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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Bet Magazine Rassegna Stampa
23.10.2025 Se negli Atenei d’Italia va in scena il razzista democratico
Commento di Nathan Greppi

Testata: Bet Magazine
Data: 23 ottobre 2025
Pagina: 10
Autore: Nathan Greppi
Titolo: «Se negli Atenei d’Italia va in scena il razzista democratico»

Riprendiamo dal BET Magazine numero di ottobre 2025, il commento di Nathan Greppi dal titolo "Se negli Atenei d’Italia va in scena il razzista democratico".


Nathan Greppi

Pisa, occupazione dell'aula e aggressione del professor Casella, colpevole di essere "sionista". Col pretesto della guerra a Gaza, nelle università italiane è tornato l'antisemitismo, mascherato da causa umanitaria. Ma è ancora possibile un contrattacco pacifico.

Pisa, 16 settembre 2025. Rino Casella sta facendo lezione nell’Ateneo pisano quando viene interrotto da un blitz di studenti propal. Un suo allievo viene picchiato per aver tentato di strappare di mano ai manifestanti una bandiera palestinese. Casella interviene per difenderlo e viene aggredito a sua volta. “Non mi è stato solo impedito di fare lezione – ha spiegato – ma sono stato anche aggredito fisicamente; mi sono preso calci e pugni quando ho cercato di fare da scudo. Mi accusano di ‘sionismo’ perché non sono propal”. Il docente ha sporto denuncia. Sulla vicenda è intervenuta Anna Maria Bernini, ministra dell’Università. “Le Università – ha detto Bernini – non sono zone franche dove è consentito interrompere lezioni o aggredire professori. Quanto accaduto all’ateneo di Pisa è intollerabile per una società che si riconosce nei valori della democrazia e irricevibile per una comunità accademica, come quella pisana e italiana tutta, aperta, libera e inclusiva. Esprimo la mia più sincera vicinanza a tutta la comunità dell’Università di Pisa e al professor Rino Casella. Sono al suo fianco! Colpire la libertà accademica significa attaccare il cuore della nostra democrazia: dobbiamo difenderla tutti, senza se e senza ma”.

Ma quello di Pisa non è certo un caso isolato. Pini Zorea, docente dell’università israeliana di Braude, ospite (guest lecturer) di un corso di dottorato del Politecnico di Torino, ha difeso durante la lezione l’Idf definendolo «l’esercito più pulito al mondo». Contestato dagli studenti del collettivo Cambiare Rotta, non ha ricevuto solidarietà dall’Ateneo, anzi: il Politecnico di Torino ha subito sospeso il corso e la collaborazione. Sono solo i casi più recenti (16 settembre) di una situazione che avvelena le università italiane. Ma la crisi va avanti da tempo.

Quando, il 24 aprile 2024, all’Università degli Studi di Milano si tenne un’assemblea studentesca sulla guerra in Medio Oriente, diversi studenti chiesero alle istituzioni accademiche di sospendere tutti gli accordi con le università israeliane. Tuttavia, qualcuno ebbe il coraggio di andare contro la narrazione dominante; Pietro Balzano, studente di Scienze Politiche, il quale disse: “Io non ho sentito nominare una volta Hamas durante questa riunione. Buona parte degli israeliani ha manifestato contro Netanyahu, ma per voi Israele e Netanyahu sono la stessa cosa, mentre Palestina e Hamas sono due cose diverse. La distinzione va fatta in entrambi i casi”.

Dopo il 7 ottobre, non sono mancati gli episodi d’odio e di censura negli atenei milanesi: alla Statale di Milano, in particolare, i manifestanti hanno fatto numerosi danni, ad esempio occupando l’installazione di Amazon al Fuorisalone e cercando di impedire lo svolgimento di dibattiti per la libertà di opinione, come l’incontro del 4 febbraio Vogliamo Studiare! Contro le occupazioni violente e l’odio per Israele, raccontiamo il nostro viaggio. Nel maggio 2024, le minacce da parte dei collettivi propal hanno portato l’ateneo ad annullare il convegno Israele: storia di una democrazia sotto attacco. Terrorismo, propaganda e antisemitismo 4.0. La sfida all’occidente, dove era prevista anche la proiezione del docufilm #NOVA sul massacro compiuto dai terroristi di Hamas al Nova Music Festival il 7 ottobre. E nell’ottobre dello stesso anno, la Statale ha congelato gli scambi con la Reichman University in Israele.

