Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
La settimana di Israele. Le difficoltà di attuazione del piano Trump Commento di Ugo Volli
Testata: Shalom Data: 19 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Ugo Volli Titolo: «La settimana di Israele. Le difficoltà di attuazione del piano Trump»
Riprendiamo da SHALOM, il commento di Ugo Volli dal titolo "La settimana di Israele. Le difficoltà di attuazione del piano Trump".
Ugo Volli
Dopo la liberazione dei rapiti, l’accordo sul piano Trump suscita dubbi, Hamas non ha rispettato pienamente gli impegni, rifiuta disarmo ed esclusione politica, e continua a esercitare violenza a Gaza
Dopo la liberazione dei rapiti
Probabilmente era inevitabile. Dopo l’entusiasmo per l’accordo sul piano Trump e la gioia e la commozione per la liberazione dei rapiti, ora è venuto il momento delle perplessità e dei dubbi: si realizzerà davvero il piano? Potrà finire la guerra? È una pace o solo una tregua? Non è stato un errore per Israele accettarlo? O quanto meno una costrizione subita? Non ci si poteva muovere altrimenti? Il progetto di nuovo Medio Oriente del presidente americano è realistico? E soddisfa gli interessi di sicurezza di Israele? Cher accadrà ora?
I trucchi di Hamas con le salme dei rapiti
I dubbi sono molto rafforzati dal comportamento di Hamas, come al solito disonesto e violento. Tutti i rapiti, vivi e defunti, dovevano essere consegnati entro 72 ore dalla messa in opera dell’accordo, cioè lunedì scorso. I vivi sono stati consegnati in tempo, anche perché dalla loro liberazione dipendeva la scarcerazione delle centinaia di terroristi condannati e imprigionati, cui Hamas teneva moltissimo, perché insieme al riconoscimento di Francia e Gran Bretagna è il solo risultato che possa vantare di questa guerra con cui ha provocato tanti danni e lutti anche alla propria popolazione. Ma le salme che doveva ugualmente consegnare sono arrivate fuori tempo massimo e col contagocce: sei bare, quattro, altre quattro (di cui una non era di un rapito ma di un arabo), ancora due, venerdì sera una… Al momento mancano ancora diciotto salme. Hamas giustifica questa inadempienza dicendo che non riesce a ritrovare i corpi. Ma si era impegnata a consegnarli e comunque ha sempre affermato di conoscere in tempo reale numero, età e genere dei morti subiti da Gaza – e la stampa internazionale ha accettato queste cifre anche se molte analisi mostrano che i numeri sono inverosimili. Difficile pensare che non trovi le salme di persone che lei stessa ha rapito, detenuto e ucciso… Con questo pretesto, nel frattempo, ha cercato di farsi consegnare bulldozer e altre attrezzature che senza dubbio utilizzerebbe soprattutto per riparare le sue fortificazioni e trovare le armi rimaste sotto le macerie. Israele ha dichiarato che Hamas sa perfettamente dov’è la maggioranza dei corpi dei caduti e sta tirando per le lunghe per verificare il suo spazio negoziale e suscitare dissensi. Trump è intervenuto dicendo che “si aspetta” che Hamas soddisfi i suoi obblighi secondo l’accordo, ma che “capisce” che ci sono delle difficoltà a recuperare tutte le salme; per il momento non sembra interessato a fare troppa pressione su questo punto.
Le resistenze di Hamas alla seconda fase dell’accordo
Accanto a questa inadempienza nella realizzazione della prima fase dell’accordo, vi sono ombre fitte sulla sua prosecuzione. Si sono moltiplicate le dichiarazioni di dirigenti dell’organizzazione terroristica che rifiutano i tre capisaldi del piano: il disarmo di Hamas, l’esilio dei suoi quadri, l’esclusione totale dall’amministrazione futura della Striscia. Essi hanno affermato che i membri di Hamas appartengono a Gaza e non c’è ragione perché se ne vadano, che le armi sono il cuore della “resistenza” e che non le saranno tolte a nessun costo, o che forse le consegneranno solo a uno “Stato di Palestina”, naturalmente “libero dal fiume al mare” e sotto il loro dominio che non esiste e non esisterà mai; che la Striscia dev’essere “autogestita dai palestinesi”, cioè da loro, rifiutando qualunque altra amministrazione. In sostanza, rifiutano il patto. Non si tratta però di una posizione ufficiale o negoziale e quindi si può pensare a una tattica di guerra psicologica, al tentativo di strappare qualche concessione.
