Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Testata: Il Foglio Data: 18 ottobre 2025 Pagina: 2 Autore: Giuliano Ferrara Titolo: «Basta eufemismi: le vittime a Gaza sono prima di tutto vittime di Hamas»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/10/2025, a pag. 2, con il titolo "Basta eufemismi: le vittime a Gaza sono prima di tutto vittime di Hamas" il commento di Giuliano Ferrara.
Giuliano Ferrara
Israele ha vinto e la tregua non è solo un successo americano. Israele ha reagito al pogrom del 7 ottobre con la forza della necessità, mentre Hamas ha sacrificato il proprio popolo per ideologia. Ora il giornalismo non si faccia manipolare da Hamas e racconti i fatti
Pubblichiamo l’intervento di Giuliano Ferrara all’evento organizzato dall’Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) lo scorso 12 ottobre presso la sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Si tratta di un importante convegno in occasione del secondo anniversario del pogrom del 7 ottobre 2023 e dell’avvio della guerra a Gaza.
E’ in atto un tentativo per certi aspetti ingenuo e che può diventare persino grottesco di cambiare le carte in tavola. Succede sempre quando da una parte c’è una guerra di ideologia, di chiacchiere, di calunnie, di contumelie, di odio e dall’altra parte c’è un rigore razionale, cioè accadono le cose che non potevano non accadere, le cose tragiche. E tragedia vuol dire senza alternativa, non c’era alternativa, l’inevitabilità è il cuore della tragedia. Allora, quando le cose mettono capo a un risultato chiaro sotto gli occhi di tutti, è il momento in cui le carte in tavola vengono cambiate.
La domanda fondamentale è come si è arrivati alla liberazione degli ostaggi, come si è arrivati a uno spiraglio di pace, cioè a una tregua e a un ritiro dell’esercito israeliano dalle posizioni che aveva occupato dentro la capitale, l’ultima grande roccaforte degli autori del pogrom del 7 ottobre, come ci si è arrivati e in ragione di quali atti e gesti politici, militari, storici. Maurizio Caprara, sul Corriere della Sera, dice, con molto coraggio e direi in modo chirurgico, che ci si è arrivati attraverso l’azione politica del governo dello stato di Israele. Azione politica che ha implicato naturalmente l’impiego dell’esercito, dell’aviazione, dei servizi. Queste strutture, queste istituzioni decisive per la difesa della sicurezza di Israele hanno risposto con grande abnegazione, con grande coraggio, anche quando i loro stati maggiori non erano d’accordo o dicevano di non essere d’accordo su certi passaggi strategici della guerra di questi due anni, però ci si è arrivati in questo modo non in un altro modo. Adesso la favola che vogliono farci raccontare e che ci raccontano è che il piano in 21 punti è il prodotto dell’astuzia del presidente degli Stati Uniti, oppure addirittura della sua vanità. Raccontano delle storie per bambini che noi siamo tenuti a credere.