Anche in questo clima, alcuni ambienti sono meno schierati di altri, come può testimoniare Sara Ferrari, docente di Lingua e Cultura Ebraica all’Università degli Studi di Milano. «Il mio corso fa parte della Facoltà di Mediazione Linguistica e Culturale, che si trova nel polo di Sesto San Giovanni ed è diverso da quello di Via Festa del Perdono, di grande rilevanza per le proteste e la politica giovanile. La nostra è una bolla, anche se ogni tanto il docente che non ha particolare simpatia per Israele capita di incontrarlo», spiega a Bet Magazine/Mosaico. Ferrari afferma che prima del 7 ottobre «ho sempre avuto un numero elevato di studenti arabi, desiderosi di conoscere la lingua ebraica e di capire l’altra parte. Ma dopo il 7 ottobre, c’è stato un crollo degli iscritti al mio corso, e gli studenti arabi sono spariti». Per evidenziare la differenza tra le diverse sedi, racconta che «tempo fa è successo che uno studente di ebraico, che passeggiava in Via Festa del Perdono con un’edizione critica del Tanakh sottobraccio, è stato aggredito e spintonato da altri studenti».

Non è solo alla Statale che si verificano certi episodi: al Politecnico di Milano, questa estate 450 docenti e 150 membri del PTA (personale tecnico-amministrativo) hanno firmato una mozione per interrompere gli accordi con gli atenei israeliani. Tuttavia, ad agosto il Senato Accademico non ha fatto passare la mozione. «I firmatari sono 450 su un totale di circa 1.600 docenti e 150 su 1.300 membri del PTA - ci spiega Maurizio Masi, che al Politecnico è docente di Chimica Fisica Applicata -. Ancora adesso abbiamo diversi docenti che collaborano con le università israeliane, soprattutto nei dipartimenti di ingegneria, nonché accademici israeliani che vengono qui per delle collaborazioni». La mozione rigettata «prevedeva la richiesta di sospensione del memorandum Italia-Israele, ma solo sulla cooperazione militare - ci racconta Jacopo Leveratto, docente di Architettura degli Interni al Politecnico -. Nel Dipartimento di Architettura abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con il Technion di Haifa, che possiede un’ottima facoltà di architettura, con scambi abbastanza intensi. Lavorando io nella sezione in inglese, ogni anno nella mia classe ho sempre due o tre studenti israeliani. In generale, il numero di persone che vanno in Israele così come di israeliani che vengono qui è rimasto abbastanza invariato».

Spesso non si prendono di mira solo le istituzioni, ma anche gli israeliani in quanto tali: nei primi mesi del 2025, alcuni studenti di medicina israeliani si sono rivolti ad una società privata che offre servizi a pagamento per aiutare gli studenti a superare il test di medicina. Questa società, resasi conto che alcuni iscritti erano israeliani, li ha rimossi tutti dal corso e ha mandato un messaggio che si conclude così: “May Allah help and protect our brothers and sisters in Palestine. Amen. Free Free Palestine”. In generale, a Milano è soprattutto alla Statale che si verificano episodi di antisemitismo e odio anti-Israele, mentre negli atenei privati la situazione è meno tesa. Tuttavia, anche in questi ultimi non sono mancati gli episodi controversi: a giugno, la Bocconi ha ospitato il ciclo di incontri The Big Interview organizzato dalla rivista Wired. Tra gli ospiti, ha parlato anche la relatrice speciale ONU sui Territori palestinesi Francesca Albanese, senza alcun contraddittorio.

