Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "L'università italiana trasformata in moschea: cosa mai potrebbe andare storto?".

Giulio Meotti

Se ora c’è la stanza islamica per pregare in Vaticano e se le nostre scuole portano i bambini dell’asilo a pregare in moschea, perché le istituzioni universitarie dovrebbero resistere, specie in un paese che confonde la tolleranza con la debolezza e l’inclusione con la capitolazione? Il 25 gennaio 2024 lo avevo previsto: “I laici di cartapesta stenderanno tappetini di preghiera”.
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Ieri all’Università “Magna Grecia” di Catanzaro si è tenuta la cerimonia di apertura di un nuovo spazio destinato alla preghiera musulmana all’interno dell’ateneo. Un’iniziativa senza precedenti in Italia. Il luogo di culto, ricavato all’interno di un edificio didattico, permetterà le cinque preghiere quotidiane, il sermone del venerdì e le principali celebrazioni religiose islamiche, come la fine del Ramadan e la festa del Sacrificio. Il rettore Giovanni Cuda ha difeso la scelta come “un segnale di apertura e inclusione”.

Le stanze per pregare le abbiamo già viste alla Statale di Milano e all’Università di Parma, fino alla famosa preghiera jihadista all’Università di Torino.
Da anni, le università italiane stringono patti (e ne intascano i soldi) con le peggiori dittature islamiche.
Il governo ci prova a fermare l’islamizzazione con gli strumenti che ha, ma l’ignoranza italiana sarà il loro cavallo di Troia.
L’Islam non prega davanti al Colosseo, al Duomo di Milano, davanti e dentro le nostre cattedrali o nelle università e non vuole convertire le chiese in moschee perché mancano luoghi di culto (si va verso una nuova moschea in ogni città italiana).
Lo fanno per rivendicare un territorio e per compiere un atto di conquista.
E neanche sappiamo cosa sta succedendo nelle università dei paesi europei avanti a noi in questo processo di islamizzazione.
Alla London School of Economics si organizzano eventi secondo la sharia: uomini e donne rigorosamente separati. E nei giorni scorsi le scritte in ebraico sono state eliminate dalle sale per la preghiera nelle università londinesi.
Secondo un rapporto accademico citato dalla BBC, i regimi islamici hanno donato 750 milioni di sterline alle università inglesi dal 1996. Settecentocinquanta milioni.
Alla Libera Università di Bruxelles, fondata dai massoni nel XIX secolo, nella stanza per pregare si trovano vestiti per le donne, tappeti e libretti islamici.
In Australia le stanze islamiche nelle università sono centri di radicalizzazione.
La Germania è un caso da manuale che avrebbe dovuto farci riflettere, visto che le ha chiuse tutte queste stanze.
L’Università di Dortmund aveva aperto una “sala di preghiera interreligiosa” e si era data delle regole. Studenti di ogni fede, cristiani, ebrei, buddisti e musulmani, potevano trovare lì un punto di raccoglimento, lasciando fuori un po’ della loro identità per far spazio a quella di tutti. Ma con l’Islam non funziona così. Molti studenti si sono lamentati di essere stati segregati da altri studenti musulmani nella parte più piccola della stanza, assieme alle donne. Copie del Corano erano disposte nella stanza, quando l’accordo, affisso sulla porta, vietava espressamente i simboli religiosi. Studenti musulmani avevano intimato alle donne di indossare il velo e di rinunciare al profumo.
Risultato? L’università ha chiuso la stanza per pregare. Chiusa anche quella all’Università di Duisburg. Chiusa anche all’Università Tecnica di Berlino.
Poi c’è l’Università di Gottinga.
Ci sono 45 premi Nobel associati a questa università fondata nel 1737. La lista di allievi è fittissima, con personalità del calibro di Metternich, von Humboldt, Schopenhauer, Heine e Bismarck. Qui i fratelli Grimm redassero il primo dizionario di tedesco. Qui ci sono le tombe di otto Nobel, tra cui Max Born e Max Planck.
Racconta Joelle Rautenberg che un gruppo universitario filo Hamas si è riunito nell’aula centrale dell’università e ha iniziato a pregare al grido di “Allahu Akbar”. Tutto legale: l’università si è arresa all’islamizzazione.
Racconta Rautenberg: “Mio padre, un imam del Ghana, mi disse da bambina che le donne ‘scoperte’ senza hijab non avevano alcun valore e che in alcuni casi la lapidazione delle donne violentate era legittima. Da allora, il significato di ‘Allahu Akbar’ mi è stato confermato ogni giorno, ad esempio quando sui social mi viene chiesto di uccidermi perché sono una kafir, una infedele, o perché critico gli insegnamenti religiosi islamici”.

Nel diritto islamico, prosegue Rautenberg, “si distingue tra Dar al-Salam, ‘zona di pace’, l’area dei paesi islamici, in contrapposizione all’area dei paesi occidentali non islamici, il Dar al Harb, ovvero ‘zona di guerra’. Secondo gli insegnamenti islamici, la pace tra i paesi può essere raggiunta solo se tutti i paesi diventano ‘zone di pace’, cioè paesi islamici. ‘Allahu Akbar’ è solo un’altra pretesa assoluta e ineludibile di potere dell’Islam politico, il cui obiettivo finale è un califfato mondiale. In tempi in cui dobbiamo abituarci ai giocatori della nazionale tedesca che postano saluti islamici, gli episodi di islamismo aumentano nelle scuole e il governo federale finanzia dipartimenti specializzati che banalizzano jihad e sharia, mi spaventa quando i musulmani in un’università tedesca pregano davanti a un slogan sul ‘cambiamento di sistema’. La scelta dell’edificio universitario non è altro che una dimostrazione di forza religiosa contro i valori fatiscenti dell’Occidente e dell’islamizzazione dello spazio pubblico. In quanto donna nera che ama la vita libera in Occidente e che ha preso le distanze dalle catene oppressive dell’Islam, non voglio un ‘cambiamento di sistema’ islamico. Non voglio vivere in una società in cui è normale gridare ‘Allahu Akbar’ negli edifici universitari”.

Campus americani
Dalle università di Dublino a quelle di Chicago e della California, Allahu Akbar!
Poi cosa faremo per compiacere l’immigrazione islamica?
La London School of Economics ha cancellato i riferimenti alla Cristianità dal calendario scolastico: via Pasqua e Natale. Sempre per il timore di offendere le minoranze, l’Università di Brighton ha imposto di non dire più “buon Natale”. E un college di Oxford ha cancellato la cena per San Giorgio e l’ha sostituita con la cena di Ramadan.
Nelle scuole pubbliche di Amburgo ora si boicotta l’insegnamento delle sette note musicali.
La post-verità aggredisce l’immaginario sociale.
L’Islam ha preso il linguaggio dell’Occidente, “rispetto e inclusione”, l’ha spogliato, svuotato e l’ha usato come maschera. Vogliono la nostra sottomissione. E la ottengono.
Giorno dopo giorno. Parola dopo parola. Menzogna dopo menzogna.
La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).
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