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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero Rassegna Stampa
22.10.2025 Salta l’incontro Trump e Putin
Cronaca di Costanza Cavalli

Testata: Libero
Data: 22 ottobre 2025
Pagina: 1/15
Autore: Costanza Cavalli
Titolo: «Salta l’incontro fra Trump e Putin «Nessun piano nell’immediato»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 22/10/2025, a pag. 1/15, il commento di Costanza Cavalli dal titolo "Salta l’incontro fra Trump e Putin «Nessun piano nell’immediato»".


Costanza Cavalli

Lavrov e Rubio si parlano al telefono e salta (per ora) l'idea di un summit a Budapest fra Trump e Putin. Perché Putin non ha cambiato idea e lo dice chiaramente: non gli interessa solo un cessate il fuoco e il congelamento delle attuali linee del fronte (come propone Trump), ma tutta l'Ucraina. Lo dice e lo ribadisce dall'inizio della guerra nel 2022. 

Donald Trump l’aveva ringhiato a Vladimir Putin lo scorso agosto, ad Anchorage, ed era lì lì per far saltare il vertice. «Se stiamo trattando del Donetsk e non ci sono concessioni, il nostro colloquio può finire qui», era stato lo scappellotto diplomatico dell’americano. Lo zar, che pretendeva per intero l’oblast di cui controlla il 75% della superficie, sembrava aver fatto marcia indietro. Non era vero, ovviamente. Oggi, le richieste di allora sono sul tavolo con gli interessi: Mosca punta al Donbass, il cuore industriale dell’Ucraina che comprende Donetsk, Luhansk e piccole parti delle regioni limitrofe di Kharkiv, Dnipropetrovsk e Zaporizhzhya. Ecco perché l’inquilino della Casa Bianca, che non può permettersi un vertice a Budapest copia carbone del vertice in Alaska, ha tirato il freno. L’ha fatto per lui il Segretario di Stato Marco Rubio, che dopo aver avuto un colloquio telefonico lunedì con il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, ha messo in stand by l’ipotesi di un faccia a faccia con il suo omologo e, di conseguenza, l’incontro che era previsto nel giro di due settimane tra i due presidenti.
L’impasse è presto detto: «La Russia non ha cambiato la sua posizione riguardo alle intese raggiunte in Alaska – è il refrain che Lavrov ha propinato alla stampa – un cessate il fuoco immediato, di cui si sta di nuovo discutendo all’improvviso, in contrapposizione alla necessità di risolvere l’essenza del problema ed eliminarne le cause profonde, significherebbe solo una cosa: che una gran parte dell’Ucraina resterebbe sotto il controllo del regime nazista». La retorica della propaganda del Cremlino è un indefesso ciclostile: una tregua, ha concluso il ministro, consentirebbe a Kiev di riarmarsi e prepararsi a nuovi attacchi. Volodymyr Zelensky sa bene che è impossibile mantenere inalterati i confini del suo Paese, anche senza bisogno della strigliata di Trump, che a bordo dell’Air Force One qualche giorno fa ha ribadito alle parti di «fermarsi alle linee in cui si trovano, le linee di battaglia». A Washington, però, sanno altrettanto bene che agli ucraini bisogna offrire un compromesso digeribile: concedere un lembo di terra non vuol dire lasciare al nemico la regione da cui dipende la sopravvivenza economica di Kiev e la sicurezza territoriale dell’Unione europea nei decenni a venire. In difesa della linea rossa del Donbass, infatti, si stanno muovendo anche gli europei: la Coalizione dei volenterosi ha rilasciato una dichiarazione accusando Putin di «tattiche dilatorie». Nel frattempo, secondo Bloomberg, sta prendendo forma una proposta in 12 punti per porre fine alla guerra lungo gli attuali fronti di combattimento: sono previsti il cessate il fuoco, il rimpatrio in Ucraina dei bambini deportati dalla Russia, lo scambio dei prigionieri, garanzie di sicurezza e il sostegno alla ricostruzione dell’Ucraina e alla sua adesione all’Ue. Le sanzioni imposte a Mosca sarebbero gradualmente revocate. I 300 miliardi di dollari di riserve della Banca centrale russa attualmente congelati verrebbero restituiti solo dopo che la Federazione Russa avrà contribuito alla ricostruzione del Paese invaso, pagando di fatto riparazioni di guerra. Niente però che possa far gola a Putin, men che meno ora che sono stati evocati i tomahawk: era bastata la minaccia di schierarli perché lo zar si dicesse disponibile a nuovi colloqui di pace.
Trump avrebbe detto a Zelensky di non contare su una disponibilità dei missili a stretto giro, ma ora è chiaro che l’unico modo per far sedere l’ex tenente colonnello del Kgb al tavolo dei negoziati sia convincerlo di non poter vincere sul campo di battaglia. Il fallimento dell’offensiva estiva di Mosca, il rallentamento dell’avanzata russa nelle ultime settimane e i gravi danni provocati dai droni di Kiev alle infrastrutture petrolifere del Cremlino non sono sufficienti.
Neanche il calendario, ora che l’arrivo dell’inverno stabilizzerà il fronte, con la vegetazione rada che limita la copertura delle truppe e il freddo che complica la logistica, impone a Putin uno stop allo sforzo bellico. «Ho messo fine a otto guerre – ha detto ieri Trump durante un evento alla Casa Bianca – e, che ci crediate o meno, la nona sta arrivando». Realisticamente, grazie alla stessa diplomazia armata usata in Medio Oriente.

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