Qualunque persona normale sa come sono andate le cose. Non è che si possono discutere. Le cose semplici non si possono imbrogliare con le favole. Sono lì. Sono una sequenza di fatti. Sono tutte lì, non si possono manipolare oltre una certa misura. Perché il segreto di tutto quello che è successo nelle piazze, nelle strade, nei mari, nelle flottiglie, all’Onu, nelle diplomazie è quello di una grande manipolazione. Ora tutti sanno come sono andate le cose. Un pogrom è un pogrom. Non è né un atto di terrorismo, né un atto di guerra. Un pogrom è un pogrom: è la volontà di uccidere gli ebrei in quanto ebrei e di distruggerli in quanto fede, etnia, nazione, una volta si diceva razza. E il pogrom c’è stato. E stato clamoroso, forte, si è arrestato un certo punto avendo ottenuto il risultato di 1.200 morti e 255 rapiti dai predoni di Hamas. Si è arrestato a un certo punto e chissà se doveva arrestarsi a quel punto, se aveva ambizione anche più alte, comunque a un certo punto si è arrestato. Ed è nata una risposta, tragica perché senza alternative, tragica perché inevitabile, ma è nata una risposta della quale qualcuno doveva assumersi le responsabilità. E le responsabilità se le è assunte il governo di Israele, la maggioranza parlamentare di Israele. In certi momenti riuscendo anche ad allargarsi con una costola dell’opposizione di centrosinistra, ad allargarsi quindi diciamo verso la zona centrale dello spettro parlamentare israeliano. In altri momenti questo non è stato possibile e quindi sono emersi decisamente i ministri della cosiddetta destra oltranzista o messianica, che poi destra messianica non si capisce bene perché lo si dica perché insomma essere ebrei e essere messianiaci è la stessa cosa. Messianici: ebrei, sono ebrei. Allora, che è successo? E’ successo che la tragedia è stata squadernata sotto gli occhi di tutti. Secondo me non ci sarebbe stata nessuna possibile comunicazione e barriera contro l’anti, lo spirito antisraeliano. La guerra antimperialista e anticolonialista delle buone coscienze. L’antisionismo, sionismo come colonialismo, sionismo come razzismo, tutte cose che hanno una storia che viene da prima del 7 ottobre. E non ci sarebbe stata quindi la possibilità di una comunicazione, di una diffusione diciamo di messaggi e di segnali documentali e culturali capace di fare argine all’ondata violenta di antisemitismo che ha portato in molti casi all’esplosione di qualcosa che assomigliava alla paura, certamente all’apprensione e al timore di tutte le persone sane di mente per tutto quello che succedeva non solo in Italia ma anche in Inghilterra come abbiamo visto, in Francia e negli Stati Uniti d’America principalmente e in quel cuore pulsante di quel paese che sono le sue università. Insomma ne è seguita una reazione, questa reazione si è sviluppata su diversi fronti, come abbiamo detto. Il governo di Israele ha deciso i tempi e i modi dell’eliminazione di un esercito irregolare, l’esercito del Partito di Dio finanziato e armato dall’Iran degli ayatollah, che offendeva sul fronte del nord le frontiere che Hamas aveva varcato nel fronte del sud. Ha deciso per l’eliminazione di quel rischio, di quel pericolo, per un suo radicale dimensionamento. Questo ha comportato il crollo di un regime che aveva fatto altrettanti morti, se non di più,nel corso di una lunga guerra civile di un clan di minoranza dittatoriale contro la maggioranza del suo popolo, il regimealauita, Assad. Questo ha indebolito fortemente il regime degli ayatollah, che aveva fatto le cose che aveva fatto nel rapporto con il proprio popolo e con le proprie donne, mi riferisco alla vicenda donna, vita, libertà. Per noi oggi sono cose semplici, sono storia, dovevano essere pratica, erano decisioni che andavano prese, erano acquisizioni che dovevano essere incamerate, politicamente incanalate.Hanno preso i cieli di Teheran e hanno indotto, preparando il letto politico e militare per l’impresa, dopo le dichiarazioni dell’Agenzia atomica internazionale che diceva che l’Iran era a un passo dalla bomba nucleare, a un intervento correttivo piuttosto forte che gli Stati Uniti erano tecnologicamente in grado di attuare. E quindi sono già tre fronti decisivi strategici del medio oriente. Tutto questo è avvenuto diciamo in una situazione in cui i paesi arabi, i grandi sunniti del sud, protestavano formalmente ma non facevano nulla di concreto, di sensibile, di tangibile per impedire il corso delle cose. C’è stato il problema e ci saràancora il problema di tenere a bada gli houthi che sono stati però anche loro fortemente colpiti e poi c’è stata la guerra di Gaza.
