Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Israele, la sfida per il futuro Editoriale di Claudio Velardi
Testata: Il Riformista Data: 16 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Claudio Velardi Titolo: «Israele, la vera sfida del futuro»
Riprendiamo dal RIFORMISTA del 16/10/2025, a pagina 1, l'editoriale del direttore Claudio Velardi dal titolo: "Israele, la vera sfida del futuro".
Claudio Velardi
La vera sfida di Israele, dopo aver vinto la guerra, sarà quella di vincere la pace. E Israele possiede risorse spirituali, culturali e morali potentissime per definirsi in positivo: non come vittima da proteggere, ma come civiltà viva, libera e luminosa.
Da rocciosi ma sereni amici di Israele quali siamo, ci prendiamo la libertà di proporre un discorso difficile — che potrà sembrare prematuro o fuori tempo — dato che siamo ancora immersi nella drammatica emergenza di una guerra non conclusa. E forse suonerà fastidioso a chi concepisce la difesa di Israele come un eterno arroccamento, sia pure motivato dalle aggressioni millenarie che gli ebrei subiscono.
Eppure, proprio ora, nel pieno della prova, occorre guardare oltre. Israele non può continuare a presentarsi al mondo solo come un Paese che si difende, perché è una grande nazione che, sin dalle origini, ha saputo essere moderna, laica, gioiosa, capace di unire orgoglio identitario e apertura universale. Quel modo di essere — vitale, fiducioso, creativo — appartiene al suo DNA e va riscoperto in forme nuove, dopo decenni in cui guerre e assedi ne hanno soffocato la luce.
Il compito cruciale per il futuro di Israele non è militare o politico, ma culturale: ricostruire la reputazione del Paese, devastata da anni di narrazioni ostili, immagini manipolate e giudizi morali capovolti. Israele ha vinto molte battaglie, ma non quella del racconto. E la reputazione di uno Stato, come quella di un essere umano, è una forza invisibile che precede ogni gesto e ogni parola.
Questa ricostruzione non può poggiare soltanto sulla — pur imprescindibile — lotta all’antisemitismo. Combattere l’odio verso gli ebrei è un dovere universale, ma non può essere il fondamento dell’identità israeliana. Un popolo non si definisce per ciò che subisce, ma per ciò che crea. E Israele possiede risorse spirituali, culturali e morali potentissime per definirsi in positivo: non come vittima da proteggere, ma come civiltà viva, libera e luminosa.
Israele oggi è uno Stato saldo, legittimo, irreversibile. Nessuno potrà togliergli questo status. A maggior ragione se saprà tornare a presentarsi al mondo non come una comunità assediata, ma come un solido soggetto politico capace di parlare da pari a pari con chiunque. Scrollandosi di dosso la sindrome dell’assedio e rivendicando con naturalezza la normalità della propria sovranità. Mostrando, insieme, la vitalità e la ragione profonda della sua esistenza.
In un mondo che ha smarrito il legame tra memoria e presente, Israele può incarnare oggi un grande messaggio universale: la tradizione non come freno, ma come intelligenza del tempo. È il Paese in cui la Bibbia convive con le punte più avanzate della ricerca scientifica, dove il Talmud incontra l’intelligenza artificiale, dove la spiritualità si misura costantemente con la tecnologia. Questo intreccio dimostra quanto futuro e radici possano convivere in modo virtuoso e creativo.
La cultura ebraica ha sempre concepito la libertà come responsabilità, non come arbitrio. È una libertà che si misura nel rapporto con l’altro, nella capacità di “rispondere”, come scriveva Emmanuel Levinas. Proprio in questo senso Israele può tornare a essere un laboratorio di libertà etica, la prova vivente che la dignità di un popolo non nasce dall’indifferenza, ma dal legame. Solo così potrà far risplendere quelle ragioni per cui il mondo imparò ad amarlo: la capacità di unire memoria e innovazione, identità e pluralismo, sicurezza e apertura.
Dopo la tragedia della guerra, la vittoria più importante di Israele non sarà quando non avrà più nemici, ma quando non avrà più bisogno di definirsi contro nessuno. A quel punto Israele tornerà a essere non la nazione che il mondo discute, ma quella che il mondo ammira e imita.
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