Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Il boicottaggio dai guanti bianchi Commento di Daniele Scalise
Testata: Informazione Corretta Data: 25 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Daniele Scalise Titolo: «Il boicottaggio dai guanti bianchi»
Il boicottaggio dai guanti bianchi Commento di Daniele Scalise
Daniele Scalise
Il boicottaggio diffuso di Israele è ormai entrato a far parte del politically correct. Lo chiamano con altri termini più edulcorati e viene promosso con scuse come: per “non alimentare tensioni”, per “dare spazio a tutte le sensibilità”
Non lo chiamano più boicottaggio. È una parola ruvida, sa di manganello e di censura. Oggi si preferisce dire “re-curation”, “pausa di riflessione”, “rinvio tecnico”. Suona meglio, pare quasi un atto di cura. Ma l’effetto è lo stesso: si toglie di mezzo un autore, un musicista, un film, un pensiero. Solo con più garbo.
Il bravo contemporaneo non vieta: sospende. Non censura: “ricalibra”. E ogni volta spiega che è per “non alimentare tensioni”, per “dare spazio a tutte le sensibilità”. Una lingua morbida, fatta di eufemismi che addormentano il giudizio. L’esclusione diventa manutenzione. Il silenzio, rispetto. Il bando, cautela.
Prendiamo i casi ricorrenti: un artista israeliano disdetto da un festival, una mostra rinviata, una conferenza annullata “in attesa di condizioni più serene”. Nessuno parla di punizione, tutti di “contesto complesso”. Ma sotto la patina diplomatica resta il gesto nudo: qualcuno ha deciso che la presenza di un ebreo, o di un israeliano, o semplicemente di chi non recita la parte giusta, è un problema.
Il boicottaggio coi guanti bianchi ha la grazia dell’ipocrisia. Non fa rumore, non proclama manifesti. Semplicemente cancella. E nel frattempo si vanta di essere “dialogico”. È un’arte dell’elusione: si finge equilibrio per giustificare la discriminazione. Si parla di “spazio per tutte le voci”, ma la voce che disturba viene tolta dal microfono.
A volte il provvedimento arriva travestito da prudenza: “non è il momento”. Oppure da imparzialità: “non vogliamo politicizzare l’evento”. Ma il risultato è sempre unilaterale. Nessuno sospende gli artisti russi quando parlano male dell’Ucraina, o gli scrittori americani quando insultano il proprio Paese. La neutralità selettiva è il modo più raffinato per scegliere parte fingendo di non averne.
La forza di questo nuovo boicottaggio sta nella sua forma elegante. Non costringe: persuade. Non punisce: “riprogramma”. È la censura d’alta gamma, quella che ti sorride mentre ti toglie la sedia.
E il pubblico, intanto, respira sollevato. Non si sente complice di nulla: “Non l’hanno escluso, hanno solo rimandato.” Così la coscienza si lava le mani e il calendario fa il lavoro sporco. Il tempo passa, l’evento non si rifà più, e tutti restano sereni.
Il boicottaggio coi guanti bianchi è l’ultima evoluzione del bravo: educato, inclusivo, moralmente stirato. Non urla, non brucia bandiere, non scrive proclami. Preferisce le mail con oggetto “aggiornamento di programma”.
La postura adulta, invece, non teme di chiamare le cose per nome. Dire che un rinvio discriminatorio resta un boicottaggio. Che la libertà culturale vale anche per chi non ci piace. Che l’arte e il pensiero non hanno bisogno di filtri di correttezza per esistere.
Perché la vera indecenza non è nel dissenso, ma nella cortesia che lo cancella.