Hanno fatto scandalo le esternazioni di Luca Nivarra, docente di giurisprudenza dell’Università di Palermo, che ha invitato i suoi follower a “ritirare l’amicizia su FB ai vostri ‘amici’ ebrei, anche a quelli ‘buoni’”, e a “farli sentire soli, faccia a faccia con la mostruosità di cui sono complici”. Nivarra, che in passato è stato arrestato per peculato, aveva definito su Facebook gli israeliani “solo macchine di morte votate allo sterminio dei palestinesi”, che “con il sangue dei palestinesi” vorrebbero “lavare quello degli ebrei vittime della Shoah”.

Quello di Nivarra non è un caso isolato: da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, non sono stati sdoganati solo l’antisionismo e i boicottaggi d’Israele, ma anche l’odio nei confronti degli ebrei come popolo. Un odio che sta diventando sempre più evidente nel mondo universitario, che in teoria dovrebbe aprire le menti e contrastare i pregiudizi. Non si contano le censure nei confronti di ebrei e filoisraeliani: dai giornalisti Maurizio Molinari, contestato prima all’Università Federico II di Napoli e poi all’Università di Parma, a David Parenzo, che non ha potuto parlare all’Università La Sapienza di Roma. Senza contare gli atenei che hanno adottato posizioni ostili a Israele: come l’Università di Pisa, che ha deciso di interrompere gli accordi con gli atenei israeliani; o come l’Università di Urbino, che ha pubblicato un documento di condanna della guerra a Gaza, ma senza mai menzionare le vittime del 7 ottobre o i crimini di Hamas.

L’ostracismo dei collettivi propal non prende di mira solo gli studenti israeliani, ma anche ebrei italiani e non ebrei che si oppongono all’antisemitismo. È ciò che è successo a maggio all’Università di Torino, quando i manifestanti hanno impedito lo svolgersi dell’incontro Per le Università come luogo di democrazia e di contrasto all’antisemitismo.

Se le posizioni antisraeliane si impongono negli atenei non è solo per l’atteggiamento aggressivo degli attivisti, ma anche perché dall’altra parte vi è un conformismo che spinge in molti a stare in silenzio o a giustificare gli intolleranti per paura o per opportunismo. «Quando si è iniziato a discutere della possibile interruzione dei rapporti con le università israeliane, anche i miei colleghi ebrei in ateneo, o perché antisionisti o perché codardi, mi hanno lasciata totalmente sola - ci racconta Alessandra Veronese, docente di Storia Medievale all’Università di Pisa e già direttrice del Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici -. Al Senato Accademico mi sono presentata con una mia mozione contro l’interruzione degli accordi, firmata da pochi colleghi, tra cui il docente di Scienze Politiche Rino Casella (vittima poi dell’aggressione propal del 16 settembre, ndr)».

Purtroppo, «alla fine è arrivata la mozione del Senato Accademico per rescindere i rapporti, anche se in realtà non hanno sospeso l’Erasmus con l’Università Ebraica di Gerusalemme, che in teoria rimane in vigore. Questa è una mozione ipocrita: colpisce Israele ma non tocca gli accordi che abbiamo con le università iraniane, turche e cinesi, nonostante quello che la Cina fa ai tibetani e agli uiguri».

«Un altro episodio grave è avvenuto nel dicembre 2023 - continua Veronese -; dovevamo invitare uno storico italiano che vive in Israele, Samuele Rocca, per presentare il suo libro In the Shadow of the Caesars: Jewish Life in Roman Italy. Ma in quell’occasione, due docenti hanno contestato l’invito perché l’Università di Ariel, dove insegna Rocca, si trova nei Territori occupati».