Le vere stragi dei palestinesi a Gaza
Le armi però sono ricomparse in pubblico come pure i terroristi in divisa (che a differenza di qualunque esercito normale indossano l’uniforme quando non si combatte e quando vanno a sparare si vestono da civili). Esse sono state anche usate in scontri con i clan indipendenti di Gaza e in una serie di esecuzioni nello stile dell’Isis di abitanti della Striscia che avevano mostrato indipendenza da Hamas, qualificati perciò come “collaborazionisti di Israele”, con centinaia di vittime, incluse donne e bambini. È un segnale eloquente della volontà di Hamas di mantenere il controllo della Striscia e di non accettare la resa. Bisogna aggiungere che le truppe israeliane continuano a intercettare droni che trasportano armi probabilmente originarie dell’Iran e dirette a Gaza. Chi opera questo pericoloso contrabbando sono i beduini del Sinai, fuori controllo anche dal governo egiziano, ma certamente pagati da Hamas in vista della prosecuzione del conflitto.
La reazione di Trump
Anche su questo punto Trump è stato minaccioso ma ha ostentato pazienza. Ha detto che se Hamas non disarmerà, sarà disarmato con la forza, ma “non da noi, dai nostri amici che sono lì” (cioè Israele). Ci sono state perfino delle pressioni da parte di alcuni Stati arabi sunniti come gi Emirati e forse l’Arabia, perché il disarmo di Hamas si faccia davvero, senza di che minacciano di uscire dall’accordo. D’altro canto Qatar e Turchia, che pure hanno accettato il piano e convinto il movimento terroristico a dare la sua disponibilità, cercano evidentemente di preservare la presenza di Hamas, loro alleato ideologico che si illudono di controllare per i loro fini. Insomma, la situazione appare in uno stallo. Israele ha annunciato che non inizierà le trattative per l’attuazione pratica della seconda fase fino a che non sarà convinto che Hamas ha fatto tutto quel che doveva per restituire le salme dei rapiti defunti, riservandosi di riprendere i combattimenti.
È stato un errore accettare l’accordo?
A questo punto viene naturale porre due domande. La prima è se Israele ha fatto bene ad accettare l’accordo. La risposta è chiaramente sì. La liberazione dei rapiti era un imperativo morale, ma ha tolto anche a Hamas un’arma di ricatto importante e renderà meno difficile una ripresa dei combattimenti, se sarà necessaria. Israele, insomma, con l’accordo ha ottenuto una vittoria importante anche se non ancora definitiva. Il piano Trump non è altro che la riformulazione delle proposte israeliane di sei mesi fa; l’innovazione è stata che in seguito all’attacco di Doha e alla decisione mostrata nella conquista di Gaza City, la pressione di Trump ha fatto sì che la maggior parte degli Stati arabi e musulmani si siano convinti che per porre fine alla guerra bisognava eliminare Hamas dal quadro politico. Israele infine non poteva certamente rifiutare la richiesta di Trump, il presidente americano più amico della storia e il solo alleato significativo rimasto a Israele. Far fallire il piano e combattere da soli sarebbe stata una scelta estrema e pericolosa. Netanyahu ha praticato in questo caso lo stesso realismo mostrato in passato da Ben Gurion, Golda Meir e dagli altri grandi dirigenti israeliani: seguire i principi ma riconoscere i vincoli della realtà.
La prospettiva
L’altra domanda è più difficile: come proseguirà la situazione? Che cosa deve fare Israele? Gli scenari principali sono tre. È possibile che la pressione di Trump su Egitto, Qatar e Turchia costringa alla fine Hamas, sia pure fra molte resistenze, a subire disarmo, esilio, uscita dal quadro politico, amministrazione internazionale. Ci vorranno mesi, ma questa sarebbe una vittoria completa per Israele, senza ulteriori perdite di vite e senza costi politici e di immagine. La seconda possibilità è che riprendano i combattimenti, Israele sconfigga velocemente Hamas e consegni Gaza alla forza internazionale. La vittoria sarebbe forse più grande, ma i costi politici e umani aumenterebbero molto. La terza ipotesi, prevista dal piano, è che l’esercito israeliano tenga il 53% della Striscia che oggi occupa, anche se vi instaurerà l’amministrazione internazionale, con forti finanziamenti per la ricostruzione. Mentre la metà di Gaza tenuta da Hamas sarà circondata dall’esercito israeliano, privata degli aiuti internazionali (non quelli alimentari, ma quelli della ricostruzione), dunque senza prospettive di sviluppo e neanche di riarmo, fino a che la popolazione non si ribellerà o Hamas non cederà. È una prospettiva sgradevole, pericolosa sul piano militare e anche su quello politico, ma è forse quella che potrebbe scegliere Trump, per mantenere la sua posizione di pacificatore.
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