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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Giornale Rassegna Stampa
27.10.2025 Il nuovo schema della pace. Fuori la Turchia
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 27 ottobre 2025
Pagina: 3
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il nuovo schema della pace. Fuori la Turchia»

Riprendiamo da IL GIORNALE di oggi 27/10/2025 a pag. 3 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Il nuovo schema della pace. Fuori la Turchia".


Fiamma Nirenstein

Niente turchi a presidio di Gaza. Netanyahu, d'accordo con l'amministrazione Trump non vuole che a stabilizzare la Striscia ci sia l'esercito di Erdogan, sempre più ostile a Israele. L'Egitto sarà alla guida della forza di stabilizzazione.

L’importante è dimenticare i vecchi criteri, cambiare discussione: basta con gli USA che “fanno gli interessi di Israele” o quelli per cui “Netanyahu è agli ordini di Trump”. Devono cambiare canale. La logica è diversa: una simpatia reciproca e una genuina convergenza di interessi che hanno come titolo “pace” disegnano una strategia troppo lunga e complessa per essere compresa subito. Ci vuole pazienza. Ieri per esempio si è diffusa l’idea che Israele abbia dovuto chiedere agli USA il permesso di eliminare il terrorista della Jihad Islamica pronto ad attaccare i soldati dentro Gaza: non è vero, è un evidente interesse comune, anche se ne discute il Centcom. La cornice è massiccia: sono 24 gli Stati interessati a chiudere con Gaza e cominciare una strada nuova. Solo alcuni sono amici di Israele, che però ha deciso che va bene così: il grande nemico è il terrorismo jihadista, gli USA ci sono, l’obiettivo è un nuovo mondo in cui i Patti di Abramo comprendano l’Arabia Saudita e molti altri amici, alcuni nuovi come l’Indonesia. Sui nemici interni, cautela e chiarezza: così si capisce la pazienza di Netanyahu, ieri, nel consentire all’Egitto di guidare le ricerche dei corpi dei rapiti che devono tornare a una sepoltura onorevole dentro Gaza. La Striscia è la chiave dell’accordo, l’Egitto è l’antidoto alla Turchia perché si possa passare finalmente alla seconda fase, quella in cui si disarma Hamas e la si spinge fuori. Trump fa il suo ruolo: di nuovo ha insistito e minacciato sulla indispensabile restituzione a Netanyahu dei corpi dei suoi concittadini. Fa parte della sua personale cultura? Certamente no. Della cultura americana? Nemmeno. È rispetto per Israele che impone in prima fase la restituzione di tutti gli ostaggi, vivi o morti. Dunque, Trump avverte che la sua risposta a Hamas su un ritardo sarà durissimo; e allora Abu Marzuk risponde con la voce più melensa che conosce, ed eccolo dentro la “linea gialla” insieme agli egiziani e persino alla Croce Rossa a cercare almeno alcuni dei corpi che fin’ora non si sono voluti trovati. E Netanyahu consente questo gioco difficile e sensato. SI dice che tornerà persino il povero corpo di Hadar Goldin, un soldato  di 23 anni da 11 anni nella mani dei boia, che sparì a seguito di un agguato uscito da una galleria; la sua povera mamma combatte in una guerra straziante di amore e pena. L’Egitto si guadagna le stellette di prossimo capo della cosiddetta “forza di stabilizzazione” che coordinata dagli USA e presieduta da Tony Blair deve poi procedere alla seconda fase  e iniziare il gigantesco processo di ricostruzione della striscia, che soprattutto i Paesi arabi moderati vogliono intraprendere solo quando Hamas sarà espulsa. Non sarà una forza di pace dell’ONU, che non piace né agli USA ne a Israele; darà solo il patrocinio. Hamas è diventata uno straccio sopravvissuto che guadagna tempo attaccato ai corpi dei rapiti come un mollusco alla roccia.

Della politica israelo-americana risente al momento, e non poco, la Turchia: presente con tre diverse organizzazioni dentro Gaza, Erdogan punta a Al-Aqsa in nome della Fratellanza Musulmana; non esita a distribuire per tutta Gaza bandiere turche per affermare la forza della Fratellanza Musulmana, ovvero di Hamas stesso. Ed è logico, dato il suo odio per Israele. Turchia e Qatar, potenti giocatori che Trump vuole dentro, non possono che essere contenuti, e Israele dovrà impegnarsi sperando che anche Trump capisca il rischio di averli come partner. Intanto i sauditi invitano una delegazione israeliana a casa loro, lo Stato palestinese è nebbioso, avanza il tema della deradicalizzazione. I punti sono scritti: tutti i rapiti, via le armi, fuori Hamas, rispetto della linea gialla, sicurezza nella mani di Israele se attaccato, deradicalizzazione. Giocano a rischio l’ immensa ambizione di Trump e l’incrollabile roccioso patriottismo di Netanyahu nella grande inusitata  coalizione che muove i primi passi.    

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