Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Fra i medici che danno un nome agli ostaggi morti Analisi di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 16 ottobre 2025 Pagina: 1 Autore: Micol Flammini Titolo: «Le notti all’Abu Kabir, dove si cerca l’identità degli ostaggi uccisi»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/10/2025, a pag. 1/I, con il titolo "Le notti all’Abu Kabir, dove si cerca l’identità degli ostaggi uccisi", l'analisi di Micol Flammini.
Micol Flammini
All’istituto di medicina legale Abu Kabir di Tel Aviv arrivano i corpi degli ostaggi uccisi da Hamas, restituiti lentamente e spesso scambiati. Mentre le famiglie attendono con angoscia l’identificazione, Hamas usa i cadaveri per guadagnare tempo e consolidare il proprio potere nella Striscia. Israele, per far avanzare l’accordo, ha accettato dolorose scarcerazioni di terroristi
Tel Aviv, dalla nostra inviata. L’istituto di medicina legale Abu Kabir di Tel Aviv è il posto in cui gli israeliani hanno imparato a ricevere i dettagli delle atrocità del 7 ottobre: nell’edificio furono portati i corpi dei civili massacrati da Hamas, nell’edificio in questi giorni entrano i corpi che Hamas sta rimandando indietro troppo lentamente, senza rispettare i termini dell’accordo con Israele per implementare la prima fase. All’Abu Kabir le famiglie deimorti ricevono la conferma che la salma irriconoscibile è stata un tempo loro padre, figlio, fratello. Lunedì il gruppo della Striscia ha consegnato i corpi di quattro ostaggi,martedì ne ha rimandati altri quattro, ma uno non apparteneva a nessuno dei rapiti, era di un palestinese con addosso la divisa di Tsahal. Non è la prima volta che Hamas restituisce un corpo che non appartiene a unostaggio. I terroristi hanno detto che si trattava dei resti di un soldato ucciso durante un’operazione del 2024 a Jabaliya. Tsahal ha negato che il corpo di un soldato israeliano caduto in combattimento sia finito nelle mani dei terroristi. Il lavoro sui resti che hanno atteso due anni per essere restituiti è interminabile, del passato rimane poco e i dottori trascorrono la notte nel tentativo di identificarli. Escono stravolti, parlano a monosillabi. Sanno soltanto che il gioco di Hamas con i corpi degli uccisi andrà avanti a lungo. A lungo andranno avanti le loro notti. A lungo le famiglie attenderanno un segnale: vengono convocate all’Abu Kabir soltanto quando c’è la conferma dell’identità del corpo.
Con la tortura imposta alle famiglie dei rapiti uccisi, Hamas allunga la prima fase dell’accordo per consolidare il potere perso nella Striscia. “In questi primi giorni, Hamas ha cercato di reimporre la sua sovranità, sfidando i clan armati tra Khan Younis e la città di Gaza”, dice Michael Milshtein, analista del Dayan Center, grande conoscitore della storia e della strategia di Hamas.
“Non è la stessa organizzazione di due anni fa, ha perso uomini, mezzi, comandanti e non è semplice riprendere il controllo. Ma può contare sull’ideologia, sulla fedeltà dei suoi membri e fino a questo momento sta avendo la meglio su almeno due dei clan rivali”. La seconda fase dell’accordo prevede che il gruppo venga disarmato e passi il potere a un’amministrazione tecnica. Questa sembra la parte più difficile del piano: Hamas vuole sopravvivere, è per questo che ha scelto di liberare gli ostaggi, ora tiene di più alle sue armi. I leader arabi che sostengono il piano di Donald Trump stanno cercando soluzioni alternative: “Gli egiziani hanno proposto di congelare l’arsenale del gruppo, il Qatar vuole fare una distinzione fra armi offensive e quelle difensive. I paesi arabi conoscono la natura di Hamas e probabilmente convinceranno Trump ad accontentarsi di un compromesso che non rovini il cessate il fuoco”. Secondo Milshtein, sarà questo l’unico modo per mandare avanti l’accordo. Ma prima ci sono le notti all’Abu Kabir, ci sono le analisi dei medici che uscendo con il volto distrutto sussurrano una sola consolazione: almeno sono tornati a casa. Per vedere tornare gli ostaggi vivi e morti,Israele si è ritirato dietro a quella che viene definita la “linea gialla” e ha scarcerato circa duemila detenuti palestinesi, alcuni arrestati dopo
il 7 ottobre, più di duecento condannati all’ergastolo per atti di terrorismo: “Far uscire dalle prigioni i detenuti ha un peso emotivo sulla società israeliana”, spiega l’analista. Il dolore per queste scarcerazioni gli israeliani lo hanno sentito ogni volta che hanno scelto di liberare un numero sproporzionato di detenuti per vedere tornare un ostaggio, “è un dilemma antico, ma finora la scelta è sempre stata una: fare di tutto per riavere gli ostaggi. Nonostante il rischio”. Fra i terroristi rilasciati c’è un nome che spicca: Mahmoud Issa, leader della cellula “unità speciale 101” di Gerusalemme est. Ora la cellula è di nuovo al completo e Milshtein è certo che Issa assumerà un ruolo di comando.
Hamas si prende il tempo per rafforzarsi. Nel frattempo, le notti all’Abu Kabir si trascinano. La strada che porta all’istituto è accompagnata da una schiera di bandiere. Sono il corridoio di saluto per gli ostaggi che ormai hanno soltanto una storia da raccontare: la loro morte.
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