Non è solo a Pisa che si verificano certi episodi: «All’Università di Firenze ci sono almeno cinque dipartimenti che hanno chiesto di recedere dagli accordi con le università israeliane - spiega Benedetto Allotta, che nell’ateneo fiorentino insegna Robotica Industriale -. Anche nel mio dipartimento si è svolta un’assemblea di tutto il personale finalizzata a promuovere “azioni sulla pace”. È presumibile però che queste assemblee si rivelino occasioni per illustrare mozioni, da presentare successivamente nei rispettivi consigli di dipartimento, che chiedono di uscire dagli accordi. Alla fine, credo che l’università sceglierà di mantenere gli accordi in corso, ma di non rinnovare quelli in via di scadenza, almeno finché non si saranno calmate le acque».

Quando Alessandra Veronese ha proposto la sua mozione a Pisa contro l’interruzione degli accordi, «gli studenti israeliani erano talmente terrorizzati che hanno chiesto di non esporre le loro singole firme sulla mozione, ma di firmarla come gruppo per non essere identificati. Questo perché avevano paura e non si sentivano protetti da nessuno».

A subire l’ostilità non sono solo gli studenti, ma anche i docenti, come ci racconta Sara Britti, dottoranda in Studi Religiosi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. «Nel settembre 2024, eravamo ad uno dei seminari della nostra Summer School, che facciamo alla fine di ogni anno accademico per presentare i risultati delle nostre ricerche. Tra i relatori c’era la storica israeliana Tamar Herzig, che si occupa di tematiche di genere e storia della schiavitù».

«Dato che la lezione trattava il tema della prigionia - continua - la Herzig decise di fare un parallelismo con l’attualità mostrando le immagini delle proteste contro il governo Netanyahu per il rilascio degli ostaggi. In quell’occasione, quasi tutti i colleghi dei curricula sull’Islam si sono alzati e se ne sono andati, assieme ad una collega dei curricula sul cristianesimo. Al termine della lezione, un mio professore si è alzato dicendo che la professoressa non rappresenta il governo Netanyahu, e che non è concepibile che i ragazzi si alzino e se ne vadano in un contesto come quello accademico, che fa del confronto la sua bandiera. Perché, se non si può avere un confronto in università, dove lo si può avere?».

La situazione negli atenei italiani non è uguale dappertutto, come spiega Francesco Lucrezi, docente di Diritto Romano all’Università di Salerno. «La mia università beneficia di due circostanze favorevoli. La prima è che non serve un’utenza di grandi città, ma di una città di media grandezza come Salerno, una piuttosto piccola come Avellino, e minuscole altre cittadine e paesi, sparsi su un vasto territorio. E, com’è noto, in genere i movimenti organizzati antisistema si coagulano sempre nelle grandi metropoli». La seconda circostanza è che «si tratta di un campus, nel quale occorre arrivare con mezzi di trasporto pubblici o privati. Ciò significa che gli studenti che vengono a frequentare le lezioni e partecipano alla vita universitaria sono solo studenti “veri” che vogliono studiare, e non perdigiorno. Io ho insegnato per cinque anni anche all’Orientale di Napoli, nota per essere un ricettacolo di attivisti. Posso testimoniare che anche là la stragrande maggioranza degli studenti sono bravi ragazzi, ma ci sono dei gruppetti di facinorosi che non sono neanche studenti, e che vanno là a bivaccare, occupando le aule e dormendoci la notte solo perché non hanno niente da fare. Il tutto nella generale ignavia non tanto delle autorità accademiche, quanto delle istituzioni pubbliche che, anzi, spesso li incoraggiano».

Nonostante le diverse iniziative emerse per contrastare il pregiudizio antiebraico e antisraeliano nelle università, come gli incontri già citati e la nascita di collettivi come “Studenti per Israele”, c’è ancora tanto lavoro da fare per tenere testa agli estremisti. «La nostra unica arma è la parola, il pensiero - spiega ancora Lucrezi -: dobbiamo perciò parlare, spiegare, fare ragionare, fare capire, ricordare la storia, instillare dei dubbi, aprire gli occhi, soprattutto a coloro che non sono antisemiti, ma solo disinformati. Certo, si potrebbe fare di più ma, nel nostro piccolo, qualche risultato lo otteniamo».

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