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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Setteottobre Rassegna Stampa
20.10.2025 Il vizio antico del pacifismo
Commento di Daniele Scalise

Testata: Setteottobre
Data: 20 ottobre 2025
Pagina: 1
Autore: Daniele Scalise
Titolo: «Il vizio antico del pacifismo»

Il vizio antico del pacifismo
Commento di Daniele Scalise su Setteottobre

 
Daniele Scalise

Pacifismo o cinico sostegno degli aggressori? Fin dagli anni '40 il pacifismo è ostaggio di ideologie totalitarie, prima i "partigiani della pace" al servizio dell'Urss, poi i pacifisti contemporanei che si mobilitano selettivamente, non hanno nulla da dire quando ad uccidere sono estremisti islamici, ma scendono in piazza quando gli Usa o Israele rispondono con le armi. E' giusto difendersi, però: la pace non è mai sinonimo di resa.

C’è un equivoco antico che quasi nessuno ha avuto il coraggio di sciogliere: il “pacifista” non è chi rifiuta la guerra, ma chi pretende di disarmare solo la parte giusta. A parole il pacifista – mortificante caricatura di Gandhi – odia tutte le armi; in pratica odia solo quelle di chi resiste. Lo si riconosce da lontano: condanna il missile che parte da Israele, non quello che piove su Israele; deplora l’esercito che difende, non quello che invade. È un vizio morale travestito da superiorità etica.

Il pacifismo del dopoguerra nacque già compromesso: non come moto universale dell’umanità ferita, ma come lucido espediente della propaganda sovietica. Negli anni Cinquanta i partiti comunisti europei crearono il “Movimento mondiale dei partigiani della pace”: un nome nobile per un’operazione cinica. In nome della “pace” si difendeva ogni dittatura socialista, si giustificava ogni occupazione, si silenziava ogni dissidente. L’Unione Sovietica invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia, e i “partigiani della pace” firmavano appelli contro la “provocazione imperialista”.

Da allora la parola “pace” è rimasta impigliata in quella trappola semantica: come se fosse un assoluto, una fede cieca, e non un obiettivo che talvolta richiede la forza per essere protetto. In nome della pace si è chiesto a popoli liberi di non reagire, di non difendersi, di non disturbare l’aggressore. Un pacifismo di comodo, tutto prediche e nessuna responsabilità, che trasforma la capitolazione in virtù e la difesa in colpa.

Certo, esistono uomini e donne che davvero non vogliono più guerre, che sognano un mondo in cui il coraggio non sia misurato in fucili. Ma accanto a loro si muove la folla degli ingenui e degli ipocriti: quelli che confondono la pace con la quiete, la giustizia con il silenzio. Gli stessi che, se fossero vissuti nel 1940, avrebbero invitato gli inglesi a “negoziare” con Hitler in nome dell’umanità.

E allora la domanda resta: se aggrediti, si ha diritto a difendersi? Oppure la pace vale solo finché il nemico è lontano e la violenza la fanno gli altri? Forse è tempo di restituire dignità alla parola “difesa”, di smettere di vergognarsi della forza quando serve a proteggere la libertà. Perché la pace, quella vera, non è mai stata figlia della resa.


info@setteottobre.com

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