Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Trump incontra Zelensky, ma non porrà fine all'invasione di Putin Analisi di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 18 ottobre 2025 Pagina: 13 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Complimenti, sorrisi e battute ma pesa l'ombra di una guerra che sarà ancora lunga»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/09/2025, a pag. 13, l'analisi di Anna Zafesova dal titolo "Zelensky pronto a lasciare il potere. Ma solo dopo aver 'sistemato' Putin".
Anna Zafesova
Nel bilaterale di ieri, Zelensky ha provato ad avvertire Trump: Putin non vuole la pace. Vuole la distruzione dell'Ucraina e usa i negoziati solo per prendere tempo. Trump probabilmente non l'ha ancora capito, tant'è vero che incontrerà Putin a Budapest, credendo che "l'amico" Putin voglia una pace di compromesso.
Per Volodymyr Zelensky, entrare alla Casa Bianca equivale sempre a inoltrarsi su un terreno minato, e lo si capisce già dalla cura che dedica al suo look.
Il suo abito nero di ieri - il taglio più vicino a un vestito classico indossato dal presidente ucraino in quasi quattro anni di grande guerra - si è meritato subito i complimenti di Donald Trump, un evidente segnale di distensione a beneficio delle telecamere. Lo scontro nello Studio Ovale del febbraio scorso appare archiviato, e entrambi i presidenti si sono scambiati complimenti e sorrisi, prima di ritirarsi per negoziare a porte chiuse.
Eppure il leader di Kyiv ha osato contraddire in pubblico il suo padrone di casa: dopo che Trump ha raccontato ai giornalisti che Putin «vuole concludere la guerra», Zelensky ha affermato l'esatto contrario, «noi vogliamo la pace, lui no».
Una replica che non è un segno di testardaggine, ma un modo per indicare il nocciolo del problema. Per più di sei mesi, dall'entrata di Trump alla Casa Bianca, il balletto negoziale intorno alla possibile tregua in Ucraina aveva ruotato non tanto intorno all'ostinazione di Putin, quanto intorno ai tentativi di convincere il presidente americano che il problema risiedeva a Mosca.
Ci sono voluti gli sforzi dei Volenterosi europei al completo, la tenacia della resistenza degli ucraini e soprattutto la brutale crudeltà delle bombe russe, a persuadere infine il leader statunitense a ricucire - almeno parzialmente - la frattura euroatlantica e l'alleanza con Kyiv. L'apertura di Putin, che giovedì sera, alla vigilia dell'incontro di Zelensky con Trump, ha telefonato alla Casa Bianca per rilanciare con la proposta di un nuovo vertice, in realtà è il risultato atteso e voluto di una offensiva concertata tra Zelensky, Trump e gli europei, per mostrare al Cremlino una tenaglia che rischiava di chiudersi. La promessa dei missili Tomahawk, le pressioni americane sugli acquirenti asiatici del petrolio russo, soprattutto l'India, e la prospettiva di trovare infine il cavillo giuridico per consegnare agli ucraini i fondi statali russi sotto sequestro in Europa: uniti alla crisi economica in Russia, e allo stallo della sua offensiva nel Donbas, questi fattori hanno reso la telefonata last minute di Putin quasi inevitabile.
Il problema per Zelensky ora è quello che porterà a Budapest il suo avversario. Perfino Trump ieri non ha escluso che Putin voglia solo allungare i tempi, come aveva già provato a fare ad agosto, quando aveva proposto il vertice in Alaska, senza portarci nessun compromesso sostanziale. Stavolta, è improbabile che possa cavarsela senza fare concessioni: la tregua di Gaza non solo ha alzato ulteriormente l'autostima del presidente repubblicano, ma ha conferito a Putin la reputazione di un leader più irriducibile perfino di Hamas. Il dittatore russo non ama fare marcia indietro, e in realtà a Kyiv partono dal presupposto che rimarrà inamovibile rispetto alle sue pretese territoriali e politiche nei confronti dell'Ucraina. Del resto, l'ennesima pioggia di centinaia di droni e bombe caduta su Kyiv e Kharkiv mentre Trump e Zelensky pranzavano alla Casa Bianca, è un segnale piuttosto eloquente di Mosca.
L'impressione è che anche a Washington siano dello stesso avviso, e i colloqui di Zelensky con le aziende produttrici dei missili Tomahawk e Patriot e dei caccia F-16, fanno pensare a un piano strategico da sviluppare nei prossimi anni: non si vanno a stringere accordi di produzione congiunta di droni e acquisti di difese antiaeree se la guerra davvero potrebbe finire domani. Fonti ucraine dicono che la delegazione di Kyiv avrebbe di nuovo portato alla Casa Bianca delle mappe: se ad agosto erano servite a spiegare a Trump le pretese territoriali spropositate di Putin, ora indicano i bersagli militari da colpire in territorio russo, e i punti nevralgici delle infrastrutture e dell'economia di guerra putiniana. Un progetto di "pace attraverso la forza", come continua a ripetere Zelensky a Trump, con gli europei e gli americani che sembrano infine condividere una visione strategica della minaccia russa.
Se Putin invece venisse meno alla sua abitudine di rilanciare con una escalation, per proporre un compromesso, Kyiv si troverebbe di fronte a un dilemma difficile: cercare di convincere gli alleati occidentali a proseguire le pressioni su quello che viene ormai considerato un avversario comune, o accettare una tregua che chiaramente non potrà che essere provvisoria. Su un piatto della bilancia ci sono quelle migliaia di vite che Trump promette di salvare, e la possibilità di cominciare a ricostruire il proprio Paese. Sull'altro, il rischio di rimanere perennemente sotto tiro del Cremlino, con garanzie di sicurezza fragili e il rischio di una nuova invasione che terrebbe lontani sia gli investitori occidentali, sia gli ucraini rifugiati in Europa. E, ancora prima di scegliere, la consapevolezza che Donald Trump molto probabilmente preferirebbe una pace fragile ma rapida, da aggiungere alla sua collezione di guerra che si vanta di aver fermato, e che contraddirlo apertamente potrebbe riaprire la frattura tra l'Europa e gli Usa.
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