Io sono contrario a eufemizzare. E’ stata una guerra spietata durissima. E’ stata una guerra urbana. Sono morte decine di migliaia di persone. E stare lì a fare i conti il ministero della Sanità, discutere quanto siano veri i comunicati del ministero della Sanità di Hamas sembra una perdita di tempo. Invece quello che è sicuro è che le vittime della guerra sono vittime di Hamas in primo luogo, vittime morali e strategiche di Hamas. Hamas ha detto chiaramente, cosa che non è stata considerata nelle piazze della buona coscienza, che per la causa, per la causa politica per la quale Hamas si batteva, la causa del pogrom, il sacrificio del popolo, del sangue del popolo palestinese, era un sacrificio accettabile, anzi un sacrificio lodevole, era un sacrificio necessario. E sono stati sacrificati. Israele difende con le armi il suo popolo, loro difendono con il loro popolo le loro armi. Questo hanno fatto dalla città sotterranea, dalla città dei tunnel. Ora tutto questo è finito con un assedio a Gaza City. Mille morti nell’esercito israeliano, o quasi. Molti morti nella popolazione civile palestinese per i bombardamenti e per l’azione di occupazione del territorio da parte dell’esercito. E queste sono le condizioni che hanno indotto il presidente americano – e che hanno indotto anche con una toccatina di polso che è toccata alle illustri autorità sceiccali di Doha in Qatar – queste sono le condizioni che hanno portato, bisogna essere realisti, bisogna essere moralmente chiari, che hanno portato alla stipula di una tregua e alla possibilità nel giro di 24 ore della liberazione di ciò che resta dei poveri corpi di coloro che sono stati tenuti, decimati, umiliati, torturati, esposti, sono stati tenuti nelle carceri degli sterminazionisti antisemiti, insomma, non dei terroristi di Hamas: terroristi è poco ed è sbagliato.
Ora il tentativo è di cambiare le carte in tavola. E il giornalismo che discute con tanto calore di se stesso, delle sue metodologie, delle sue sensibilità, della sua nozione di pluralismo, della sua idea di democrazia, di rapporto tra professionisti lettori, mediatori, utenti, il giornalismo che prende le notizie, che filtra naturalmente i fenomeni nuovi, la rete, e che stabilisce un’agenda ma al tempo stesso deve selezionare in un’agenda più vasta che gli viene presentata. Qui il giornalismo, diciamo, qui si parrà la nobilitate del giornalismo. Vogliamo avallarla questa favola? Siamo davvero del parere che possiamo raccontare questa bestialità? Io capisco benissimo le emozioni. La piazza di Tel Aviv ha fischiato Netanyahu perché per due anni hanno chiesto che questa guerra, che la pressione militare non fosse la strada per la liberazione degli ostaggi, credendo – e naturalmente lì c’è non l’attenuante ma c’è la giustificazione di una grande buona fede nutrita d’amore, di affetto personale tra i propri cari imprigionati – credendo che la liberazione degli ostaggi sarebbe venuta così, per un sortilegio diplomatico senza un sacrificio reale e un’azione di forza capace di generare una tregua e una prospettiva di pace, innanzitutto primo pilastro alla liberazione degli ostaggi. Hanno fischiato Netanyahu. D’accordo. E’ normale che sia così. Invece Jared Kushner, che è attento alla pace, agli affari, alle vicende della presidenza Trump, il genero e Witkoff l’immobiliarista della provvidenza e lo stesso presidente Trump che ha parlato alla Knesset, che ha fatto questo viaggio lampo e che sta facendo la fiera delle vanità, sono stati trascinati nella guerra e fino in fondo alla guerra, nell’uso della forza per liberare gli ostaggi di Israele e per imporre una pacificazione e stabilizzazione nella sicurezza per Israele. Benissimo. Hanno fatto il loro lavoro, hanno fatto il loro ruolo, ne hanno ricavato dei benefici politici e d’opinione internazionale importanti. Israele li incensa in questo momento. Però il punto è questo e secondo me da qui bisogna ripartire. Vogliamo lasciare che queste favole vengano raccontate ai lettori, agli sbandieratori, alle buone coscienze, o vogliamo fare il debunking cioè vogliamo spiegare come stanno effettivamente le cose? Mi sembra che l’alternativa sia questa e soltanto questa. Grazie.
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