralizzare gli Houthi, Israele dimostrava una notevole efficacia militare contro gli alleati di Teheran, colpendone infrastrutture e leadership con precisione. La monarchia saudita iniziò così a considerare Israele non più come un nemico, ma come un potenziale partner strategico capace di contribuire alla sicurezza dell’Arabia Saudita e alla protezione delle rotte energetiche.
La guerra di Gaza, scoppiata nell’ottobre 2023, ha rallentato il processo di normalizzazionetra i due paesi, ma non lo ha interrotto. Nel corso del conflitto israelo-iraniano del 2024, l’Arabia Saudita fornì dati radar e permise l’utilizzo del proprio spazio aereo per l’intercettazione di missili iraniani diretti verso Israele; in alcuni casi, le forze saudite hanno intercettato direttamente missili iraniani nella parte settentrionale del regno.
Ufficialmente, Riad continua a dichiarare che la normalizzazione con Israele sarà possibile solo dopo la creazione di uno Stato palestinese. Tuttavia, i fatti mostrano una realtà diversa, la cooperazione strategica con Israele, anche in un periodo di guerra, indica una convergenza di interessiche va ben oltre la retorica diplomatica.
L’Arabia Saudita, impegnata nel progetto di modernizzazione Vision 2030 e nella ricerca di un ruolo globale più incisivo, vede in Israele un alleato utile per la sicurezza regionale, la tecnologia militare e l’accesso ai mercati occidentali. Ma il regno resta intrappolato dall’Iran, che controlla lo Stretto di Hormuz e che attraverso gli Houthi continua a minacciare i suoi confini e la stabilità del commercio nel Mar Rosso. La famiglia reale saudita, consapevole della sua scarsa efficacia militare, nonostante gli ingenti finanziamenti americani, percepisce Israele come un partner necessario, un alleato vincente capace di contribuire alla difesa del regno e al consolidamento della sua influenza economica e geopolitica.